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[riflessione] 2017, l’anno in cui gli incassi decretano la morte del cinepanettone ‘classico’

05/01/2018 news di Giovanni Mottola

Al colpo di grazia hanno concorso la qualità modesta dei titoli, le miopie produttive e il cambiamento dei gusti del pubblico, sempre più orientati al politicamente corretto

A una prima occhiata, superficiale come lo sono sempre le prime occhiate, la comicità nel nostro Paese ci pareva affetta da un tale stallo di talenti da farci ritenere inutile un approfondimento sulle uscite natalizie del settore, avendolo già proposto lo scorso anno. Assistendo però, oltre che ai film, alla loro promozione e al riscontro dato dal pubblico, ci siamo persuasi dell’errore. Anche se tutto sembra procedere come gli anni passati, in realtà il Cinepanettone classico, paziente malato da tempo, è ora prossimo a decedere anche secondo quegli autori e quei produttori che, se fino ad oggi l’hanno mantenuto in vita, appaiono ora dubbiosi sull’opportunità di continuare a somministrargli cure ormai prive di efficacia. La metafora potrebbe continuare chiedendosi quale lascito spetterà ai (Neri) parenti, ma è bene chiuderla qui, domandandosi perché un genere che ha funzionato per trent’anni si trovi ora sul letto di morte.

Il primo dato a conferma di questa crisi è la riduzione, seppur di poco, del numero di commedie in uscita per Natale. All’infuori delle tre presenze fisse – Massimo Boldi, Christina De Sica e la famiglia De Laurentiis (in numero di tre film diversi, laddove fino a qualche anno prima il trio faceva sodalizio e ne sfornava uno solo) – nessuno si è arrischiato a proporre la propria opera, con la sola eccezione di Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani con Paola Cortellesi e Antonio Albanese, non catalogabile però come cinepanettone. In questo stesso periodo l’anno scorso erano invece in sala anche il film di Aldo, Giovanni e Giacomo, quello di Alessandro Siani (uscito ai primi dell’anno nuovo) e quello di Luca Miniero con Claudio Bisio e Alessandro Gassmann che, seppur molto diverso dal classico cinepanettone, strizzava assai l’occhio al Natale.

I film di genere girati ex novo nel 2017 sono stati invece soltanto due: Natale da chef di Neri Parenti con Boldi e Poveri ma ricchissimi di Fausto Brizzi con De Sica. De Laurentiis ha infatti deciso di presentare Super vacanze di Natale, un collage di scenette scelte da Paolo Ruffini (definito impropriamente, sui manifesti e per la Siae, “regista”) tratte dai precedenti cinepanettoni, tutti di sua produzione. I Vanzina, proprio come l’anno scorso con Non si ruba in casa dei ladri, hanno anticipato di circa un mese la loro presenza nelle sale con Caccia al tesoro e ora di Natale erano già ampiamente fuori classifica (il loro film è stato fuori solo 2 settimane, per un incasso totale di un milione e mezzo di euro, contro i due milioni e due del precedente).

Questa discesa dai sei film del 2017 ai tre/quattro di questo dicembre sarebbe sulla carta un buon segno per quanto riguarda la qualità, che della quantità è nemica storica. E’ però anche il segnale che la strategia del 2016 di concentrare in questo periodo i film comici, confidando sull’unione tra voglia di allegria e abitudine di andare al cinema durante i giorni di festa, non aveva dato i risultati sperati. L’offerta fu infatti di qualità rasoterra, il pubblico se ne accorse e declinò l’invito. Ora è diventato difficile convincerlo a tornare in sala con la stessa affluenza dei bei tempi. La tendenza al ribasso degli incassi infatti continua: l’anno scorso tutti i titoli fecero registrare un calo rispetto all’opera precedente del medesimo protagonista (vale per Boldi, De Sica, De Laurentiis) e adesso va ancora peggio. Prendendo come riferimento i risultati ottenuti fino al 4 di gennaio 2018, si nota che quello che se la passa meglio è ancora De Sica, ma con appena 5.160.000 euro contro i 6.833.000 di Poveri ma ricchi, e passa dall’essere il terzo incasso della stagione scorsa al decimo della presente; Boldi è a quota 2.476.000 euro rispetto ai 2.889.000 di Un Natale al Sud; De Laurentiis non fa testo, perché questa volta non ha presentato un vero film, comunque la sua trovata è risultata un flop clamoroso con appena 538.963 euro contro i 4.321.000 di Natale a Londra – Dio salvi la Regina. Il dato deve peraltro essere letto per difetto dal momento che quest’anno manca non soltanto la concorrenza del fenomeno Checco Zalone (assente anche nel 2016: l’ultima sua presenza risale a due stagioni fa), ma anche quella di Siani, che nel 2017 fece il boom con i 10.038.446 di Mr. Felicità.

Dunque è assodato che i cinepanettoni attirino sempre meno, ma nonostante ciò i concorrenti di quest’anno non hanno mostrato uno spirito d’iniziativa sufficiente a ribaltare la tendenza. Brizzi è parzialmente scusato perché il suo Poveri ma ricchi dello scorso anno era andato abbastanza bene, almeno visto il risultato generale. Fin dal titolo del suo nuovo film appare però chiaro come si sia puntato sulla ripetitività di schemi e situazioni, con qualche piccola variante, finalizzate alla fidelizzazione di un pubblico ormai disamorato perché da anni ha avuto ben poco di cui fidarsi. Il collage di De Laurentiis pare quasi un’esplicita confessione sul punto. Inutile spendere per realizzare la stessa pellicola una volta di più, sembra essere il suo ragionamento: conviene allora realizzare un’opera a costo zero, riproponendo il meglio delle precedenti, che il pubblico ha già apprezzato in passato, sfruttando così anche il richiamo di quelle “operazioni nostalgia” tanto in voga oggi. In pratica accade ormai anche nelle sale cinematografiche quel che si vede in televisione durante la stagione estiva, quando furoreggiano i contenitori con la dicitura “il meglio di” o le antologie della Rai che fu (sicuramente migliore di quella d’oggi). Una strategia che può andar bene però come riempitivo ma, dati alla mano, è risultata pessima per un mezzo di prima visione come il cinema, che si trova oggi più che mai nella necessità di contrastare alternative forme di spettacolo e dovrebbe quindi offrire al pubblico un prodotto sempre più di qualità per giustificarne il duplice sforzo della vittoria sulla pigrizia da Divano&Netflix e del pagamento di un biglietto sempre più caro.

Oltre a essere stata percepita quasi come una presa in giro da parte del pubblico, che difatti ha marcato visita, la scelta di De Laurentiis ha sollevato altresì l’indignazione di tutti i registi e gli attori degli spezzoni che costituiscono il suo “nuovo” film senza ottenerne alcun guadagno. Addirittura Boldi e De Sica subiscono, oltre al danno, la beffa di trovare sé stessi come concorrenti delle loro ultime fatiche! Sul punto vogliamo aprire una parentesi, pur evitando di addentrarci in approfondimenti giuridici per i quali mancherebbe a noi la competenza per scriverne e al pubblico la voglia per leggerne, per osservare che le recriminazioni dei due attori non appaiono del tutto peregrine. E’ vero che le leggi italiane assegnano i diritti di utilizzazione di un’opera cinematografica esclusivamente al suo produttore; è però anche vero che sino ad oggi – salvo casi particolari come per esempio SuperTotò o Un sorriso, uno schiaffo, un bacio in bocca relativo alle produzioni Titanus – quasi mai era stato presentato in sala come nuovo film (grazie anche all’escamotage della “regia” affidata a Paolo Ruffini) un collage di spezzoni di vecchi titoli rimontati e, in ogni caso, non in concorrenza con i suoi stessi protagonisti (attori e registi). Ci troviamo dunque di fronte a un caso limite che, a nostro parere, le leggi esistenti non possono considerarsi idonee a disciplinare e che costringerà la magistratura a farlo non senza qualche grattacapo.

Tornando alle scelte di produzione, ve ne è stata un’altra, relativa stavolta alla promozione del film, che suona come una mancanza di riguardo verso il pubblico. Si tratta della decisione della Warner Italia (fatta poi passare per scelta autonoma dell’interessato) di omettere dai manifesti e dalla promozione della pellicola Poveri ma ricchissimi il nome del regista Fausto Brizzi in conseguenza del suo coinvolgimento nel filone italico dell’affaire Weinstein. Nel merito della questione non ci pronunciamo perché lo abbiamo già fatto in altra sede e perché, se le accuse sono d’Argento, il silenzio è d’oro. Il comportamento “scolorino” della Warner è in ogni caso meschino. Delle due, infatti, l’una: o si prendono avventatamente per buone le accuse contro Brizzi mosse in forma anonima presso la “Procura della Repubblica delle Iene” e allora si ripone il film nel cassetto; oppure si crede alla sua innocenza fino a eventuale condanna definitiva emessa da un tribunale serio e si fa uscire il lungometraggio corredato del nome del suo autore, come è giusto che sia non soltanto per lui ma anche per il pubblico che ha il diritto di sapere chi sia il regista (e sceneggiatore) di ciò che va a vedere. L’incoerenza della Warner sta nel comportarsi come chi è convinto di avere a che fare con un delinquente ma al tempo stesso non rinuncia a sfruttarne il lavoro per guadagnare denaro sulla pelle di quelle che ritiene sue vittime.

Comunque, ad accomunare queste due vicende completamente diverse tra loro (a parte la presenza di risvolti legali, che comunque al pubblico non interessano) è la circostanza che di entrambe le situazioni lo spettatore è vittima. Chi manovra il denaro mostra infatti di non trattare con la dovuta dignità chi ha contribuito a farglielo guadagnare, spingendosi fino al punto di offrirgli una scelta tra un piatto con gli avanzi del giorno prima e un altro di cui non gli rivela gl’ingredienti. Il ragionamento sembra partire dal pigro presupposto che nel periodo festivo le famiglie si recheranno al cinema in ogni caso e dunque accetteranno di buon grado qualunque cosa venga propinata loro. Come abbiamo visto, questi calcoli si rivelano di anno in anno più sbagliati e gl’incassi precipitano a vista d’occhio.

Sarebbe però sbagliato considerare la povertà degl’incassi dei cinepanettoni figlia soltanto dell’atteggiamento indolente e menefreghista dei produttori verso il pubblico. Al limite, questo può esserne il padre. Ma deve spartirsi le colpe con la madre, cioè la mediocrità generale che affligge il cinema italiano e gl’impedisce di cogliere la realtà che stiamo vivendo. Anche se tutti i film di questo periodo registrano un fisiologico calo al botteghino (stando ai numeri, risulta dell’11% circa), il cinepanettone lo accusa maggiormente perché ha perso il suo scopo storico, ovvero la capacità di far divertire il pubblico. Quanto meno nei giorni di Natale e Santo Stefano le sale sono infatti ancora piene e il fatto che il 25 dicembre Poveri ma ricchissimi abbia incassato persino più della super produzione americana Star Wars: Gli ultimi Jedi dimostra che la gente avrebbe ancora voglia di rallegrarsi con i beniamini di casa nostra. Ma vuole farlo in un modo diverso da quello che ha accettato di buon grado negli anni passati. Non è un caso che Come un gatto in tangenziale, uscito il 28 dicembre, abbia già superato i tre milioni e mezzo d’incasso.

Per anni il cinepanettone ha rappresentato al meglio il peggio di noi italiani, nel senso che offriva perfetti identikit dei nostri difetti, ma con una bonarietà tale da permetterci di non vergognarcene e riderne sopra. Ogni anno la freccia percorreva lo stesso tragitto e andava sempre a segno, finché il bersaglio non ha subìto modifiche. In primo luogo, la gente ha perso il sentimento di “vacanzierità”, che ha dato peraltro il nome al capostipite di tutti i cinepanettoni (Vacanze di Natale del 1983) e a molti dei successivi. Fino a qualche tempo fa era un imperativo, per chi lavorava tutto l’anno, ritagliarsi una settimana libera a Natale e darsi alla pazza gioia, compatibilmente con le proprie finanze. La crisi economica ha rivoluzionato quest’abitudine, creando un’inevitabile alternativa tra chi non ha un lavoro, dunque non può fisiologicamente dirsi “in vacanza”, e chi deve tenerselo stretto, dunque non ci può andare se non per un fine-settimana mordi e fuggi. Insomma, lo stress da occupazione che oggi colpisce un po’ tutti rende impossibile identificarsi, e quindi appassionarsi, con le avventure di personaggi il cui cliché era, gira e rigira, sempre quello di yuppie desiderosi di spassarsela, che oggi risulta competamente fuori moda. Oltre al clima di fondo, vi è stato poi un cambio di mentalità per cui tutto ciò che attiene alla goliardia viene oggi respinto da un pensiero unico moralisteggiante che inibisce l’irriverenza degli autori e induce alla vergogna chi un tempo era disposto a farsi una risata becera, magari di nascosto. Capita spesso, assistendo a vecchi sketch di cabaret o a spezzoni di film del passato, di pensare che oggi non sarebbe più possibile proporre satire su certi argomenti. E’ paradossale che con il progresso la libertà di espressione si riduca, ma è proprio così. Per fare un esempio, oggi è cambiato radicalmente il ruolo delle figure femminili nei film comici, a seguito della diffusione di una mentalità secondo la quale persino fare un complimento a una donna per la sua bellezza fa rischiare al suo autore un’accusa di sessismo. Questo impedisce l’utilizzo di uno schema comico in cui prorompenti ragazze suscitano i sogni erotici di grassi commendatori e playboy da strapazzo, che si poteva far risalire alla notte dei tempi e al quale molto hanno ricorso i cinepanettoni.

A tal proposito, si può citare come emblematica quella scena di Natale da chef in cui la moglie di Boldi, origliando dietro la porta, sente parlare il marito con la sua “maialina“. Ella s’inviperisce pensando a un tradimento. In realtà si tratta di una vera maialina – nel senso del suino, alla quale lo chef si affeziona al punto da farla dormire con sé in camera da letto. Questa gag, piuttosto loffia, dimostra due cose. Primo: che anche il più standard tra i cinepanettoni non può più permettersi di costruire una scena in cui una donna viene definita “maialina” e, all’occorrenza, nascosta nell’armadio. Una scena vista mille volte e magari di dubbio gusto, ma difficile da ritenere offensiva per chicchessia. Secondo: che Natale da chef è comunque rimasto più legato a uno schema che oggi più che mai viene bollato come becero ed è ormai rifiutato da un pubblico sempre più ampio. Questa è la ragione per cui la coppia Boldi/Parenti incassa molto meno di quella De Sica/Brizzi nonostante il loro film sia più divertente, abbia un protagonista in ottima forma e proponga persino una satira gustosa (è il caso di dirlo) contro le manie creative dei nuovi chef.

Ci troviamo dunque di fronte a una situazione grottesca che fa ridere più di tutti questi film messi insieme: il molestatore (presunto, ci mancherebbe) Brizzi incassa più di Boldi proprio perché considerato meno molesto nelle cose che racconta. E perché la costruzione rimanga in piedi, via il suo nome dai manifesti. Ci sarebbe abbastanza materiale per scriverci un cinepanettone. Peccato che nessuno li guardi più.

Di seguito due brevi recensioni:

Poveri ma ricchissimi. Secondo episodio con protagonista la famiglia Tucci, arricchitasi con una vincita al Superenalotto. Il piccolo di casa aveva nascosto i soldi per non lasciarli alla cattiva gestione dagli adulti. Ora, per non dover dipendere da una fiscalità sempre più esosa, ricorrono ad uno stratagemma legale per far uscire il loro paesello dall’Italia e dall’Europa e diventarne i governatori. Per poi accorgersi che è meglio rientrare e far quello che si sa fare, cioè i supplì. Il piacere di rivedere sullo schermo Paolo Rossi è affossato dal dispiacere di vedere in quale film sia finito. De Sica non è un comico naturale ed Enrico Brignano non ha spalle abbastanza larghe da reggere il peso del seguito di un lungometraggio già debole nel primo episodio, ma comunque campione d’incassi. Non si avverte il “tocco” del regista Brizzi, nonostante alcune misteriose attrici giurino il contrario. In fondo, dopo aver visto il film, lo capiamo: al posto suo, pur di far togliere il nostro nome dai manifesti, avremmo molestato anche la donna barbuta del circo.

Natale da chef. E’ un disastro in cucina Gualtiero Saporito, che si crede un grande chef ma rovina tutti i piatti preparati dalla moglie nella sua trattoria e per questo viene da lei cacciato. Gli fornisce un’occasione di riscatto il titolare di una ditta di catering in lizza per l’appalto del G7. Peccato che questi voglia assicurarsi la sconfitta, unico modo per non aggravare il buco finanziario della sua azienda. A dispetto delle più tetre previsioni dopo il brutto Natale al sud dello scorso anno, quest’anno Boldi realizza un film spassoso, ovvero capace di assolvere il compito di un cinepanettone: strappare una risata, anche se alcune volte con scene di dubbio gusto. Questo può accadere grazie alla guida sicura di Neri Parenti e a una discreta sceneggiatura che irride le manie di grandezza dei nuovi chef. Considerando che Boldi è sempre stato questo e che in quest’ultima pellicola è particolarmente in forma, se il pubblico non premia più come un tempo le sue gag fatte di smorfie e doppi sensi significa che è cambiato il pubblico.