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Titolo originale: The Titan , uscita: 30-03-2018. Regista: Lennart Ruff.

Recensione | The Titan di Lennart Ruff

31/03/2018 recensione film di William Maga

Netflix distribuisce in esclusiva un'altra pellicola sci-fi dalla premessa intrigante e dallo svolgimento tanto insipido quanto vacuo e irrisolto, non aiutata da un Sam Worthington monolitico

Quando il protagonista del vostro film è Sam Worthington (Avatar), sottoporlo a loschi esperimenti governativi potrebbe effettivamente sembrare una buona idea. Quelli di The Titan – distribuito a sorpresa direttamente da Netflix (anche in Italia) senza passare dai cinema, come sempre più spesso sta accadendo ai film di fantascienza dal budget modesto – fanno sì che i suoi capelli cadano a ciocche e che la sua pelle scivoli via dal corpo uno strato alla volta. Ah, contribuiscono inoltre a mantenerlo (im)pietosamente silenzioso (aka muto completamente!) per tutta la seconda metà della pellicola diretta dall’esordiente Lennart Ruff. Considerato che dal 2009, anno in cui era apparso sulle scene come prossima stella del firmamento hollywoodiano, l’attore australiano ha collezionato solo parti in cui ha messo ben in chiaro il suo scarsissimo carisma e la ancora meno fulgida espressività, si capisce come tutto sommato non ci si possa lamentare questa volta. Non che la scelta di un attore diverso e più blasonato avrebbe fatto la differenza, purtroppo.

L’enigmatico esperimento eugenetico andato storto di cui sopra è al centro della sceneggiatura fantascientifica scritta dall’inesperto di lungometraggi Max Hurwitz, che per tutti i 90′ di durata mai si preoccupa di dare una risposta alle numerose domande che uno spettatore un filo meno che assopito potrebbe farsi circa il come si possa effettivamente andare a colonizzare una luna di Saturno, che poi sarebbe teoricamente il vago obiettivo delle sperimentazioni genomiche di The Titan. Sappiamo che nel 2048, a causa della sovrappopolazione e ad un nebuloso evento nucleare che ha ridotto Los Angeles a un cumulo di macerie fumanti, l’umanità superstite sta guardando a Titano, l’unica luna del sistema solare ad avere caratteristiche di abitabilità, come speranza per il futuro della nostra specie. Secondo uno scienziato già ammonito dal governo americano per la sua condotta non proprio morale, interpretato minacciosamente da Tom Wilkinson (Se mi lasci ti cancello), l’obiettivo dichiarato, piuttosto che terraformare il satellite o trovare un modo di ‘potenziare’ i terrestri rimasti, è quello di “far evolvere l’umanità tra le stelle”.

In soldoni, ciò significa che sarà più economico e più semplice filmare una classica vicenda di esperimenti ai limiti della legalità all’interno dei corridoi di una base costiera della NATO piuttosto che costruire una storia sci-fi nello spazio profondo. Così, una quantomeno interessante premessa viene completamente sprecata, per assistere sostanzialmente a oltre un’ora di test e dialoghi di cortesia intanto che Sam Worthington gradualmente si trasforma in una sorta di Ingegnere di Prometheus ante litteram. Perfino ricolmo del DNA di un pipistrello, l’attore non riesce a restituire una singola espressione facciale utile, determinato a non mostrare quello che potrebbe essere un briciolo di interesse per lo script che gli è stato sottoposto. Non che ci sia qualcosa per cui emozionarsi nelle pagine stese da Hurwitz sia chiaro. Worthington interpreta l’ex pilota dell’Air Force Rick Janssen, il quale, insieme a sua moglie, la Dott.ssa Abigail (la Taylor Schilling di Orange is the New Black) e al loro figlioletto (Noah Jupe), viene trasferito volontariamente in una base militare del Dipartimento della Difesa. Qui inizia una serie di trattamenti speciali volti a trasformare lui e un gruppo di altri soldati in esseri capaci di sopravvivere alle condizioni estreme di Titano grazie a capacità sovraumane, ma le numerose iniezioni e il ferreo addestramento a cui vengono sottoposti causano rapidamente effetti collaterali imprevedibili, come eccessiva aggressività o la parziale cecità.

Se vogliamo trovare qualcosa di simile a The Titan, possiamo facilmente accostarlo al recente The Cloverfield Paradox di Julis Onah, altro esponente della sci-fi direct-to-Netflix (ma non prodotta dalla piattaforma streaming) che impiega un’ora e mezza a preparare il terreno per quella che dovrebbe essere la parte succosa, salvo finire proprio sul più bello, lasciandoti con il senso di frustrazione di aver sprecato un pezzettino della tua vita. Non contento, prima però salta anche tutti quegli elementi che avrebbero potuto creare un contesto accettabile o almeno un qualche tipo di emotività con cui entrare in risonanza. Rick è il solito blando bravo ragazzo, il nobile marito generico, e mai ci viene fatto credere che potrebbe essere altro. Sulla moglie è invece spostato tutto il peso di convincerci che il loro è un amore integerrimo e solido, che può andare oltre la dolorosa mutazione di uno dei due partner. The Titan però inizia con la famigliola che ha già preso la decisione di partecipare al programma segreto, quindi come potremmo provare empatia per la loro situazione quando, per quanto ne sappiamo, stanno andando incontro a ciò per cui hanno firmato? La sceneggiatura sembra paralizzata dall’incertezza della trasformazione di Rick – a guardare bene, il rimando al mostro di Frankenstein o all’incredibile Hulk è lì che ci guarda – e le domande sulla sopravvivenza persistono dall’inizio alla fine (cosa succederà al matrimonio dei Janssen? Che cosa accadrà all’umanità?), ma rimangono inesplorate. Lo stesso significato ultimo dell’opera, resta ignoto. Si tratta di un’allegoria del DPTS? O di uno studio cosmico della fede? La cronaca di quando nel corso del processo evolutivo Rick smette di essere umano e inizia a diventare qualcos’altro? Chi lo sa.

Il film di Lennart Ruffo spesso confonde paroloni incomprensibili sull’adattamento e l’evoluzione con qualche tipo di effetto drammatico, ma a meno che non si possieda una laurea in sciocchezze, questi faranno ben poco per distrarvi da quanto profondamente poco interessante e generica sia ogni cosa al di là della premessa a monte. Il regista si limita a far scorrere le lancette dei minuti fino all’inevitabile discesa nel terzo atto nel body horror puro (il lavoro prostetico, pur derivativo, resta soddisfacente). Gli altri soggetti dell’esperimento – maschi e femmine (tra cui la Nathalie Emmanuel de Il Trono di Spade), di varie nazionalità – e i rispettivi familiari vengono innestati nella trama col solo compito di generare un minimo di interazioni umane, ma i dialoghi e le situazioni che ne nascono sono tutti ampiamente prevedibili e stereotipati (il barbecue intorno alla piscina, ancora?). La Schilling in particolare, relegata al ruolo di moglie sospettosa e col fiuto da detective, osserva soprattutto da lontano, iniziando poco a poco a rimpiangere la decisione iniziale. Ad un certo punto la donna se la prende con il personaggio di Wilkinson perchè avrebbe mentito loro sin dall’inizio, una considerazione che ci porta però a domandarci non solo in che modo lo avrebbe fatto, ma soprattutto riguardo a cosa, visto che ne siamo tenuti completamente all’oscuro … Sorvoliamo poi sull’assurdo – per quanto possibile – finale, anticipato fin dal trailer (e visibile nell’immagine qui sopra) e che rivela anche una bestialità astronomica (a voi il compito di capire quale, ma non è difficile).

In definitiva, The Titan è l’ennesimo titolo pochissimo ispirato e che getta al vento idee interessanti che inspiegabilmente Netflix si accaparra nella sua foga di offrire contenuti sempre nuovi ai suoi sottoscrittori. Una politica che a lungo andare potrebbe sortire l’effetto esattamente opposto a quello che si è prefissato.

Di seguito il trailer originale della pellicola, a catalogo dal 30 marzo: