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[I diari del Lido: il Cineocchio a Venezia 74] Giorno 4 – La voce di Clooney

03/09/2017 news di Giovanni Mottola

A Venezia va in scena un Festival a più voci, originali o doppiate che siano. Tra tutte, spicca quella del regista di Suburbicon

Il pubblico di un Festival del cinema si compone per lo più di puristi, i quali inorridiscono all’idea di assistere a un film non in lingua originale. In realtà il doppiaggio è una tecnica salvifica per l’essenza stessa del cinema, che si fonda sull’immagine più che sulla parola, in quanto consente allo spettatore di assistere liberamente alla prima senza che da essa lo distragga la lettura della seconda quando espressa in una lingua a lui sconosciuta. Oltre a ciò, bisogna comunque riconoscere che quei paesi in cui il doppiaggio è praticato, come per esempio l’Italia, hanno prodotto una schiera di veri e propri artisti nel campo, spesso migliori delle voci originali. A costoro rende omaggio il libro Senti chi parla, scritto da Massimo M. Veronese, Maurizio Pittiglio e Simonetta Caminiti, e presentato oggi nello spazio della Regione Veneto all’interno del Grand Hotel Excelsior. I tre autori hanno realizzato i ritratti, pieni di curiosità, di 101 doppiatori del cinema italiano, partendo dalla battuta più famosa che ciascuno di essi ha pronunciato. L’incontro è stato inoltre l’occasione per rivedere spezzoni del lavoro di alcuni di essi. Albertro Sordi, per esempio, che a inizio carriera, quando in pochi ancora conoscevano il suo volto, si presentava dicendo: “Ed ecco a voi, in carne ed ossa, la vera voce di Oliver Hardy”. Il primo ricordo è stato quindi per lui e per il suo “collega” Mauro Zambuto, che diede voce a Stanlio prima di intraprendere una carriera completamente diversa come scienziato in America. Si è poi parlato del grande Ferruccio Amendola e di Carlo Romano, valido attore in tanti film tra i quali I vitelloni di Fellini, ma ancor più conosciuto per essere la voce di Don Camillo e Jerry Lewis, così come del Sergente Garcia di Zorro o di Nick Carter. Ospiti dell’incontro, Chiara Colizzi (Kidman, Thurman, Winslet) e Angelo Maggi (Hanks, Downey jr., Grant, oltre al Commissario Winechester dei Simpson) hanno offerto dimostrazione pratica di doppiaggio cimentandosi in parodie di film celebri parodiati in dialetto veneziano. Prima di concludere si è voluto rendere anche un omaggio a un grande da poco scomparso, Paolo Villaggio, mostrando una scena del suo unico lavoro da doppiatore, nella parte del bambino del film che porta lo stesso nome del libro, “Senti chi parla”.

voce di fantozzi villaggioAncora in onore di Villaggio, è stato proiettato oggi il documentario dal titolo, neanche a farlo apposta, La voce di Fantozzi, che raccoglie le testimonianze di alcuni suoi amici e compagni di lavoro o ammiratori celebri. In sala erano presenti, molto emozionati, i figli Piero ed Elisabetta, oltre a Milena Vukotic e Paolo Paoloni, il famigerato Megadirettore Galattico. A dire il vero il documentario è stata una parziale delusione. Passi la scelta di non riproporre alcuna scena tratta dai film di Fantozzi, viste e riviste, ma nel complesso il lavoro contiene alcuni passaggi narrativi di scarso interesse che potevano essere sostituiti da un maggiore approfondimento nelle interviste. I momenti migliori sono quelli in cui a parlare è lo stesso Villaggio, interessante e mai banale.

Un altro documentario che soffre un po’ gli stessi difetti di questo è Diva di Francesco Patierno, che racconta con (anche troppa) originalità la biografia di Valentina Cortese. Il regista si rifà al libro autobiografico dell’attrice “Quanti sono i domani passati”, traendone ampi stralci che fa interpretare ad otto attrici diverse, tra cui Carolina Crescentini, Anita Caprioli, Isabella Ferrari e Barbora Bobulova. Sarebbe fin troppo scontata la battuta che oggi ci vogliono otto attrici per fare una Valentina Cortese. La verità è che questa trovata costituisce una velleità autoriale per nulla funzionale al documentario, penalizzato anche dal fatto che siano stati scelti i brani più tendenti al pettegolezzo che non alle vicende professionali di un’attrice che è stata regina del teatro più ancora che del cinema. Chi non la conosce, se ne fa un’idea parziale, per non dire errata; chi la conosce, s’indispone per tutte le lacune del documentario. Gradevole, comunque, vedere gli spezzoni di alcuni suoi film dimenticati o di qualche scena durante la lavorazione dei medesimi.

suburbicon damon clooneyDato che siamo in tema di divi, passiamo da quelli di ieri a quelli di oggi riferendo che il grande protagonista di giornata è stato George Clooney con il suo ultimo film Suburbicon. E’ una sceneggiatura scritta dai fratelli Coen nel 1986 e ambientata nell’America a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, rimasta nel cassetto finché Clooney non si è offerto di realizzarla, aggiungendo nel copione la presenza di una famiglia nera. Tutto il quartiere scatena l’odio razziale verso i nuovi arrivati, ma i veri mostri sono i membri della famiglia Lodge, i vicini di casa, impersonati da Matt Damon e Julianne Moore. Il film funziona da ogni punto di vista: ben recitato, pieno di ritmo, vivace nella sceneggiatura, con un’ironia che alleggerisce i momenti che rischierebbero di farlo scivolare nella retorica. Oscilla tra la piega beffarda e tarantiniana, tipica delle sceneggiature dei Coen, e quella politicizzata voluta da Clooney. Il quale, in conferenza stampa – dove si è presentato con uno stile meno scherzoso del solito, quasi istituzionale – ha spiegato che pur parlando del passato, questo film dev’essere anche un monito affinché certe situazioni sgradevoli accadute nel suo paese non si ripropongano nel presente. L’ostilità di questo messaggio nei confronti di Donald Trump è talmente chiara da aver suscitato domande di approfondimento sul tema, che Clooney ha saggiamente eluso, dichiarando che al film stava lavorando da due anni, prima di sapere chi sarebbe stato il nuovo inquilino della Casa Bianca. Posizione per la quale sembra aver avanzato, con Suburbicon, la propria candidatura ufficiale.

A domani.