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Voto: 6/10 Titolo originale: Hunt for the Wilderpeople , uscita: 31-03-2016. Budget: $2,500,000. Regista: Taika Waititi.

Selvaggi in fuga | La recensione del film di Taika Waititi

02/12/2016 recensione film di Alessandro Gamma

Sam Neill e Julian Dennison sono i peculiari protagonisti di un film che diverte e intrattiene pur non spingendosi oltre il seminato

A detta di tutti, il regista neozelandese Taika Waititi (What We Do in the Shadows) pare essere una persona molto simpatica che, di conseguenza, rende molto piacevoli i suoi film. Waititi continua a cavalcare quell’onda di simpatia con Selvaggi in fuga (Hunt for the Wilderpeople), una dramedy perfettamente adorabile che si sforza di evitare di offendere o provocare chichessia. E nel tentativo dei estendere tale piacevolezza all’infinito, il regista ha realizzato un’opera impantanata nella terra di mezzo, un terreno segnato dalla mancanza di innovazione.

Questa stessa mancanza di ingegno non si può dire manchi però a Ricky Baker (Julian Dennison), un ragazzino dato in affidamento precoce che viene trasferito nella casa di Bella (Rima Te Wiata) e Hec (Sam Neill). Considerato un delinquente da una donna che lavora per i servizi sociali (Rachel House), Ricky dimostra subito di essere nient’altro che di essere stato cresciuto un po’ nel modo sbagliato. Con una certa affinità sia con Tupac che con i Twinkies, non ci vuole molto prima che a Bella si riscaldi il cuore per l’eccentricità del giovane. Tuttavia, quando si verifica una tragedia che minaccia di rispedire Ricky in un’altra casa, il simpatico e cicciottello protagonista e Hec, un laconico musone, si imbarcano in un’avventura tra i boschi selvaggi della Nuova Zelanda.

locandina-hunt-for-the-wilderpeopleResistendo all’affetto di Ricky, Hec è inizialmente preoccupato di “correre tra i cespugli” con un ragazzo che non ha nè voluto né capisce. Mentre attraversano insieme la poco accogliente boscaglia, sboccia però un tenero rapporto. Lo sviluppo di questo avvicinamento familiare si verifica mentre inizia una vasta caccia all’uomo nazionale alla ricerca di Ricky. Guidata dal personaggio della House, frotte di persone sono in cerca del ragazzino, che credono essere stato rapito dall’uomo. Una confusione collettiva consuma cittadini e forze di polizia della Nuova Zelanda, i quali si rivelano all’improvviso inaspettatamente (e quasi comicamente) ferventi nel riportare Ricky nella società.

Basato sull’omonimo libro del prolifico e compianto autore neozelandese Barry Crump, Waititi mantiene questo dramma, parte road comedy e parte coming-of-age, vivo attraverso le risate. Ricky è abbastanza facilmente l’asso nella manica del film. Ogni volta che la sceneggiatura di Waititi vacilla drammaticamente, Dennison è lì per iniettare qualche tumultuosa battuta. Non importa quanto sia terribile la situazione che lui e Hec stiano fronteggiando, Ricky non può evitare di scherzare sulla situazione.

Si tratta di un personaggio che abbiamo già visto prima al cinema: un preadolescente consapevole che usa la sua intelligenza per l’autoironia e il sarcasmo. Il bagaglio comico di Ricky è ben fornito di gadget che gli permettono di deviare e deflettere. Tutto pur di evitare di sentire il dolore che la sua famiglia, o la sua assenza, ha causato. Lo sconforto non è un’opzione, così lui racconta barzellette. Ma il personaggio non è cattivo con sé stesso. Schietto e onesto, lui stesso si piace per quello che è e per quello che sarà un giorno, se gliene sarà data l’opportunità.

Per animare lo svolgimento, Taika Waititi prende in prestito qualche pagina dal manuale visivo di Wes Anderson. C’è un uso intelligente dello zoom, rapidi stacchi e una simmetria spaziale che sembrano omaggi diretti a opere come I Tenenbaum e Grand Budapest Hotel. L’emulazione alla fine cade tuttavia nell’imitazione. Nei milieu di Anderson, è presente un diluvio di fantastico. I suoi eloquenti protagonisti sputano poetiche linee di dialogo che nella realtà possono essere soltanto scritte, non pronunciate a voce alta. Ciò riesce a passare nella confezione di Anderson, perché la sua inebriante fantasia è coerente, incessante. Waititi si sposta invece avanti e indietro tra la natura selvaggia, dove un minaccioso cinghiale attacca Hec, e gli insolenti tête-à-tête tra Ricky e apparentemente ogni essere umano.

hunt-for-the-wilderpeopleIl personaggio interpretato dalla House, per esempio, esiste in un film diverso. La sua follia sopra le righe è sempre divertente, ma nel contesto della storia sembra fuori posto. Perché continua urlare senza posa mentre insegue Ricky? Perché deve minare la giocosità del film con le sue stranezze? Dopo circa mezz’ora, la donna non è più una responsabile dei servizi sociali che intende garantire una vita migliore a Ricky. E’ un villain senza spina dorsale, le cui malevole motivazioni emergono in maniera inaspettata.

Nel complesso comunque, Selvaggi in fuga sa cos’è e fa bene il suo lavoro. Taika Waititi, che è stato scelto dalla Marvel per dirigere Thor: Ragnarok, sa come costruire un film solido con personaggi caldi e gioiosamente tridimensionali. E’ da stabilire se il suo talento si estenda al di là della quotidianità del sottobosco indipendente, in cui la pellicola si adagia. E’ convenzionalmente non convenzionale nel modo in cui i film d’essai – spesso distribuiti da studi come la Fox Searchlight – in genere sono. Nessuno potrà detestare quest’opera. Solamente è improbabile che allo stesso modo qualcuno la adorerà.

Di seguito il trailer ufficiale di Selvaggi in fuga / Hunt for the Wilderpeople, che non ha ancora una data di distribuzione per l’Italia al momento: