Home » Cinema » Azione & Avventura » Il Giustiziere della Notte (2018): la recensione del film di Eli Roth

Voto: 6/10 Titolo originale: Death Wish , uscita: 02-03-2018. Budget: $30,000,000. Regista: Eli Roth.

Il Giustiziere della Notte (2018): la recensione del film di Eli Roth

12/03/2020 recensione film di Alessandro Gamma

Bruce Willis è il protagonista di un remake inevitabilmente destinato a spaccare il pubblico per il modo in cui sceglie di affrontare argomenti spinosi come la vendetta privata e il piacere nel compierla

Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio, qualora ce ne fosse davvero il bisogno e non fosse stata sufficiente a chiarire la situazione già la prima visione del primissimo trailer diffuso online di Il Giustiziere della Notte 2018 (Death Wish): con il controverso classico del 1974 diretto da Michael Winner, il film diretto da Eli Roth (Hostel) ha in comune grossomodo solo il titolo e il nome del protagonista.

L’ambientazione metropolitana si sposta da New York a Chicago (che un po’ è Montreal in realtà e che forse è un omaggio proprio al finale della pellicola originale), il protagonista è un chirurgo e non un ingegnere (e men che meno un obiettore di coscienza), la figlia non viene stuprata (o almeno non ci è dato saperlo, ma sarebbe curioso se avessero omesso questo dettaglio non da poco), non c’è più bisogno di andare fino a Tucson per imparare l’autodifesa (e l’offesa …), ma soprattutto, alla fine gli assassini vengono tutti presi e puniti. Un bel po’ di novità dunque.

La trama di fondo bene o male rimane ovviamente la stessa. Paul Kersey (Bruce Willis) è un chirurgo della pericolosissima e malfamata Chicago – degna della Detroit di RoboCop – che lavora sodo in un pronto soccorso, provando ogni giorno – e notte – a salvare la vita di qualsiasi paziente gli portino sul tavolo operatorio.

Quando sua moglie Lucy (Elisabeth Shue, che curiosamente torna a lavorare con Vincent D’Onofrio, qui fratello di Paul, a 30 anni da Tutto quella Notte) viene uccisa e la figlia Jordan (Camila Morrone) finisce in coma dopo che una banda di rapinatori ha fatto irruzione nella loro casa per una rapina che finisce male mentre lui non c’è, Paul rimane frustrato dalla mancanza di una risposta veloce e decisa della polizia (non è un caso che uno dei detective sul caso sia Dean Norris …).

Incapace di dormire e determinato ad avere giustizia, l’uomo intraprende così un corso ‘fai da te’ da vigilante, seguendo lezioni su YouTube e raccogliendo armi non rintracciabili da pazienti malavitosi deceduti. Indossando una felpa con cappuccio per celare il suo viso (e la riconoscibile pelata), Paul, dopo un primo incespicante approccio – che lo porta però a diventare una star del web e dei talk show -, inizia a prenderci gusto, fino a quando non trova casualmente il primo dei delinquenti che gli hanno distrutto la vita. Da lì, la sua vendetta sarà implacabile.

Ora, dovendo affrontare un titolo comunque spinoso come Il Giustiziere della Notte e doverlo fare in un periodo storico come questo, dove dall’altro lato dell’Oceano abbiamo stragi nelle scuole più o meno all’ordine del giorno e un Presidente che vuole dare in mano le armi anche agli insegnanti, mentre dalle nostre parti si dibatte sull’eccesso di legittima difesa di negozianti e privati cittadini che subiscono rapine e infrazioni, sarebbe facile leggere il film di Eli Roth come un pericoloso e irresponsabile inno alla violenza fascistoide (o repubblicana se volete …). Il film con Charles Bronson era cupo, decisamente, e in gran parte ammantato del desolato colore della notte, che naturalmente fungeva da perfetto contraltare morale.

Qui invece tutto è luminoso, chiaro e nitido, indipendentemente dall’orario. Certo, l’opera di Winner era provocatoria nello sguardo verso le azioni di Kersey, lasciando per lo più ogni giudizio al punto di vista personale dello spettatore. Il remake – 45 anni dopo – affida invece il forse ancor più complesso e accesissimo dibattito esclusivamente ai talk show live dei conduttori radiofonici (tra cui i veri DJ Mancow Muller e Sway Calloway) in sottofondo, mentre Kersey procede nella sua campagna di vigilantismo senza grosse remore interiori.

Non ci sono zone grigie, Roth – e la sceneggiatura di Joe Carnahan, ispirata al romanzo di Brian Garfield – sembra affermare che il protagonista è decisamente nel giusto, e che l’uomo comune dovrebbe seguire il suo esempio, e non solo se si trovasse in quelle circostanze, perchè la situazione nelle grandi metropoli è divenuta insostenibile e lo Stato è assente (o comunque presente poco e male).

Qui allora forse bisogna cercare di lasciare da parte – per quanto possibile – le questioni prettamente morali, razziali (i criminali rappresentati sono di tutti i colori, ma un vigilante bianco certo è visto in modo diverso dall’opinione pubblica) e contingenti e provare a pensare che Eli Roth, del quale non serve certo ricordare il curriculum e l’amore dichiarato per i film truci degli anni ’70 per poterci credere, abbia soltanto voluto girare un b-movie tutto azione e con un giustiziere senza mezzi termini, guardando con forza ad anti-eroi come Harry CallahanMarion Cobretti, Judge Dredd e Punisher piuttosto che al Choi Min-sik di Old Boy.

In tal senso siamo molto quindi più dalle parti di uno dei quattro ‘scombinati’ sequel di Il Giustiziere della Notte o addirittura del più drammatico Death Sentence di James Wan.

Una prova di questo approccio consapevole e irriverente – addirittura caustico – all’America di oggi, sono le televendite (che riportano alla mente gli spot per arruolarsi presenti in Starship Troopers di Paul Verhoeven) in cui un’avvenente signorina bionda propone un arsenale di armi da guerra scontate al 50% e poco dopo fa il pieno di nuovi clienti nel suo negozio, come vediamo quando lo stesso Bruce Willis si palesa in cerca di consigli e ottiene una completissima istruzione su quanto sia facile da quelle parti ottenere per un privato cittadino un fucile d’assalto.

Il regista di Cabin Fever gioca poi molto sull’aspetto più assurdo di un tema delicatissimo come quello della giustizia personale, facendo passare mediaticamente il ‘giustiziere col cappuccio’ alla stregua di un supereroe e innescando sondaggi e parole di tendenza sui social degni della Marvel, con il #TeamGrimReaper che supporta il suo operato. Poco importa se ai margini venga sussurrato il possibile effetto collaterale degli improvvisati imitatori seriali e sottolineato che la polizia è surclassata da casi di morte violenta e circondata da gente che non vuole testimoniare. Non sono elementi che interessano a quanto pare al cittadino medio americano quando si tratta di pareggiare i conti.

Certo, è innegabile che il film di Roth sia un’apologia all’uso delle armi, presentate come la soluzione principale a ogni torto subìto.

Quando è ancora agli inizi della sua missione, Kersey viene pestato da alcuni teppisti proprio perché si presenta impreparato (aka coi soli pugni nudi) ed è solamente quando finalmente ha una pistola che sente di avere il potere – e la giustizia – tra le proprie mani. John McClane Paul Kersey non è certo un killer infallibile da subito (si ferisce e si esercita a prendere la mira con perizia), ma non si trova mai vicino a finire nei guai seriamente e anzi vive piuttosto serenamente la sua evoluzione, come notato anche dalla psicologa che lo segue dopo i tragici eventi familiari.

Tutto questo potrebbe portare chi ha deciso di dare a un film con queste premesse una qualche connotazione ‘educativa’ o riflessiva a rimanere fortemente deluso e amareggiato da cotanta celebrazione non solo della violenza e della tortura (Eli Roth ci tiene in diversi momenti a ricordare i suoi trascorsi nel genere torture horror), ma dell’uso indiscriminato delle armi. Se nella pellicola originale con Charles Bronson la violenza portava solo alla rovina di tutto ciò con cui veniva in contatto, nel remake è piuttosto un toccasana.

Insomma, Il Giustiziere della Notte 2018 è destinato a spaccare critica e pubblico – specialmente negli Stati Uniti, terra di contraddizioni e perbenismo di facciata per eccellenza. Ma è davvero giusto caricare un film action con un Bruce Willis ormai in fase discendente di carriera, diretto da Eli Roth e piuttosto esplicito fin dai trailer (in cui, tra le altre cose, risuona la stilosa Back in Black degli AC/DC) di significati ideologici che vanno oltre l’intrattenimento e lo sfogo fittizio di permanenti oscure fantasie di vendetta represse al pari di numerosi videogiochi – comunque contestati sia chiaro -, come ad esempio Grand Theft Auto?

Vi rimandiamo intanto al nostro dossier ‘Chi sorveglia i vigilantes? La vendetta dell’uomo comune al cinema’, mentre di seguito il trailer italiano di Il Giustiziere della Notte: