Home » Cinema » Sci-Fi & Fantasy » [recensione libro + intervista] Studio Ghibli. L’animazione utopica e meravigliosa di Miyazaki e Takahata di Enrico Azzano e Andrea Fontana

[recensione libro + intervista] Studio Ghibli. L’animazione utopica e meravigliosa di Miyazaki e Takahata di Enrico Azzano e Andrea Fontana

22/06/2017 news di Sabrina Crivelli

Un viaggio completo e appassionato nel regno dei sogni e della follia, nella storia dei suo fondatori e dei suoi protagonisti

Fucina dove i sogni prendono la forma di disegni animati, lo Studio Ghibli è una delle case di produzione più rinomate di sempre e insieme alla Toho ha l’incontestabile merito di aver esportato a livello mondiale la cinematografia della sua terra d’origine, il Giappone. Fondato il 15 giugno 1985 da due indiscussi maestri nipponici, i geniali Hayao Miyazaki e Isao Takahata, l’antitetica essenza dei due ha sempre rappresentato le due opposte anime di quel luogo incantato, riuscendo a unire una visione fanciullesca e un’estrema profondità nei temi trattati in un equilibrio perfetto, un notevole successo commerciale e l’unicità della creazione artistica, così da prosperare per più di un trentennio e di acquisire fama universale. Ne nascono pellicole indimenticabili che hanno segnato la storia del cinema, come le miyazakiane Il mio vicino Totoro (となりのトトロ Tonari no Totoro), che ha determinato l’immaginario di generazioni e il cui tenero personaggio è divenuto il logo dello Studio stesso, o La Città incantata (千と千尋の神隠し Sen to Chihiro no kamikakushi), vincitrice dell’Oscar per il Miglior film d’animazione nel 2003, oppure le struggenti e takahatiane Una tomba per le lucciole (火垂るの墓 Hotaru no haka) e La storia della principessa splendente (かぐや姫の物語 Kaguya-hime no monogatari). Non solo, centro attrattivo per grandi talenti, quali Yoshifumi Kondō o Hiromasa Yonebayashi, la politica dell’illuminato colosso cinematografico del Sol Levante ha abbinato notevoli incassi globale, anche grazie all’intelligente operato del produttore e partner di lunga data Toshio Suzuki, a un’indiscutibile qualità e unicità, creando un’impresa attiva e remunerativa, ma realizzando anche film dalla grande levatura artistica, contraddistinti dal disegno a mano combinato con le moderne tecniche d’animazione.

la-citta-incantata-%e5%8d%83%e3%81%a8%e5%8d%83%e5%b0%8b%e3%81%ae%e7%a5%9e%e9%9a%a0%e3%81%97-cibo-ghibli-7Soggetto incredibilmente affascinante, dunque, si riscontra la sconcertante penuria di lavori monografici in sede nostrana incentrati sulla casa di produzione giapponese, essendo più sovente dedicati saggi alla sola figura di Miyazaki e alla sua filmografia. A porvi rimedio è Studio Ghibli. L’animazione utopica e meravigliosa di Miyazaki e Takahata di Enrico Azzano e Andrea Fontana (Bietti, 2015, p. 260, ill.) che delinea con stile impeccabile, la storia di tale istituzione e dei suoi protagonisti, inserendo in una prospettiva cronologica compiuta l’analisi dei singoli lavori e delle singole fasi. Aperto dall’introduzione di Jurij Norštejn, a cui dobbiamo Il riccio nella nebbiaL’airone e la gru Il racconto dei racconti, segue poi una prima parte composta da quattro capitoli, un excursus storico di Azzano teso a rendere il contesto generale, due sezioni incentrate ciascuna su uno dei fondatori, quella su Takahata di Fontana e su Miyazaki sempre di Azzano, poi Andrea Fontana delinea una rassegna meticolosa degli eredi dei due numi tutelari, infine, a chiusura, troviamo le schede analitiche dei lungometraggi. Nella seconda parte altresì è contenuta una poliedrica rassegna suddivisa per contributi esterni firmati da plurimi studiosi, che approfondiscono alcune tematiche fondamentali: Mariuccia Ciotta delinea un parallelo con la Disney, Sergio Sozzo e Aldo Spiniello le affinità tra i lavori di Takahata e Miyazaki, Massimo Soumaré esamina l’elemento folklorico e Matteo Boscarol quello storico e politico e Giampiero Raganelli si concentra su Story of Yanagawa’s Canals; inoltre Matteo Stefanelli tratteggia la produzione fumettistica miyazakiana nel complesso e Francesco Boille Nausicaä della Valle del vento nello specifico; in ultimo Raffaele Meale analizza il ruolo fondamentale degli incipit nella filmografia ghibliana, mentre Luca Della Casa sottolinea il suo lascito nell’animazione giapponese. A conclusione variegate personalità artistiche, quali Manuele Fior, Sualzo, Emanuele Tenderin e Carlo Hintermann hanno parlato del loro debito con il mitico studio e dell’influsso sulle loro creazioni.

Ponyo sulla scogliera (2)Fondendo quindi la meticolosità di uno scritto critico al coinvolgimento emotivo dell’appassionato, Studio Ghibli. L’animazione utopica e meravigliosa di Miyazaki e Takahata sa condurre il lettore in un percorso completo e al contempo entusiasmante che dipana le mille sfaccettature di uno dei luoghi sacri del cinema nipponico e mondiale.

Abbiamo quindi intervistato i due autori del volume, per approfondire alcuni temi chiave, a partire dall’origine del progetto a più mani, al coinvolgimento di Norštejn e degli studiosi che hanno contribuito alla stesura, al confronto tra CGI e animazione tradizionale, fino a riflessioni sul futuro dello Studio Ghibli

Come è nato il progetto e da cosa è scaturita la scelta di una monografia sullo Studio Ghibli?

– F. Con Enrico condividiamo l’amore per l’animazione e in particolare per quella dello Studio Ghibli. Entrambi riteniamo che abbia avuto un ruolo cruciale nella storia degli anime e del cinema tout court, ma anche nella nostra vita privata. Anni fa, durante il Festival del cinema di Roma, si ipotizzò un’idea, un azzardo. Nel frattempo ognuno di noi ha seguito le proprie strade, che talvolta si sono incrociate (abbiamo curato insieme a Davide Tarò la monografia dedicata a Satoshi Kon edita da Il Foglio Letterario). Poi mi si è presentata l’occasione di fare qualcosa con Bietti. Volevano che pubblicassi di nuovo con loro dopo il mio La bomba e l’onda: non ho avuto dubbi, doveva essere il libro che mancava dedicato allo Studio Ghibli e dovevo farlo con Enrico. Senza di lui avrei rinunciato senza esitazione.

– A. La scintilla è partita da Andrea, che aveva già pubblicato con Bietti. Io ci ho pensato un po’, qualche mese, perché dei due sono quello che ha chiaramente il compito di rallentare progetti e scrittura. Mi riesce benissimo.

Come avete coinvolto il maestro russo Jurij Norštejn, al quale si deve peraltro la prefazione?

kiki-consegne-a-domicilio-ghibli-hayao– A. La risposta ha un nome e un cognome: Eugenia Gaglianone. Norštejn era un nome perfetto per la prefazione al volume sullo Studio Ghibli, ma apparentemente irraggiungibile. Cavalcando un insensato entusiasmo, ci abbiamo provato, confidando nella teoria dei sei gradi di separazione. Ne sono bastati meno: l’amico Donatello Fumarola (Fuori Orario e mille altre cose) ci ha messo in contatto con la splendida Eugenia, studiosa di lingua, letteratura e cinema russo, nonché contatto direttissimo con Norštejn. Tra lei e Norštejn hanno fatto a gara di gentilezza e disponibilità: il risultato è una prefazione illuminante, umanissima, orgogliosamente politica.

Il volume vede l’apporto e la partecipazione di molteplici studiosi. Come avete selezionato e coadiuvato il gruppo di lavoro?

– F. Mi è sempre piaciuta l’idea dei volumi collettanei. Non c’è libro che abbia curato in cui non abbia chiesto a qualcuno nei confronti del quale nutrissi profonda stima di contribuire, sempre in un’ottica di perfezionamento del volume stesso. Per Studio Ghibli non è stato diverso: abbiamo chiesto a diversi critici/colleghi/amici di coprire quegli argomenti che sapevamo sarebbero stati più coinvolgenti e completi grazie al loro contributo. Ma abbiamo anche deciso di fare qualcosa di più. Siccome lo Studio Ghibli ha avuto un ruolo di influenza a trecentosessanta gradi, abbiamo scelto di chiedere ad alcuni artisti di dire la loro. Da qui l’idea di coinvolgere i fumettisti Manuele Fior, Sualzo, Emanuele Tenderini e il regista Carlo S. Hintermann.

ronja-la-figlia-del-brigante-ghibliUtopia intimamente legata ai due fondatori Miyazaki e Takahata, quali sono le vostre aspettative, quali studiosi e appassionati dello Studio, dopo il loro addio alla regia e vista la prematura scomparsa, ancora nel 1998, dell’unico erede mai stato designato, Yoshifumi Kondō?

F. A parte che Miyazaki, proprio recentemente, pare stia lavorando a un nuovo progetto, io credo che l’idea alla base dello Studio Ghibli morirà con la fine delle carriere del duo fondatore. Il Ghibli è qualcosa di intimamente connesso alla loro concezione di cinema e di vita e i risultati dei vari successori ne dimostrano lo statuto utopico. Solo Kondō ne avrebbe raccolto l’eredità, perché è un autore che è cresciuto con loro, ma chissà quali strade avrebbe intrapreso. Per me è giusto che sia così. La vivo come una meravigliosa parabola, come fosse un fiore prezioso che sboccia e poi conclude la sua esistenza dopo un momento di magnificenza.

– A. Miyazaki e Takahata continueranno a lavorare, a seguire progetti per il grande o piccolo schermo, a valorizzare le opere dello Studio Ghibli e più in generale l’animazione di qualità (pensiamo a La tartaruga rossa, alle retrospettive del Museo Ghibli, alle pellicole distribuite in Giappone grazie a Takahata e allo Studio). Ovviamente gli anni passano e prima o poi arriverà davvero il momento della parola fine, ma intanto possiamo aspettare il nuovo progetto di Miyazaki, possiamo provare a immaginare come sarà il parco ghibliano e possiamo sempre confidare nel lavoro di Suzuki, altro pilastro dello Studio.

Animazione tradizionale vs CGI: qual è il vostro pensiero?

La storia della principessa splendente Isao Takahata– F. Questa è una bella domanda! Io sono per entrambe solo se fatte con criterio. Credo inoltre che ci siano cinematografie in cui una o l’altra si adatta meglio a quel contesto culturale. L’animazione giapponese riesce a dare il suo meglio attraverso l’animazione tradizionale, pur con diversi innesti computerizzati. Ma è importante mantenere questa dimensione artigianale, che si respira anche nelle opere di animazione a passo uno. È importante da un punto di vista concettuale, ma anche puramente tecnico.

– A. Il problema non è mai la tecnica, che casomai ha bisogno di tempo per essere affinata (la CGI sta ancora cercando di far quadrare il cerchio del fotorealismo e della resa estetica dei personaggi umani), ma la sua applicazione, le idee, il loro sviluppo. Ci sono molte possibili declinazioni dell’animazione in computer grafica, in primis quelle dei colossi nordamericani: Pixar, Disney, DreamWorks, Illumination, Blue Sky… tanti soldi, un numero impressionante di pixel, ma troppo spesso strutture narrative ed estetiche meccaniche, ripetitive fino e oltre la noia, sequel, prequel e spin-off privi di qualità e creatività. Ma questa è solo una faccia della medaglia: già guardando alla sola Pixar (Wall-e, Up, la trilogia di Toy Story e via discorrendo) il panorama si rasserena e spesso risplende. Ma penso anche a qualche Disney recente (su tutti, Ralph Spaccatutto), alle sperimentazioni tecniche di Zemeckis, al microscopico Azur e Asmar di Ocelot, ai titoli in CGI della Aardman, a 9 di Shane Acker, alla frenetica genialità di Lego Movie, a qualche tentativo nipponico, al fantasy francese Mune – Il guardiano della luna. Detto questo, al momento la distanza qualitativa tra la CGI e le tecniche tradizionali è abissale: idee narrative e grafiche, libertà e autorialità, sperimentazione, anche il semplice gusto della narrazione, sono da cercare nell’animazione tradizionale francese, nel magmatico universo degli anime, nella fiorente animazione sudcoreana, nella stop motion europea e nordamericana. Tutta la produzione della Illumination non vale dieci minuti di rotoscopio di The Case of Hana & Alice

Quali sono secondo voi i possibili eredi dei due maestri? Esistono nomi promettenti nella nuova generazione di disegnatori?

F. Sinceramente non saprei indicare eredi di Miyazaki e Takahata. Non credo che ce ne siano. Ma credo che ci sia una nuova generazione di autori in grado di emozionarci in maniera e forme diverse. Mamoru Hosoda è sicuramente uno di questi, Masaaki Yuasa, con i suoi limiti Makoto Shinkai. Lo sarebbe stato Satoshi Kon, un autore gigantesco di cui sento la mancanza ogni giorno.

hayao-miyazaki-follia-ghibli– A. Seguendo la corrente ghibliana si muove evidentemente il neonato Studio Ponoc di Hiromasa Yonebayashi, che sembra aver pescato a piene mani con Mary and the Witch’s Flower dalle storie, dal design e dai cromatismi miyazakiani. Segue da anni le orme di Takahata, e anche un po’ Miyazaki, il bravo Sunao Katabuchi (Princess Arete, Mai Mai Miracle e In This Corner of the World). E poi i più noti e già citati Hosoda e Shinkai, ma l’elenco potrebbe continuare con registi e titoli meno significativi, ma pur sempre indicativi: la poetica e lo stile dello Studio Ghibli hanno lasciato un segno che durerà a lungo, forse indelebile, ma lo stesso Ghibli era figlio di altre esperienze (la Toei, Otsuka, Mori…) e il ciclo non può che continuare.

Più in generale, guardando il documentario La casa dei sogni e della follia si percepisce un grande pessimismo nelle parole di Miyazaki e Suzuki rispetto alla coeva produzione nipponica, siete d’accordo con tale visione? Qual è il vostro punto di vista?

A. A livello puramente tecnico-artistico, almeno per il momento, l’industria degli anime continua a galoppare: a parte i soliti Hosoda, Shinkai, Yonebayashi e Katabuchi, ci sono registi molto interessanti come Keiichi Hara e Naoko Yamada, quel geniaccio di Yuasa, e poi nomi storici come Ōtomo, Oshii, Rintarō e via discorrendo. Il materiale umano non manca. Discorso diverso e alquanto complesso, semmai, per le dinamiche produttive, per le condizioni contrattuali degli animatori, per l’afflato politico delle opere. Nel suo complesso, l’esperienza Ghibli (l’utopia Ghibli) è probabilmente irripetibile, rappresenta uno standard davvero troppo elevato. Più che ottimisti o pessimisti, meglio essere realisti e guardare ai lati positivi, alle potenzialità (penso allo straripante successo di Shinkai).

Parlando di Takahata, è giustamente evidenziata la scarsa attenzione che per lungo tempo e ancor oggi il pubblico, la critica e gli accademici gli hanno dedicato. Ci sono altri maestri dell’animazione e del cinema giapponese a cui è toccato un simile destino e di cui credete sia necessario un maggior lavoro di approfondimento?

totoro– F. Sogno ancora una collana unicamente dedicata alle grandi figure dell’animazione giapponese, non solo registi ma anche animatori, character designer, mecha designer. Qualcosa di simile a quella che Il Castoro ha dedicato ai grandi registi della Settima Arte. Una collana in cui artisti come Rintarō, Yoshiaki Kawajiri, Yoshinori Kanada, Koji Morimoto o Mahiro Maeda trovino la loro giusta e meritata collocazione critica. Ma è solo un sogno, credo sia realmente difficile anche perché in pochi dedicano il giusto spazio analitico all’animazione giapponese. Però intravedo anche una giovane generazione che studia e analizza gli anime con il fuoco del critico impegnato e infervorato. Questo non può che fare bene: alla critica e all’animazione.

– A. Su Takahata c’è il validissimo tomo di Mario Rumor, che ha scritto anche sulla Tōei e, fresco di stampa, su Osamu Dezaki, altro nome capitale della storia degli anime. Chiaramente servirebbero più libri, più attenzione critica, dei corsi universitari, delle rassegne mirate, spazi festivalieri. Servirebbe la collana che sogna Andrea.