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Voto: 8/10 Titolo originale: Fahrenheit 451 , uscita: 07-09-1966. Budget: $1,500,000. Regista: François Truffaut.

Recensione story | Fahrenheit 451 di François Truffaut

16/01/2018 recensione film di Sabrina Crivelli

Il capolavoro sci-fi di Ray Bradbury è trasposto con grande efficacia dal maestro della Nouvelle Vague in un film che chiunque si dichiari cinefilo deve conoscere alla perfezione

Raramente nella storia del cinema c’imbattiamo in veri e propri capolavori, in film al contempo disarmanti e commoventi, capaci di affrontare grandi quesiti filosofici e politici con estrema profondità, lucidità e senza qualunquismo, eppur non essendo tediosi o lenti. Ancora più di rado, una pietra miliare della letteratura contemporanea è adattata con coerenza e giusta visionarietà, rendendone gli aspetti più oscuri e proplematici in una veste estetica memorabile. Questo è lo straordinario caso di Fahrenheit 451, romanzo del 1953 scritto dal geniale Ray Bradbury che ha infervorato intere generazioni, trasposto su pellicola nel 1966 dal grande François Truffaut, regista filosofo della Nouvelle Vague che con lente esistenzialista, sartriana, rilesse una delle più annichilenti distopie di sempre, ancor più valida oggi in cui un’ipocrita e bigotta forma di censura strisciante rischia di impedire la libertà di pensiero e parola.

Siamo in un futuro non troppo remoto, la società è costruita su un vacuo benessere privo d’ogni problematizzazione, d’ogni più profondo afflato, e tale insostenibile leggerezza dell’essere è ricercata a viva forza da una forma dittatoriale dal volto amichevole e pervasivo di personaggi televisivi che attraverso gli schermi televisivi dialogano con una pletora di rimbesuiti cittadini – spettatori. Non solo, per evitare ogni forma di pericolosa riflessione sull’umana condizione, è stato istituito un peculiare corpo di pompieri, “la milizia del fuoco” (le cui tenute ricordano le divise naziste), che invece di spegnere incendi appiccano roghi di libri, come nel peggior medioevo.

In tale corpo lavora Guy Montag (l’Oskar Werner che con l’autore collaborò anche in Jules e Jim nel 1962), uomo all’apparenza comune e incapace di comprendere la portata delle sue azioni incendiarie, il valore di ciò che stava dando alle fiamme, finché non incontra una donna singolare, Clarisse (Julie Christie che al contempo incarna anche l’egocentrica Linda Montag), che gli domanda se abbia mai letto uno di quei volumi che sovente distrugge.

Interrogandosi dunque sul valore oscuro di tali oggetti, tanto preziosi da spigere tanti ad affrontare molteplici pericoli e sfidare la legge, dopo averne trafugato uno, David Copperfield, ed averlo portato a casa con sé, una notte inizia a sfogliarlo, e così viene portato ad avvedersi finalmente, subitanea epifania, delle brutture del mondo circostante. Ovviamente, tale pericolosa bibliofilia avrà un caro prezzo.

Anzitutto, Fahrenheit 451 rielabora con una certa libertà il materiale libresco, riscrivendo alcuni passaggi, semplificandone altri, eliminandone altri ancora (compreso il finale), eppure ne riesce a trasporre l’anima. Da una parte, allora, si materializzano nei fotogrammi con grande potenza visiva alcune delle pagine più sconvolgenti o inquietanti, non tanto per la particolare crudezza delle immagini, ma per l’idea a cui rimandano. Satirico e desolante è il ritratto della frivola moglie Linda, il cui apice della giornata – o meglio di molte giornate – è l’esser stata scelta per dialogare su questioni futili con dei personaggi televisivi che in una sorta di invasiva interattività la coinvolgono in uno sterile discorso sulla gestione di un gruppo di possibili ospiti.

Cinica riflessione, i warholiani 15 minuti di celebrità vengono qui ad assumere i tristi e ironici profili di una tirannide futura giocata sul totale vuoto antropologico e culturale teso al controllo delle menti, dove una superficiale allegrezza scaturita dal un blando intrattenimento e dall’uso di pillole imperversa.

Terribilmente nichilista e insieme profondamente idealista, la narrazione è realizzata quindi per antitesi, per opposti che rappresentano gli estremi esperienziali in cui si muove l’intera società, e con essa il protagonista nel suo percorso di autoscoperta. Così, se da una parte l’emisfero femminile rappresenta il completo asservimento alla più bieca superficialità, dall’altra il suo doppio, la maestra Clarisse, interpretato dalla medesima attrice, la Christie, è il tramite per intraprendere la via della conoscenza.

Il medesimo contrappunto si estende poi a tutto lo sviluppo ed è proprio nelle sequenze più truci in cui si nasconde la maggior poesia: memorabile è la scena in cui, dopo essere stata scoperta all’interno di una casa una biblioteca segreta, la proprietaria dichiara di volersi far bruciare insieme ai suoi amati libri, che secondo le sue parole sono “vivi” e parlano con lei; subito dopo un catalogo illustrato di Salvador Dalì si spalanca, le pagine si aprono da sole, quasi l’oggetto inanimato stesse rispondendo alla sua padrona.

Poi, tristemente, tutto viene incendiato e un moto di commozione è trasmesso agli spettatori, che non possono che pensare a tutto quel sapere vanificato in maniera così indegna, e alla sua custode che con esso trova un eroico epilogo. Panorama angoscioso e sconsolato, tuttavia il finale ribalta con uno scenario glabro, ma denso di speranza l’oscura visione futurista; Montag, abbandonata quella che solo in superficie è una sfavillante civintà, approda in una comunità ai margini, quella degli “uomini libro”, ultimi detentori del sapere ormai in via di sparizione. Questi, come mantra professano il prezioso scritto che hanno deciso di memorizzare, quali una collettiva e deambulante Biblioteca di Alessandria in umane spoglie che vive lungo le rive del fiume e che tramanda il dono più prezioso: il Sapere.

Truffaut, allora, che dell’antropologico ha fatto l’epicentro della sua intera filmografia, quivi tratta l’umano con una certa distanza. L’insolita freddezza in termini di indagine psicologica e dei sentimenti è tuttavia solo apparente e circoscritta, tesa a rendere il vuoto in taluni frangenti della società che raffigura. Essa emerge difatti nei laconici e freddi dialoghi domestici tra i coniugi Montag, o nello scambio secco di battute tra i membri delle milizie del fuoco, ma le è contrapposto ad uopo il vero e proprio fiume verbale dell’inventiva e non omologata Clarisse.

Così si vuole tratteggiare la disumanizzazione, che però esalta ulteriormente, qualora affiancata, quelle poche vestigia di civiltà rimaste, come la giovane maestra reietta o la donna che brucia con i suoi libri. D’altro canto, il regista è interessato non tanto all’immaginario fantascientifico di per sé (è un caso anzi che venga esplorato in una sua pellicola), quanto alle considerazioni profonde che l’opera bradburiana contiene, più strettamente connesse all’esistenza e sempre attuali.

Ineguagliabile e tra le più elevate vette raggiunte dall’autore francese, Fahrenheit 451 è non solo uno dei migliori film incentrati su futuri distopici, ma anche uno dei più alti culmini della storia del cinema nella sua interezza. Staremo a vedere se l’omonima serie TV che la HBO lancerà nei prossimi mesi sarà vagamente all’altezza.

Di seguito il trailer: