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Voto: 5/10 Titolo originale: The Snowman , uscita: 12-10-2017. Budget: $35,000,000. Regista: Tomas Alfredson.

L’Uomo di Neve | La recensione del film di Tomas Alfredson

12/10/2017 recensione film di Giovanni Mottola

Michael Fassbender guida una buona squadra di attori in un thriller dalle affascinanti atmosfere ma penalizzato da una trama troppo contorta

l'uomo di neve alfredson

La grande letteratura non si presta a essere trasposta sullo schermo perché la parola, quando usata al suo meglio, riesce ad evocare più dell’immagine, inducendo il lettore a “vedere” il testo con la propria fantasia e, non potendo esistere due fantasie uguali, a considerare quella altrui come infedele e non riuscita. I gialli, al contrario, reggendosi sulla ricerca di un assassino, invogliano alla riduzione cinematografica, molto adatta a replicare il senso di mistero e il clima di tensione dettato dall’avvicinarsi dell’indagatore al colpevole.

L’Uomo di Neve (The Snowman) posterLo sa bene il cinquantaduenne regista svedese Tomas Alfredson, che ha girato appena quattro o cinque film in tutta la carriera (non si sarebbe dedicato nemmeno a questo se Martin Scorsese, in origine regista designato, non avesse poi preferito ritagliarsi soltanto il ruolo di produttore esecutivo) e sembra decidersi a mettersi dietro alla macchina da presa solo quando trova un libro adatto al suo gusto. Stavolta la scelta è caduta su L’Uomo di Neve (The Snowman) di Jo Nesbø, nativo come lui del Nord Europa ma agli antipodi per prolificità, avendo mandato alle stampe, solo considerando il periodo post Duemila, ben diciotto romanzi. Vale dunque la pena domandarsi quali analogie contenga quest’opera di Alfredson, a parte la comune derivazione dalla letteratura contemporanea, rispetto alla sua precedente (La talpa, del 2011). Intanto si tratta di storie che oscillano tra il giallo e il thriller e contengono un mistero da risolvere e un nemico da individuare.

Ma soprattutto entrambe risultano strutturate in una trama contorta, che al lettore/spettatore appaiono a lungo uno viluppo inestricabile per poi apparire chiaro verso la fine. In entrambi i casi ciò dipende dal testo di partenza. La talpa era il frutto dell’esperienza sul campo dell’agente segreto (John Le Carrè) che opera in un contesto dove i contorni non sono mai del tutto definiti, ma alla fine offriva una sua chiarezza nella verosimiglianza dei fatti raccontati.

L’Uomo di Neve finisce per essere in questo senso ancora più ostico da seguire, in quanto zeppo di invenzioni studiate a tavolino da uno scrittore di professione (Nesbø) che abitualmente cerca di depistare il lettore (e il suo investigatore) a suon di false piste e particolari all’apparenza insignificanti, ma in realtà fondamentali. Un libro con queste caratteristiche risulta inevitabilmente “di genere”, a maggior ragione considerando che i personaggi ricorrono anche in altre opere di Nesbo. Alfredson sembra però coltivare ambizioni maggiori di un film di genere e allora bisogna concludere che forse ha scelto la storia sbagliata.

Se infatti ne La Talpa vi era uno sfondo storico che attribuiva al film un senso e un fascino al di là delle contorsioni della trama, in questo caso la possibilità di intuire in anticipo l’identità dell’assassino (almeno per lo spettatore più avvezzo a questo genere di storie) e alcuni salti logici nel percorso per individuarlo ufficialmente (attribuibili al testo di partenza) costituiscono punti deboli per la pellicola. Il regista sembra consapevole e decide di costruire la prima metà de L’Uomo di Neve nella resa, attraverso silenzi e immagini fredde non soltanto per l’ambientazione invernale, di quel contesto nordico (siamo a Oslo) che egli conosce a menadito e delle figure che lo popolano.

Per farlo, esattamente come accadeva ne La Talpa, si avvale di un’ottima squadra di attori, composta tra gli altri dalla brava coprotagonista Rebecca Ferguson, da Charlotte Gainsburg, Val Kilmer, oltre a David Dencik e Toby Jones, due volti già presenti proprio nel suo ultimo film. Nessuno di loro può davvero essere definito “di contorno” (uno di essi è pur sempre l’assassino), ma tutti di fatto lo sono rispetto alla figura dell’investigatore Harry Hole, interpretato da Michael Fassbender.

the snowman killerQuesto attore, che in virtù del suo fascino e delle sue doti interpretative sarebbe stato chiamato abitualmente per vestire i panni dell’eroe senza macchia e senza paura, mostra invece ancora una volta di trovarsi più a suo agio in quelli dell’antieroe. Harry Hole non raggiunge l’abiezione dell’impiegato dipendente dal sesso di Shame o la crudeltà del negriero di 12 anni schiavo, ma è un uomo fallito che a causa del suo vizio per l’alcool è stato costretto ad allontanarsi dalla moglie e dal figlio di lei, finendo addirittura a dormire su una panchina.

Conserva però delle qualità professionali come detective che lo fanno richiamare in servizio quando cominciano a sparire giovani donne sposate e con un figlio, che poi vengono ritrovate decapitate. Il fatto che davanti alle loro case si trovi sempre un pupazzo di neve, non ad opera dei ragazzi, lascia pensare al messaggio di un serial killer. Oltre che in Danimarca c’è dunque del marcio pure in Norvegia, ma la fiducia in Hole sarà ben riposta. Egli arriverà infatti alla soluzione del caso, ma ciò accade in modo troppo repentino, senza consentire allo spettatore di seguirlo appieno nelle sue peripezie.

Tomas Alfredson ha il merito di fare il possibile per tener desta l’attenzione attraverso una buona direzione di attori e un efficace uso della musica, ma nella seconda metà il film si perde alla rincorsa di un libro con troppe falle. In definitiva, L’Uomo di Neve è una storia che peggiora con il passare dei minuti e con l’aumentare della carne al fuoco, perché solo lo spettatore che non si distrae nemmeno per un secondo riuscirà a mangiarsela tutta e a non fare indigestione. Per una volta il prevedibilissimo finale apparirà quindi quasi come un sollievo, perché per i profiteroles non c’era proprio più spazio.

Di seguito il trailer italiano di L’uomo di Neve, nei cinema dal 12 ottobre: