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I diari del Lido: il Cineocchio a Venezia 73 – Giorno 6

06/09/2016 news di Giovanni Mottola

Sesta giornata che non brilla per i film presentati, dall'italiano piuma a Une Vie. Un po' meglio i due documentari, Viaggio nel cinema in 3D - Una storia vintage e Rocco, sul pornoattore Siffredi

Prima che arrivi Gianni Ippoliti a bacchettarci, facciamo uno spontaneo mea culpa: abbiamo affermato ieri, tra il serio e il faceto, che Hacksaw Ridge di Mel Gibson non avrebbe avuto alcuna possibilità di vincere il Leone in quanto troppo bello. In effetti non lo vincerà, ma soltanto perché al Concorso principale non partecipa neppure, essendo stato presentato come Evento Speciale…. Ci scusiamo quindi con i lettori per questo errore, causato da disattenzione e un po’ anche dalla confusione provocata dalle tante sezioni in cui è suddivisa la Mostra (oltre al concorso principale ve ne sono infatti altri tre, Orizzonti, Settimana della Critica e Giornate degli Autori, ognuna con una propria giuria). Dopo aver dato una bacchettata a noi stessi, ne diamo una anche all’organizzazione del festival, dal momento che ieri, dopo aver deciso di proiettare Un lupo mannaro americano a Londra nella sezione “Classici restaurati” (eccone un’altra, ma almeno questa è ben riconoscibile) e aver ottenuto per l’occasione addirittura la presenza del regista John Landis (vero e proprio mito del cinema popolare americano), non gli si è fatto presentare il film. Di ciò il pubblico, che solitamente partecipa alle proiezioni dei film noti – dunque per lo più già visti – allo scopo di poter ascoltare qualche aneddoto al riguardo, è rimasto un po’ deluso.

Molto delusi siamo invece rimasti noi vedendo il secondo film nostrano presentato in Concorso (questa volta non ci confondiamo), Piuma di Roan Johnson (trailer in fondo), che a dispetto del nome è italianissimo. Si tratta di una banale commedia riguardante due diciottenni – Cate e Ferro – che aspettano un bambino tra i timori dei genitori di lui. Timori non del tutto ingiustificati, poiché il grado di maturità dei ragazzi è tale da lasciar loro l’amaro in bocca perché la gravidanza di lei li costringerà a saltare un viaggio con gli amici in Marocco. Qualche battuta azzeccata non può essere sufficiente a portare nella principale vetrina della Mostra del Cinema di Venezia una commedia tanto banale. Un’ultima curiosità: Ferro è il nome del padre, Piuma quello della figlia. Chissà se ha voluto essere un omaggio a Mario Brega, che in Bianco, Rosso e Verdone ha reso immortale la battuta “A Se’, Sta mano po esse fero e po esse piuma: oggi è stata na piuma”?

rocco siffredi venezia 73Non convince nemmeno l’altro film in Concorso, Une Vie, tratto dall’omonimo racconto di Guy de Maupassant. Bisogna dire che, se può essere facile realizzare una riduzione cinematografica dalla letteratura minore o da quella contemporanea – che con il cinema condivide ormai spesso lo stesso linguaggio espressivo – è invece assai arduo fare altrettanto con la grande letteratura (cui indubbiamente appartiene Maupassant) che ha tra i suoi pregi quello di rendere con poche parole uno stato d’animo, una caratteristica fisica, un oggetto, un luogo, suscitando sulla pagina quelle emozioni che nessun regista potrebbe mai replicare appieno. Stephane Brizè gira un melò in costume, scegliendo di alternare insistiti primi piani, che hanno quasi l’effetto di astrarre i personaggi dal contesto storico e geografico in cui vivono, a inserti paesaggistico-musicali. Il tutto con un risultato molto calligrafico, ma altrettanto freddo, come i pochi applausi uditi in proiezione stampa.

Ben fatto, invece, il documentario Viaggio nel cinema in 3D – Una storia vintage, con il quale il regista Jesus Garces Lambert ricostruisce in un’oretta la storia di una tecnica che ci rivela essere, a differenza di quel che molti pensano, antichissima: “Il 3d è uno strumento che suscita utopie e sogni, ed entrambe costituiscono l’essenza del cinema sin dai suoi albori”. Nel film si racconta infatti dei primi esperimenti tridimensionali dei fratelli Lumiere e di Georges Melies, che si ritrovò ad adottare tale tecnica per puro caso, per passare poi al primo tentativo italiano, realizzato da Ponti e De Laurentiis con un film denominato Toto 3D che però, per problemi tecnici, finì poi con l’essere realizzato soltanto in 2d e dunque gli fu cambiato titolo in “Il più grande spettacolo del mondo”. Anche Alfred Hitchcock girò con questa tecnica Il delitto perfetto, ma anche nel suo caso la versione tridimensionale uscì solo molti anni dopo, appena prima della morte del maestro. A penalizzare il 3d sono stati, in tempi più remoti, quando cioè la tecnologia era ancora in fase di perfezionamento, il fatto che il prolungato uso dei necessari occhialini da parte dello spettatore suscitasse giramenti di testa; in un secondo momento, invece, lo scadimento della qualità dei film che venivano girati con questa tecnica, che ha finito con l’essere utilizzata solo per modesti film di genere. Naturalmente nel documentario non si dava conto delle divertenti perplessità in merito al 3D del maestro giapponese Takeshi Kitano, che anni fa dichiarò: “Va bene davvero solo per i film porno”. A proposito di porno, l’evento serale di ieri è stata la presentazione del documentario Rocco, girato dai francesi Thierry Dmaziere e Alban Teurlai sul re del settore, il nostro Siffredi, presente in sala con la famiglia. Il divo ha dichiarato al pubblico che non avrebbe mai accettato che fossero degli italiani a girare un film sulla sua vita, perché non sarebbero riusciti a schivare i pregiudizi che nel nostro paese tardano a morire e ha insistito sul fatto che il suo desiderio era quello di realizzare un lavoro improntato alla verità. A noi, però, al di là di scene indubbiamente spiritose e curiose, l’insieme è apparso un po’ ripetitivo e soprattutto parecchio costruito.

A domani