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Voto: 5.5/10 Titolo originale: The Outsider , uscita: 09-03-2018. Regista: Martin Zandvliet.

The Outsider: la recensione del film di Martin Zandvliet (su Netflix)

10/03/2018 recensione film di William Maga

Il premio Oscar Jared Leto è un gaijin determinato a farsi accettare a tutti i costi dalla yakuza, in un film che tralascia gli aspetti più interessanti del mondo - e dell'epoca - che vuole raccontare

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Già dal primo trailer diffuso poche settimane fa da Netflix si poteva intuire che uno dei pochi – o il principale (?) – motivo di interesse verso The Outsider potesse essere vedere cosa accade quando un gaijin come il premio Oscar Jared Leto finisce per ritrovarsi suo malgrado coinvolto nello spietato e sconosciuto mondo della mafia giapponese, per giunta negli anni ’50. Alla fine delle 2 ore di durata, il film originale del colosso dello streaming diretto dal danese Martin Zandvliet (Land of Mine) lascia sensazioni alterne, specie se si possiede già una qualche familiarità con le cinematografie di registi come Takeshi KitanoTakashi Miike o Kinji Fukasaku, notoriamente esponenti di spicco – e di levatura internazionale – dello yakuza eiga.

Ambientato all’indomani della seconda guerra mondiale, la pellicola ci presenta Nick Lowell (Leto), un ex capitano dell’esercito americano, rinchiuso in una prigione di Osaka. Dopo aver aiutato a fuggire il suo compagno di cella collegato alla yakuza, Kiyoshi (Tadanobu Asano), questi ricambia il favore, introducendolo alla malavita locale. Kiyoshi convince infatti i suoi capi che Nick sia il più adatto a trattare con un industriale americano (Rory Cochrane), che ha però bisogno di imparare una severa lezione sul rispetto del territorio della potente famiglia Shiromatsu. In modo sanguinoso, Nick dimostra il suo algido valore, e presto si ritrova nelle grazie del capofamiglia, Akihiro (Min Tanaka).

Molti degli altri membri della gang tuttavia, compreso il migliore amico di Kiyoshi, Orochi (Kippei Shiina), accettano il nuovo arrivato – che parla pochissimo l’idioma locale – molto meno serenamente, vedendolo esclusivamente come un uomo bianco che non sarà mai un loro ‘fratello’ e che non potrà mai provare vera lealtà verso nessuna famiglia o paese. Quando di lì a poco scoppierà una guerra con una famiglia rivale, Nick e Kiyoshi dovranno capire di chi potersi fidare e da chi invece faranno bene a guardarsi le spalle.

Poiché The Outsider offre al protagonista Nick solamente la più oscura delle backstory possibile e non si cura minimamente di scandagliare la sua vita interiore, l’abbraccio immediato e senza il minimo problema da parte del personaggio di ogni aspetto della cultura giapponese finisce per apparire come qualcosa di ben poco sentito e di piuttosto artificiale (va bene il riconoscimento, però …). Anche dopo che l’irascibile Nick si è trasformato in un determinato soldato della yakuza a tutti gli effetti – senza peraltro che ci venga minimamente spiegata la sua ‘evoluzione’ – , le sue motivazioni e le sue emozioni continuano a rimanere nascoste dietro allo sguardo freddo e imperscrutabile di Leto e ai suoi sussurri, tutti elementi che assicurano che il personaggio rimanga impossibile da decifrare, nel bene o nel male.

Che lo si sia voluto rendere una sorta di mix tra un samurai e il Ryan Gosling di Solo Dio Persona è lodevole nelle intenzioni, un po’ meno nella riuscita. Dopo che Nick si imbatte a sorpresa in un ex amico dell’esercito (Emile Hirsch), ricaviamo qualche indizio sul suo passato non proprio tranquillo, ma ancora una volta nessuna reale spiegazione di cosa effettivamente lo spinga ad agire così. Le ragioni della sua strettissima adesione ai codici d’onore della yakuza, come dimostrano anche il grande tatuaggio di rito sulla schiena e lo yubitsume (il rituale di amputazione di un pezzo di falange per espiare una colpa e chiedere perdono) dopo una missione fallita, sono lasciate da Zandvliet – e soprattutto dallo sceneggiatore Andrew Baldwin – avvolte nel completo mistero.

A volte però, il film spinge saggiamente Nick – e la sua storia più o meno clandestina con la sorella di Kiyoshi (Shioli Kutsuna), sulla quale Orochi ha delle mire – sullo sfondo, permettendo di esaminare da vicino l’effettivo funzionamento al suo interno della famiglia Shiromatsu e la preparazione di una sanguinosa guerra per il territorio.

Il conflitto generazionale tra il rampante Orochi, che auspica un consolidamento dei rapporti tra più famiglie – di città differenti e tradizionalmente nemiche – per garantire investimenti redditizi per tutti, e Kiyoshi e Akihiro, legati invece saldamente alle usanze classiche, dando sempre priorità alla famiglia per quanto riguarda profitti e benessere, è certamente intrigante.

Questa analisi di un Giappone del dopoguerra – che se non fosse per l’assenza di telefoni cellulari, difficilmente tra l’altro si noterebbe … – che affrontava l’inevitabile ascesa del capitalismo e dell’apertura globale, non riceve però mai l’approfondimento che meriterebbe e viene anzi inevitabilmente indebolito dall’intromissione obbligata della trama principale di Nick, che vuole essere accettato come un vero membro della famiglia Shiromatsu, a qualsiasi costo. Un’idea tutt’altro che irragionevole, non fosse che è piuttosto difficile preoccuparsi di un lunatico dai modi violenti che viene accolto a braccia aperte da una banda di criminali, giapponesi o meno che siano. Outrage Coda di Kitano, per citare l’esempio più recente possibile, sta da tutt’altra parte (e per qualcuno potrebbe pure essere un bene, sia chiaro).

In definitiva, The Outsider – curiosamente e inspiegabilmente tacciato di whitewashing negli Stati Uniti – oscilla costantemente tra l’esplorazione dell’integrazione di Nick nel suo nuovo ambiente e la portata più ampia e non certo semplice della transizione postbellica del Giappone, non riuscendo però mai a fondere le due trame in modo significativo o simbiotico. Peggio ancora è la moralità confusa offerta agli spettatori, poiché il regista si sforza da un lato di condannare la violenza amorale della yakuza, celebrandone dall’altro la presunta nobiltà dei codici d’onore.

Alla fine, la decisione di Zandvliet di mettere un ragazzo bianco al centro del suo racconto per tentare di esaminare questioni più ampie che tuttavia non lo coinvolgono e renderlo appetibile a un pubblico occidentale lascia troppo spesso il film senza una bussola, a incaponirsi sulle vicende del suo gaijin Leto, lasciando le questioni culturali a cui parrebbe in realtà interessato solo superficialmente esplorate.

Di seguito il trailer di The Outsider, nel catalogo Netflix dal 9 marzo: