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Esclusivo | Intervista ad Arturo Lauria, dal rap a Dylan Dog, passando per la sci-fi e il bianco e (soprattutto) nero

28/04/2017 news di Alessandro Gamma

Una lunga chiacchierata con il disegnatore lucano nella quale abbiamo toccato argomenti che tangono e trascendono il fumetto

lauria foto

Si è fatto le ossa lavorando per la Dark Horse (su Colonus), ma il pubblico italiano l’ha ‘scoperto’ solo piuttosto di recente grazie alla Bonelli, più precisamente a Dylan Dog. Stiamo parlando di Arturo Lauria, disegnatore lucano classe ’88 col quale abbiamo avuto il piacere di fare una lunga chiacchierata, parlando tra le molte cose di fantascienza, Facebook, videogiochi e nero (più che di bianco).

lauria (3)Saltiamo il solito preambolo degli esordi e delle ispirazioni varie ed eventuali che ti chiedono tutti. Parlaci piuttosto del tuo rapporto con la musica rap e il mondo dei writer e di come si fondono col tuo lavoro di disegnatore.

Musica rap e writing sono cose che ormai non accomuno. Non sono né hip-hoppettaro, né nerd, e non mi riconosco in alcun tipo di sottocultura. Conosco quanto mi basta di entrambi i mondi ed amo il rap per lo stesso motivo per cui amo i fumetti: linguaggio ibrido fatto di parole e immagini. Sì, nel rap si lavora tanto di immagini anche se non sembra. Comunque, da piccolo disegnavo con le bombolette sui muri e talvolta torno a farlo con un mio caro vecchio amico, ma semplicemente perché è il modo più efficace per poter lavorare a più mani su di un unico disegno ed è bello imbrattarsi all’aria aperta. E preferisco di gran lunga il rullo da imbianchino alle bombolette, c’ha molto più groove! 🙂

Cosa leggi? Fumetti e/o libri? Qualche titolo e perchè ti hanno preso bene (o male)

Riesco a leggere solo cose che mi fanno male, credo, in un modo o nell’altro. Ultimamente sto cercando, con lentezza epocale, di leggere tutti i romanzi di Philip K. Dick, un po’ di Kafka e i tantissimi Dylan Dog che non ho letto. Sono un fruitore di cose disorganizzato, pigro, e totalmente fuori dalla dittatura dell’intrattenimento. Disegno e cerco di creare cose, quando non lo faccio esco e cerco di staccare la testa, fallendo. A volte però mi impongo di leggere e lo faccio quando mi sento stagnante, artisticamente e come essere umano, per sollecitare cose in me che possano spingermi a migliorarmi appunto come artista e persona. Ora ho appena cominciato Kobane Calling di Zerocalcare e mi ha preso.

Mi piace Calcare perché vuole dire cose e si mette a nudo, come Maicol & Mirco, o il mio amico Labadessa … e vari altri. Sono persone poco più grandi di me, o più piccole nel caso di Mattia, che mi ispirano e parlano della grande consapevolezza raggiunta dalla nostra generazione nel capire sé stessa, il mondo, e di quanto ciò sia difficile. Sono diversissimi tra loro, e ognuno si racconta a suo modo, chi meglio e chi peggio, chi con ironia chi no, ma hanno in comune la necessità di raccontare visceralmente se stessi, le cose che temono e che non capiscono.

lauriaSo che ti piace la fantascienza: a quali film/serie sei più affezionato (opere del passato, roba recente …)? C’è qualche cosa che è stata sotto le tue aspettative?

Amo la fantascienza proprio come il rap ed i fumetti: conosco cose a caso, ma ne amo gli interrogativi che si pone e il suo linguaggio. Di recente ho gradito forte Black Mirror e tutto il lavoro di Neill Blomkamp. In ordine temporale, i film più recenti ad essermi piaciuti pare risalgano al 2015: Sopravvissuto – The Martian, Ex-Machina, Humandroid e Mad Max: Fury Road.

Sono legato solo ai film che mi sollecitarono cose durante l’infanzia/adolescenza, tipo Jurassic Park, Contact, The Rock e Matrix. Ricerco spesso la fantascienza nella musica e nei videogame, trovando belle risposte nella musica elettronica sperimentale, ambient e non.

Ci stanno artisti a pacchi che evocano atmosfere fantascientifiche: Modeselektor, Burial, Squarepusher, Otto von Schirach, Autechre, Venetian Snares, Biosphere, Noisia, Black Sun Empire e altri mille, ho citato nomi a caso. E tutta la dubstep e molto rap, pure. Insomma, la fantascienza la vivo forse più su me stesso che in TV o nei libri. Provo a studiare e capire cose sull’astronomia e sulla fisica delle particelle. Mi piace il futuro, ecco. Circa i videogiochi: Soma, Life is Strange, Inside, Alien Isolation. E quindi ci allacciamo alla domanda successiva.

lauria dreddIl tuo rapporto con i videogame. Ormai hanno raggiunto una qualità elevatissima (visivamente e di giocabilità/sceneggiature). Ti aiutano per il tuo lavoro?

I videogiochi sono belli. Non digerisco purtroppo molti giochi open-world e quelli in cui bisogna aggiungere punti, da distribuire in cose, per comprare cose e migliorarne altre, per incrementare cose che poi ti fanno fare altre cose, quindi gioco VG a caso con la speranza di trovare storie coinvolgenti. Tornando ai giochi precedentemente citati, ecco: Soma è un gioco che a primo acchito sembra scarno, abbozzato, se comparato a molti altri titoli. Poi cominci ad addentrarti nella storia e ciao.

L’obiettivo è capire cosa sta succedendo e non lo si ottiene solo andando avanti nel gioco. Mi ha dato voglia di esplorare e decifrare ogni elemento messo dentro dai programmatori; ogni foto, documento, oggetto, sembra comunicarti elementi utili a capire ciò che sta accadendo intorno. Lento, a volte ripetitivo, ma l’ho completato di notte digrignando denti con le cuffie davanti alla play mentre fuori pioveva. Life is strange è visivamente essenziale e narrativamente logorroico.

Si gioca poco e si osserva molto. A volte è facile. Alla fine del VG ho pianto. Inside è muto, senza dialoghi, a scorrimento laterale che te lo cominci a giocare come un giochino, quando comincia a trasudare lentamente una terrificante ed evocativa visione del futuro. Racconta tutto senza aprire la bocca, solo per immagini, permeate da un tappeto musicale che racconta più del resto. Certo, ci stanno storie impressionanti anche nei titoli giganti: i Naughty Dog sono un esempio chiaro di quanto sia bello quando giochi eccezionali da vedere e divertenti da giocare vogliano raccontare una grande storia, tipo Uncharted o TheLastOfUs, ma lo fanno comunque affidandosi a meccaniche tipiche dei videogame d’avventura, anche se migliorandole al massimo. Capolavori, sì, ma non posso farci niente, a me piacciono le cose sbilanciate, storte e pure sbagliate.

lauria (6)Dicci qualcosa sul tuo rapporto con Dylan Dog e sulla storia che stai disegnando se si può. Come sta evolvendo il tuo stile?

Ho avuto molti problemi con Dylan, all’inizio. Ho imparato a capire che si tratta “anche” di lavoro e solo concentrandomi su questa cosa mi sono sbloccato dal meccanismo ossessivo che mi imponeva di rielaborare da zero l’inchiostrazione delle prime dieci tavole, per varie volte.

Ho un tipo di disegno basato sulle masse dettate dalle ombre e quasi per niente sulla linea. E’ impulsivo, gestuale, e funziona perfettamente quando posso giocare con ombre di oggetti solidi come armature, tubi, ambientazioni fantascientifiche in cui posso posizionare cose a piacimento per impreziosire e bilanciare l’immagine.

Dylan è un uomo con vestiti che vive a Londra, e ‘sta cosa l’avevo presa sottogamba. 🙂 Ho risolto facendo mille prove, trovando un buon equilibrio tra forti fonti di luce, soluzioni grafiche estreme tipo Breccia-Miller (tipo, eh!) e studiando un po’ di panneggio. Ora, per fortuna, sto disegnando una parte della storia in cui Dylan non veste quei panni soliti e mi sto divertendo un casino.

Tu disegni moltissimo in bianco e nero. Pregi e limiti di questa scelta.

Non è una scelta: la quantità di nero è proporzionale all’odio che provo verso il creato. Quando amerò il mondo farò acquerelli leggeri e soavi.

colonus lauria coverChe approccio usi quando lavori su un personaggio che già conosci e quale invece su uno nuovo?

Sempre il solito, vado a caso e le cose vengono da sé. Poi quando piglio la tangente e vado fuori orbita me lo fanno notare e rientro in derapata. Non riesco a progettare bene. Mi affido al caso, anzi, al caos e so bene che è un grave limite, ma anche un punto di forza. Ho approcciato Colonus esattamente come ho approcciato Dylan. Ho fatto studi preparatori e bozze poi, però, quando sono partito con le tavole, tutto è andato per un altro verso: Braxton ha assunto un volto e un’armatura diversa da come avevo progettato, gli altri personaggi pure, le ambientazioni lo stesso. Dylan è diversissimo da ogni sketch che ho fatto durante l’ultimo anno. Sono in balia dell’entropia.

Pensi mai di scrivere qualcosa o c’è solo inchiostro nero pece su carta nel tuo futuro?

Sì, ne ho bisogno. Penso che non appena completerò Dylan proverò a dedicare del tempo a BETA, una cosa che mi frulla in testa da tempo, di cui ho abbozzato una 60ina di pagine. Ho tante cose che vorrei dire e credo di volerle dire proprio coi fumetti, ma non solo. Vedremo.

 lauria (7)Sei molto attivo su Facebook e hai molti follower: come vivi questa cosa?

… A caso. A volte con un po’ di amarezza. Perché mi metto a nudo e mi espongo di continuo, venendo spesso frainteso, nonostante io sappia perfettamente che molte persone non hanno alcun interesse a capire cos’hai da dire, e chi sei davvero, ma recepiscono solo la superficie e quanto basta per additarti. Tipo la vita vera. A volte bene perché mi diverto tantissimo a provocare discussioni e fare battute strane. Di base uso FB come lo usavo 10 anni fa. Non ho mai cambiato il mio atteggiamento in funzione del “ruolo” che svolgo – o che sembro svolgere agli occhi degli altri – come nella vita, appunto.

Rapporto con le nuove tecnologie nel mondo del fumetto (c’è chi usa ormai solo la tavoletta e non usa più le matite, chi non vuole mollare le matite ecc.), tu che ne pensi? 

Penso che se una cosa è giusta per te, anche solo per te e nessun altro, finché non intacchi la libertà altrui, hai ragione. Punto. La tecnologia è una cosa in più, non in meno. L’esempio più bello di tutti è quello di Giuseppe Antonello Leone, nonno di un mio grande amico, artista napoletano morto all’età di 98 anni circa un anno fa, definito da Philippe Daverio “uno dei più grandi artisti del ‘900”, nella monografia che ha scritto su di lui.
Uno che ha fatto arte con le pietre, la plastica, l’olio e le fotocopiatrici e a 98 anni, prima di morire, si scialava ad elaborare cose a Photoshop. Le regole fanno schifo, soprattutto nella musica e nell’arte visuale.

Il mercato del collezionismo di tavole originali è in crescita. E’ un aspetto importante del tuo lavoro?

A volte vendo cose e il fatto che ci sia qualcuno disposto a pagare per avere i miei disegnetti è una cosa fichissima. Grande Internet!