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I 3 migliori film di M. Night Shyamalan

26/01/2017 news di Redazione Il Cineocchio

In occasione dell’arrivo in sala di Split, la nostra redazione ha votato le opere più significative del regista americano di origini indiane nei suoi 25 anni di carriera

Dopo aver diretto e prodotto The Visit nel 2015, M. Night Shyamalan torna nelle sale italiane con un nuovo thriller denso di inquietudine, Split (qui la nostra recensione) con protagonista James McAvoy (qui le 30 cose da sapere sul talentuoso attore scozzese). Per l’occasione, abbiamo quindi deciso di ripercorrere la carriera del regista di origine indiana e di proporvi le pellicole che più abbiamo apprezzato, sottolineandone gli aspetti stilistici che abbiamo ritenuto più importanti.

Se molti sono dunque i film validi all’interno del corpus del filmmaker – di realmente poco riuscito vi è forse solo L’ultimo dominatore dell’aria (The Last Airbender) -, abbiamo deciso di eseguire una difficoltosa cernita e selezionare quelli che riteniamo essere i 3 migliori film diretti da Shyamalan:

The Sixth Sense - Il sesto senso poste1) Il Sesto Senso (The Sixth Sense, 1999). Thriller denso di atmosfera, vede protagonista Bruce Willis nei panni di un travagliato psicologo infantile, Malcolm, che vive un traumatico evento quando una sera, mentre è in casa con sua moglie, Vincent, suo paziente molti anni prima, gli spara per vendicare un torto secondo lui subito, per poi suicidarsi. A distanza di un anno, il dottore si trova a curare un ragazzino problematico di 9 anni, Cole (Haley Joel Osment), che afferma di vedere “la gente morta”.

Tra psicologico e paranormale, man mano che il regista e sceneggiatore procede con la narrazione, lo spettatore è sempre più proiettato in una realtà straniante e oscura, quella percepita dal bambino dai poteri medianici che può percepire la presenza di spiriti, senza possibilità di requie. Il sorprendente colpo di scena finale, non solo lascia un indelebile ricordo nello spettatore, ma rappresenta un elemento che caratterizzerà lo stile narrativo di Shyamalan nelle opere successive, diventa il suo ‘marchio di fabbrica’.

E venne il giorno M. Night Shyamalan2) E venne il giorno (The Happening, 2008). Disturbante e poco compresa visione apocalittico / ecologista, il film riesce in maniera paradossale a dare forma a un’inquietante minaccia, quella rappresentata da una misteriosa sostanza prodotta da ogni forma vegetativa per difendersi dalla sconsiderata azione dell’uomo a suo discapito. Terrificante e letale tossina, gli effetti – geniale trovata – non sono la morte del soggetto che ad essa viene esposto, bensì un’irresistibile spinta autolesionista che lo conduce all’inevitabile suicidio. 

Un gruppo di personaggi, tra cui l’insegnante liceale Elliot Moore (Mark Wahlberg) e la moglie Alma (Zooey Deschanel), cercano disperatamente la salvezza nella Pennsylvania rurale (luoghi dove vengono girati praticamente tutti i lungometraggi di Shayamalan). Ma esiste veramente un luogo dove la natura, e gli alberi che ovunque sono, non possano raggiungerli? Particolarmente scioccanti sono alcune sequenze di suicidio, tra cui quella perpetrata attraverso il ripetuto pugnalarsi con un fermaglio per capelli o la ‘pioggia’ di corpi dal tetto di un edificio.

Signs M. Night Shyamalan3) Signs (2002). Incursione nella sci-fi topica dell’invasione aliena, la narrazione è ambientata a Bucks County, Pennsylvania, dove vivono il referendo Graham Hess (Mel Gibson) con i due figli e il problematico fratello. Un giorno, l’uomo  – che ha perso la moglie in circostanze tragiche – scopre dei misteriosi cerchi nel grano dei suoi campi, ma inizialmente crede si tratti semplicemente un brutto scherzo. Tuttavia, pian piano diviene chiaro che non si tratta di un’opera umana, ma del segno lasciato da un gruppo di ben poco amichevoli invasori dallo spazio, che hanno mire tutt’altro che pacifiche e che si celano in mezzo alle colture nei pressi della fattoria di Hess e famiglia.

Toccando diverse problematiche, la pellicola riflette su questioni come fede, scienza e credenze popolari e sviluppa un’inedita lettura dell’invasione extraterrestre, che riesce a comunicare quell’angoscia legata all’arrivo di un popolo sconosciuto da mondi lontani, nonché la variegata reazione di coloro che vivono tale contatto con terrificante apprensione. Certo, l’alieno è leggibile anche in chiave psicologica come paura verso l’estraneo, e quindi non necessariamente solo dallo spazio profondo, che è percepito come pericolo dalla società stessa.