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[recensione libro + intervista] Di Leo Calibro 9 di Gordiano Lupi e Davide Magnisi

23/03/2017 news di Sabrina Crivelli

La biografia del rivoluzionario regista italiano è accompagnata da una raccolta di interviste inedite alle grandi personalità del suo cinema, che ne forniscono un vivido ritratto

Trascurato, addirittura vituperato in alcuni casi, Fernando di Leo è stato per lungo tempo sottovalutato dalla critica nostrana. Anni dopo, il suo riscatto è giunto d’oltreoceano, quando Quentin Tarantino, grande estimatore di un certo cinema italiano, ne ha sostenuto il valore e confermato, per alcuni dei suoi film più celebri, quali Pulp Fiction (1994) o Le iene (Reservoir Dogs, 1992), il debito indiscutibile. Certo meno edificante di pellicole più retoriche, perciò inviso a molti che lo hanno giudicato troppo violento o sadico, il corpus dileiano ha però una forza, un’irriverenza che in pochi altri possono vantare. Infine a un contenuto controverso l’autore ha accompagnato una tecnica impeccabile, ad un’estrema cura nel girato valida per tutta la sua filmografia, si combinano allora ambientazioni torbide e realistiche di opere come La mala ordina (1972), tematiche particolarmente scottanti ispirate a casi di cronaca come in Il poliziotto è marcio (1974), nonché ad un’attenzione particolare ai movimenti giovanili coevi, il cui acmé è costituito da Avere vent’anni (1978), inno alla controcultura con un epilogo tanto scioccante per i tempi da essere stato tagliato nella sua uscita in sala.

Di Leo 1Sempre controcorrente, il regista ha lasciato un segno permanente nella produzione di genere, tanto maltrattato in precedenza, ora riscoperto su diversi fronti, inizia ad avere perciò il riconoscimento che merita. Nell’iter ormai consolidato di riscoperta dell’autore si inserisce Di Leo Calibro 9. Erotismo e noir nel cinema di Fernando di Leo (Il Foglio, 2017), saggio dalla struttura bipartita stilato a quattro mani da Gordiano Lupi e Davide Magnisi. Il primo, quale critico e storico ha già nel 2009 approfondito il medesimo soggetto in Fernando Di Leo e il suo cinema nero e perverso (Profondo Rosso, 2009), ma molteplici sono protagonisti del cinema italiano del passato da lui trattati nelle sue monografie, tra cui Orrore, erotismo e pornografia secondo Joe d’Amato (Profondo Rosso, 2004), l cittadino si ribella: il cinema di Enzo G. Castellari (in collaborazione con Fabio Zanello, Profondo Rosso, 2006), Filmare la morte – Il cinema horror e thriller di Lucio Fulci (Il Foglio Letterario, 2006); a ciò si aggiunge il lavoro enciclopedico affrontato nella sua raccolta in cinque volumi Storia del cinema horror italiano (Il Foglio, 2011-2015), nonché diversi ottimi romanzi, tra cui Calcio e acciaio (Acar, 2014) Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano (Historica, 2015). Magnisi d’altra parte è docente di materie letterarie, collabora con diverse riveste di settore e quotidiani, ha scritto Gli orizzonti del cinema di Stanley Kubrick insieme a Livio Costarella (Adda 2003) e ha partecipato a più lavori collettanei quali Cineasti di Puglia (2006-2007) Il cinema di Sergio Rubini (2011), Riccardo Cucciolla (2012), Il cinema di Giorgio Pastina (2014), Il cinema di Domenico Paolella (2014). Infine è stato più volte giurato in festival del cinema internazionali.

Volendo quindi fornire una prospettiva a tutto tondo sul regista pugliese, Di Leo Calibro 9 è diviso in due parti, una storico- critica, curata da Lupi, e una incentrata su una serie di interviste, ad opera di Magnisi. Principiando quindi da una sezione biografica, è trattata anzitutto l’attività di sceneggiatore in alcuni dei più celebri Spaghetti Western, tra cui Per un pugno di dollari (1964) di Sergio Leone nei cui crediti però non appare, Tempo di Massacro di Lucio Fulci (1966) e Wanted di Giorgio Ferroni (pseudonimo di Jackson Calvin Padget, 1967). Segue poi un excursus sui film da lui diretti: dall’esordio nel 1968 con Rose rosse per il Furher, agli erotici Brucia ragazzo brucia e Amarsi male ambedue del 1969, fino alle opere da nero realismo, dal scerbanenchiano ispettore Duca Lamberti in I ragazzi del massacro alla ‘Trilogia della mala‘, con gli indimenticabili Milano calibro 9 (1972), La mala ordina (1972) e Il boss (1973), per giungere all’epocale Avere vent’anni e agli ultimi lavori nel primo quinquennio degli anni ’80. Vengono quindi delineate non solo a livello complessivo le coordinate storiche, ma concentrandosi su singoli titoli o fasi della carriera dileiano alcuni fondamentali nodi tematici ed estetici, che ancor più evidenziano la rilevanza e la sovversività della sua duplice cinematografia, noir come erotica. Infine, è presente una nutrita raccolta di interviste ad alcuni dei personaggi fondamentali per la produzione del regista, tra cui la moglie Rita di Leo, professore emerito presso l’Università La Sapienza di Roma, Mario Tronti, militante nel PCI e fondatore dei Quaderni rossi, lo sceneggiatore Vincenzo dell’Aquila, il regista Ruggero Deodato e l’iconica attrice Gloria Guida. Attraverso le testimonianze dirette di coloro che hanno lavorato con Di Leo viene così ricostruito un vivido ritratto del grande uomo, oltre che dell’indiscutibile maestro del cinema italiano.

Di Leo 2Abbiamo quindi intervistato gli autori del volume, per approfondire alcuni elementi chiave e curiosità, a partire dall’origine della scelta di trattare Di Leo, a qualche curiosità sulle molteplici interviste inserite nel volume, alla attuale situazione della produzione cinematografica italiana, fino ai futuri approfondimenti necessari nella riscoperta di altri autori ingiustamente trascurati.

Come mai avete scelto di trattare il cinema e l’opera di Fernando di Leo?

LUPI: Sono anni che mi occupo di cinema italiano. Il mio primo libro è stato su Deodato, poi sono passato a D’Amato, Fulci, Cozzi, Brass, Fellini… Adesso mi sto occupando di Pupi Avati. Ho scritto una storia del cinema horror italiano e una storia della commedia sexy. Molto altro che dimentico. Di Leo ha un posto importante nel cinema italiano che amo.

MAGNISI: Per quanto mi riguarda, mi sono avvicinato a di Leo per la curiosità di occuparmi di cinema di genere italiano. Leggevo continuamente della rivalutazione in corso di questa parte dimenticata, negletta, trascurata della nostra storia culturale e sono stato spinto dalla voglia di capire le ragioni delle stroncature del passato e della nuova attenzione di oggi. Le sorprese sono state molte. Spero che il libro riesca a restituirle. Poi, di Leo è anche un pugliese come me.

Di Leo 3Come ha influenzato la cinematografia italiana successiva? Tarantino lo cita tra i suoi registi italiani cult, ma ha davvero influito fuori dall’Italia?

LUPI: Tarantino in realtà è un americano molto intelligente, lui dice di essere stato influenzato da tutti e quando viene in Italia i vecchi maestri sono tutti italiani. Idem quando va in Spagna, sono tutti spagnoli… A parte le battute, la trilogia della mala di Fernando di Leo, ispirata a Scerbanenco, è una pietra miliare del noir internazionale. Il destino dei grandi è l’oblio, perché lo scrittore non viene considerato letteratura e il regista non è reputato cinema alto.

Grandi autori come lui, o come Fulci o Aristide Massaccesi per dirne due (altrettanto unici a loro modo) sono stati messi da parte già alla fine degli anni ’80 e ‘il genere’ è un po’ morto con loro (pur con Lenzi, Argento, Bava e Deodato che hanno provato a fare qualcosa, con alterne fortune); è davvero un periodo felice finito per sempre? Lo sperimentalismo e la voglia di osare sono ancora possibili? Vedete delle eccezioni / tentativi in Italia in questi anni?

LUPI: Periodo morto e sepolto. Vivo solo nel ricordo di molti fan. Segni di vita provengono da opere come Lo chiamavano Jeeg Robot e da cose come Non essere cattivo, ma sono piccoli fiori in un giardino di sterpi. Grandi vecchi come Ruggero Deodato osano ancora, ma non trovano distribuzione.

Di LeoQuali secondo voi sono gli aspetti più importanti e soprattutto gli insegnamenti che l’attuale cinema italiano dovrebbe apprendere dalla produzione di Di Leo?

LUPI: Gli autori di oggi, molto televisivi, hanno tutto da imparare, ma non credo che ne abbiano voglia. Sollima figlio, per esempio, non ha niente dello stile del padre. Cambiano i tempi, certo, a mio avviso in peggio.

E’ stato complesso realizzare le interviste? Come sono stati contattati gli intervistati?

MAGNISI: E’ stato difficile soprattutto cominciare a entrare nell’ingranaggio. Alcune attrici del passato non avevano voglia di ricordare quei film, altri intervistati, invece, ne riparlavano volentieri, come un periodo libero e felice della loro esistenza e del cinema italiano. Sorprendente è stato scoprire la figura di di Leo farsi luce tra mille sfaccettature diverse. Mi sembrava di essere il giornalista di “Quarto potere” che scopre come l’oggetto della sua indagine muta continuamente a seconda dei diversi punti di vista.

Ci sono ancora autori che sono stati trascurati a livello critico o storico (nel cinema di ‘genere’ e non) ed è perciò necessario riscoprirli e approfondirli?

LUPI: Molto è stato fatto da “Nocturno”, “Cine ’70”, “Amarcord” e da autori come Roberto Poppi, Fabio Melelli, Roberto Curti, Rudy Salvagnini… l’elenco sarebbe lunghissimo. Ma resta ancora molto da fare. Ci sono ancora tanti registi che non hanno trovato il giusto spazio critico. Se la vita ce ne darà il tempo…