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I diari dal 49° Festival di Sitges: il Cineocchio in Catalogna – Giorno 1

08/10/2016 news di Alessandro Gamma

Dopo una piccola critica all'organizzazione, abbiamo incontrato Max von Sydow, visto uno dei film di zombie più clamorosi dell'anno, visto un remake deludente e visto un film di mostri che però e tutto tranne che un film di mostri

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La pagina di oggi si apre con un piccolo ma doveroso appunto critico verso il Festival. In sostanza, per accedere alle proiezioni è in funzione un sistema per cui ogni accreditato, all’interno della sua pagina personale nel sito ufficiale, può/deve scegliere una per una le proiezioni a cui intende assistere durante la giornata successiva. Alla prima proiezione di ogni sala basta invece presentarsi in tempo. Questo sistema ‘apre’ alle 7.00 della mattina (!) e chiude alle 21.30. Ieri abbiamo tentato di iscriverci a diverse proiezioni, ma essendo arrivati nel pomeriggio, alcune ci sono state precluse (ok, ci sta, abbiamo pensato). Questa mattina, obbligati per il motivo di cui sopra ad andare alla prima proiezione della giornata, Inside alle 9.00, ci siamo quindi svegliati intorno alle 8.00. Lesti, abbiamo aperto i PC, solo per scoprire che praticamente tutte le proiezioni per l’indomani di un paio di sale erano già tutte esaurite! Questo appunto nasce dal fatto che non solo, vista la mole di proiezioni, molti film vengono replicati solo una volta (nella stessa giornata per giunta), e quindi una volta persi addio, ma soprattutto perchè, in quanto membri della stampa, non abbiamo alcuna garanzia o tutela di vedere un film di cui poi magari si ha magari già fissata l’intervista con gli attori o il regista… Domattina proveremo a svegliarci alle 7.00 a vedere che succede…

max-von-sydow-sitges-3Dopo questo noioso preambolo, oggi è tornato il sole. E che sole. Un caldo pazzesco che ci ha tramortito e che ha reso un po’ meno piacevole l’attesa di Max von Sydow, giunto a Sitges per ritirare il Grand Honorary Award (QUI il resoconto del nostro incontro con l’attore svedese). Scherzi di ottobre, che ti costringono a uscire di casa la mattina con maglione e k-way, salvo poi appallottolarli dopo 20 minuti nello zaino, che diventa così ancora più massiccio e gravoso di quanto già non è, ma che tornano magicamente utili verso sera, quando l’umidità cala insieme alle tenebre abbassando la temperatura a livelli autunnali (niente di comparabile comunque all’era glaciale della sala Tramuntana, probabilmente usata durante il resto dell’anno per stoccare il pescado).

Passando invece alle visioni odierne, ci siamo accorti alla fine di un filo che curiosamente le ha accomunate a coppie. Come anticipato, siamo partiti dal film scelto per inaugurare il Festival, Inside, remake iberico targato Miguel Ángel Vivas di quell’ À l’intérieur che nel 2007 sconvolse le platee europee portando in scena la lunga notte di dolori e tormenti di una donna vicinissima alla gravidanza che si vede assalita in casa da un psicopatica pronta a tutto – ma tutto tutto – pur di estirparle il bambino dalla pancia (QUI la recensione completa). Pur partendo bene, grazie a uno stile molto più asciutto e un approccio meno ‘esagerato’ di quello adottato da Julien Maury e Alexandre Bustillo (che pure non era certo un difetto), si perde piano piano via, sfociando in una parte finale tanto simbolica quanto decisamente meno soddisfacente, che rovina le cose buone viste fino a lì, specie l’inquietante prova della dark lady Laura Harring. La star Rachel Nichols, nei panni della madre incinta, se pota a casa il risultato, anche se rimbalza troppo dal ruolo drammatico di donna indifesa (poco avvezza) a quello di final girl (più avvezza).

train-to-busan2E proprio un’altra donna in stato interessante è tra i protagonisti della grande rivelazione della giornata (quando non addirittura dell’anno per il sottoscritto), il coreano Train to Busan di Yeon Sang-ho. A una veloce lettura lo si potrebbe bollare come ‘il solito film di zombie, ma ambientato su un treno… non sanno più cosa inventarsi’. La trama è in effetti sostanzialmente questa, un gruppo di passeggeri tranquillamente in viaggio verso la cittadina coreana del titolo si ritrova in pratica sull’unico mezzo di trasporto che può forse garantire loro la salvezza, perchè nelle strade e nelle campagne è scoppiata un’epidemia che rende le persone dei killer ipercinetici che attaccano a morsi – ovviamente – chiunque riescano a vedere (si, perchè al buio per qualche ragione non vedono nulla e quindi stanno fermi e buonini). E sappiamo tutti che dagli infetti che corrono e continuano a venirti imperterriti contro senza tregua e senza nulla che possa farli desistere non c’è scampo. Senza contare che con un solo morso, non necessariamente mortale, ti trasformano a tua volta in un membro della ciurma in pochi secondi (salvo le rare e necessarie eccezioni, chiaramente altamente patetiche, ma in senso buono). Centinaia di comparse fameliche e combattimenti disperati all’ultimo sangue, sia negli spazi angusti dei vagoni che in spazi aperti di varia natura, nessuna tregua (siamo sempre in movimento), protagonisti un po’ stereotipati ma funzionali, buonismo tenuto abbastanza a freno e addirittura momenti genuinamente commoventi fanno capire il perchè abbia infranto ogni record di biglietti venduti in patria. Da noi arriverà nella primavera 2017…

La coincidenza che lega invece il terzo film della serata, Colossal di Nacho Vigalondo, al precedente, è curiosamente l’ambientazione parzialmente coreana di parte della storia. Una parte non secondaria poi, considerando che è proprio a Seoul che si manifesta lo spaventoso mostro che distrugge improvvisamente mezza città prima di volatilizzarsi così come era apparso e che è in qualche modo misteriosamente collegato al personaggio di Anne Hathaway. Un kaijū eiga in salsa spagnola? Macchè, un film di mostri solo in apparenza. In realtà è impossibile parlarne senza spoilerare la geniale intuizione del regista, autore anche della sceneggiatura. Vi possiamo dire però che a una prima parte da commedia e più leggera (terreno fertile per la protagonista e il collega Jason Sudeikis), si contrappone una seconda decisamente più cinica e perfino amara, con riflessioni inaspettate sull’alcolismo e l’invidia. Una ricetta che lascia un po’ interdetti ma che si dimostra vincente.

A domani per la nuova pagina del nostro diario iberico.