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[riflessione] E se il tracollo dei blockbuster di Hollywood non fosse colpa di Rotten Tomatoes?

25/09/2017 news di Sabrina Crivelli

Siamo sicuri che il sito web che raccoglie le recensioni dei critici americani sia il colpevole della deludente stagione estiva appena trascorsa?

L’estate appena trascorsa, in termini di box office, è stata la peggiore degli ultimi venticinque anni a Hollywood (come abbiamo sottolineato già qualche settimana fa in un altro approfondimento). Si tratta infatti del risultato più deludente dal lontano 1992, con entrate lorde tra maggio e agosto che hanno raggiunto ‘solo’ i 3.606 miliardi di dollari e con potenziali hit come Transformers 5: L’Ultimo Cavaliere e Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar che hanno tristemente deluso le aspettative, lasciando i grandi studi a interrogarsi su cosa sia andato storto.

Molte sono le possibili cause dello scarso afflusso del pubblico americano in sala, dall’esasperante pratica di produrre e distribuire solo ritriti sequel e remake alla totale scarsità di abilità narrative – ormai gli sceneggiatori non sono nemmeno più in grado di raccontare una storia elementare, o che quantomeno stia in piedi … -, o ancora l’aumento del costo dei biglietti nei cinema locali. Nello specifico, quest’ultimo ora tange in media i 12 – 13 dollari a visione (a cui si contrappone l’accattivante offerta d’intrattenimento a prezzi competitivi delle varie piattaforme di streaming quali Netflix, Hulu, Amazon e via dicendo), ma tale incremento è bastato davvero a determinare da solo il crollo dell’affluenza? Le major ritengono di no e secondo loro al contrario, è stata tutta colpa del perfido sito web Rotten Tomatoes!

pirati caraibi 5 salazarL’aggregatore di recensioni e punteggi relativi alle uscite filmiche per eccellenza, per anni è stato accusato, come molti critici, di determinare con giudizi sommari il risultato positivo o meno di un nuovo titolo e ora si è addirittura conquistato il primato di capro espiatorio unico; ancor più i siti di vendita on line di biglietti, quali Fandango, e la pervasiva e costante informazione possibile con Google, secondo alcuni addetti ai lavori all’interno degli studios allontanerebbero senza possibilità d’appello gli spettatori da quei film che ricevono un basso voto su Rotten. Possibile? A sostenere tale tesi, in un’intervista apparsa sul New York Times qualche tempo fa, è stato Brett Ratner (X‑Men ‑ Conflitto finale), che di recente è passato dalla regia alla produzione e al finanziamento di progetti cinematografici. Secondo lui, il sistema di votazione, diviso nella limitante categorizzazione di “rotten” o “fresh” – e in cui i film che prendono meno del 60% vengono etichettati come “rotten” (ovvero il poco lusinghiero “marci”) -, risulta fin troppo riduttiva; d’altra parte sin dagli anni Venti, ovvero sin dalla sfavillante ascesa dello Star System hollywoodiano, è sempre sussistita una certa tensione tra critica e industria, per poi inasprirsi sempre più (esempio emblematico è stato negli anni ’80 il Siskel and Ebert At the Movies, in cui Roger Ebert e Gene Siskel davano libero sfogo al loro piglio (re)censorio con inappellabili responsi sulle pellicole coeve).

baywatch filmTornando alla diatriba più recente, un’altra accusa fatta a Rotten è stata quella di inserire nella computa anche blog e canali YouTube – come Screen Junkies -, risultando così fin troppo inclusivo a detta di registi, produttori e compagnia. Dalla sua, il presidente di Fandango (a cui fa capo anche Rotten), Paul Yanover, ha replicato che il criterio di inclusione è tale perché è chiara volontà quella di prendere in considerazione anche le voci femminili o di minoranze che, spesse volte, avrebbero solo una posizione marginale nelle più tradizionali testate, che invece privilegerebbero il maschio bianco pivot.

Che ciò sia fondato o meno, la reale incognita rimane comunque e sempre se l’audience americana – e non – sia davvero così dipendente dai giudizi dei critici e dai punteggi conferiti alle nuove uscite su Rotten, o se ci sia piuttosto anche altro … Vero è che il sito ha acquisito una sempre maggiore popolarità, aumentando nell’ultimo anno di oltre il 30% il numero totale di visitatori unici. Ma sarà davvero così determinante sugli incassi? E gli spettatori si basano così tanto su quanto scritto online? Un altro possibile – e più probabile – fattore determinate potrebbe d’altra parte essere il vecchio e sempre valido passaparola, deterrente ben più efficace per le pellicole dal dubbio livello, come l’ennesimo sequel di Pirati dei Caraibi. Ci sono poi casi opposti, come il notevole successo di Wonder Woman, in effetti molto supportato dalla critica, ma il cui risultato superiore alle aspettative è stato senza dubbio determinato anche dal riscontro particolarmente positivo degli spettatori. Ciò su cui bisognerebbe inoltre soffermarsi quindi non è tanto – o perlomeno soltanto – l’impatto che le cattive recensioni hanno sulla vendita di biglietti, il cui rapporto di consequenzialità è comunque tutt’altro che scontato, quanto ciò che ha portato alla negatività dei giudizi dei recensori che, con ogni probabilità, determinerà altresì lo scarso apprezzamento del grande pubblico.

rotten tomatoesSoffermandoci allora meglio su alcuni dei titoli più vessati, troviamo oltre ai già citati film di Joachim Rønning & Espen Sandbergi e di Michael Bay, il reboot di La Mummia con Tom Cruise e la versione cinematografica di una serie televisiva degli anni ’90, Baywatch e qualche sospetto potrebbe pur sovvenire … E’ allora così incomprensibile che negli anni precedenti, a prescindere dagli score registrati su Rotten, le entrate non fossero scarse, mentre nel 2017 abbiamo assistito alla caduta a picco dei proventi, per cui sono a malapena stati coperti i costi di produzione dei suddetti blockbuster? Non sarà che, oramai, chi va al cinema, è stufo dell’ennesimo seguito o rifacimento di qualcosa di già visto, peraltro cosparso di buchi di trama, e con copioni e scambi di battute imbarazzanti? Se al contrario andiamo a guardare alle storie originali come Dunkirk o alle reinterpretazioni inedite di personaggi classici come quella di Patty Jenkins, ben differente è il riscontro collettivo (di critica e pubblico). Forse che gli spettatori vogliono, semplicemente, recarsi in sala e vedere un buon film, da condividere e di cui parlare poi con gli amici e gli altri appassionati?

TRANSFORMERS 5 THE LAST KNIGHTNon solo. Gli USA non sono infatti l’unico problema di Hollywood. Un altro mercato fondamentale sta cominciando a dare segni di stanchezza: quello cinese. Anche gli spettatori della Repubblica Popolare hanno dimostrato difatti una certa freddezza verso le ultime produzioni americane (come sottolineato da The Outline): il fascino di Tom Cruise in La Mummia non è stato sufficiente, né il richiamo di Scarlett Johansson nel live action di Ghost in the Shell (alla cui produzione sono peraltro concorsi finanziamenti cinesi), che con i suoi 70 milioni incassati (somma dei box office cinese e americano) non ha nemmeno coperto il budget iniziale di 110 milioni di dollari. Se dunque Hollywood sperava di compensare con uno sbocco a Oriente gli scarsi riscontri in patria, a quanto pare, anche il nuovo pubblico si sta velocemente disamorando. Così, seppure si cerchi di coinvolgere l’audience cinese con escamotage di product placement piuttosto ingenui (come far bere a Mark Wahlberg un prodotto caseario Mengniu Dairy in un deposito di rottami del Sud Dakota …), una super produzione come l’ultimo Transformers ha incassato solamente 229 milioni di dollari, contro i 320 del precedente capitolo…

In conclusione, è lecito il dubbio sul reale motivo di una simile perdita di interesse – e di conseguenza di pecunie – verso i prodotti hollywoodiani ad alto budget. Forse, le major, invece di additare la critica e Rotten Tomatoes quali autori del loro declino, dovrebbero iniziare a leggere quanto viene scritto sui loro prodotti e, magari, riflettere sui giudizi negativi, poiché potrebbero non essere poi così campati per aria e potrebbero perfino contenere suggerimenti utili per l’avvenire.