Home » Cinema » Horror & Thriller » Rivisti Oggi | Basic Instinct di Paul Verhoeven

Voto: 7/10 Titolo originale: Basic Instinct , uscita: 20-03-1992. Budget: $49,000,000. Regista: Paul Verhoeven.

Rivisti Oggi | Basic Instinct di Paul Verhoeven

23/03/2018 recensione film di Valeria Patti

Il regista olandese gira nel 1992 un thriller rimasto nell'immaginario collettivo di cinefili e non, grazie a una Sharon Stone tanto letale quanto magnetica

Basic Instinct del 1992 è un film rivestito di elementi classici associati al sottogenere noir, dai polizieschi con rincorse in auto a velocità estrema, fino alla tipica inchiesta del cinema giallo. Un surrogato stuzzicante, intelligente ed erotico come raramente si era visto in quegli anni. Dove l’eterosessualità dei personaggi si mixa a un ambiente omosessuale orgiastico, raccontato senza fronzoli moralisti.

Ciò che importa al regista olandese Paul Verhoeven (RoboCop, Atto di Forza, Black Book, Elle) e allo sceneggiatore ungherese Joe Eszterhas (scriverà anche l’incompreso Showgirls) non è narrare una storia particolarmente complicata (seppur piena di elementi assurdi e folli), ma sviluppare nello spettatore una morbosa curiosità verso i personaggi presentati, attraverso una visione priva di compromessi. Un rimbalzo continuo tra scene banali, quasi scadenti, con personaggi mediocri tipici di sceneggiati televisivi a momenti spiazzanti, intelligenti tanto da confonderci le idee.

Lo spettatore si sente inebriato, attratto e forse senza comprenderne la profonda ironia infastidito da una serie di immagini e dialoghi senza censure con battute che conferiscono a questo lavoro un alone di fascino e seduzione. Una lotta interessante e incessante tra perbenismo e amoralità impropria. Prendendosi gioco dei canoni classici già esistenti, mischiando le carte con caparbia maestria. Riuscendo comunque a mantiene elementi del suo cinema come la misoginia, il nichilismo e il voyeurismo.

Siamo a San Francisco. Il detective Nick Curran (Michael Douglas) dopo un omicidio violento di un uomo, un ex star cantante, viene incaricato di indagare sul colpevole. Le prime prove portano a una scrittrice: Catherine Tramell (Sharon Stone) un’ereditiera miliardaria dalla bellezza e fascino talmente evidenti da apparire quasi indecenti. Nick Curran fa la sua prima comparsa sulla scena del crimine. La macchina da presa ci guida attraverso la storia, attraverso il primo omicidio, di cui noi stessi siamo stati testimoni. Sono gli attori a guidarla, e non il contrario.

Questo ci aiuta in un certo senso a seguire la vicenda come se lo spettatore facesse parte dello staff di polizia. Tecnicamente sono movimenti fluidi, i quali mantengono in noi la piena attenzione Creando una splendida coreografia sinuosa che fa da contrasto con uno sfondo di morte. Brutale e violento il cadavere quasi raramente sparisce dalla nostra visuale.

Unito a un movimento di camera elegante, oltre alla violenza, il terzo elemento entra subito in gioco a gamba tesa. Una serie di battute politicamente scorrette come: “prima è venuto e poi se è andato” ci ricordano o ci invitano a prendere visione di un film che può essere tutto il contrario di tutto. Tra i colleghi avvengono una serie di dialoghi banali, quasi imbarazzanti tipici dei film di serie b. Percepiamo per tutto il tempo di essere invischiati in qualcosa di grosso. Nick, interpretato da un Douglas maturo e credibile è il simbolo del tipico poliziotto di genere. Rappresenta un idealismo libertino dove la legge fa da scudo a un indole irrequieta. Essere dalla parte giusta (quella della legge) e poter contestare ciò che si reputa sbagliato senza particolari conseguenze. Nick ha dentro di sé una serie di demoni e colpe che lo rendono più duro e spietato dei suoi colleghi.

Un idealismo non fine a se stesso, ma che va a collimare con dei vizi (alcool e droga) di chi probabilmente ne ha viste troppe e non ha retto un esaurimento nervoso. Chiamato”il giustiziere” si porta appresso la colpa di aver ammazzato due turisti durante una sparatoria. Il fattore interessante risiede nella rara volontà dell’uomo di fare ammenda accompagnato dalla totale assenza di redenzione. Non riusciamo bene a capire se Nick si senta davvero in colpa oppure giustifichi se stesso attraverso una giustizia maggiore che concerne qualche sacrificio. Nonostante questo implichi l’innocenza delle vittime.

Ciò nonostante ha un innato richiamo di trovare l’assassino, si ritrova così a conoscere la figura cardine di tutta la pellicola, la vera protagonista di Basic Instinct. La sua introduzione come figura perno è estremamente hitckocockiana. Sia durante il percorso in macchina con Nick e il suo collega Gus (George Dzundza) verso la casa sull’oceano, sia durante i primi scambi di battute. Accompagnati da una musica inquietante, sale un’alta tensione e una curiosità nello scoprire il volto della prima (e unica) indagata.

Su una poltrona di un terrazzo con vista oceano si gira verso di noi una donna bellissima. E’ bionda e accenna un sorriso. Ha un fascino algido. Uno sguardo serafico e un’aura protervia. Sbandiamo davanti al suo fare innocente. Introduzione perfetta. La Tramell è una dark lady degli anni 90. Ha tutti gli elementi tipici dello stereotipo mischiati a una modernità necessaria per i tempi in cui è stato girato e incombenti alla storia. La dark lady è una figura coniata e nominata da William Shakespeare nei suoi sonetti; ha narrato e descritto una donna misteriosa per poi sviluppare meglio il concetto stesso applicandolo a personaggi fondamentali delle sue opere come Cleopatra o Lady Macbeth, perfette rappresentazioni del concetto da lui stesso coniato.

La figura della dark lady sarà sempre presente nel cinema noir e nel giallo hard boiled. Col suo fascino può manipolare chiunque, intricando il protagonista in situazioni pericolose fatte di mistero e ambiguità. Con la propria bellezza può arrivare ovunque voglia. Inaccessibile illude, si prende gioco e usa ogni persona possibile pur di arrivare al proprio obiettivo. Sharon Stone riesce a interpretare una delle dark lady più spinte, spietate e credibili dopo quelle intoccabili di Theda Bara e Marlene Dietrich.

Attrae e respinge al tempo stesso, mettendo a disagio sia Nick che il suo collega Gus. I due cercano di mantenere una facciata virile sorretta da una maschera rappresentante il proprio ruolo (poliziotti duri che non si fanno intimorire) ma in realtà rimangono soggiogati e tramortiti dall’essenza che emana questa donna, da un certo punto di vista sono annientati nello spirito e nella loro virilità di maschi alfa.

Il giustiziere e la possibile assassina. Uno fa parte di un mondo razionale dove le prove fatte e finite sono tutto ciò che serve per giungere alla conclusione di un caso, rimanendo con i piedi ben saldi a terra, Nick cerca una vita meno lussuriosa, facendosi timoniere della razionalità . La seconda fa parte di un mondo anch’esso razionale, ma rimanendo in equilibrio riesce a giostrarsi tra la libertà di fare ciò che desidera e la razionalità di tutelarsi. L’utilizzo delle parole come risorsa assoluta per vincere sulle persone e sul mondo circostante, intoccabile ci appare quasi una dea pagana.

I due pianeti diversi, ma simili, si collimano, si unisco con un unico denominatore comune: la pulsione sessuale, sinonimo di emancipazione e folle euforia. Nick si lascia travolgere dal mondo di lei. La segue in un club notturno. Allegoricamente il club è una discesa negli inferi. Un mondo dove non esistono regole e la perdizione è legge.

Per aumentare il piacere di lui, Catherine lo esclude dai suoi divertimenti, dai suoi torbidi incontri sessuali a tre. Gli chiude in faccia la porta del bagno con un piede. Diretta e decisa lo ammonisce, accrescendo una pulsione sessuale potente e devastante. In pista quando si uniscono per ballare avvertiamo la fortissima attrazione che li unisce e il desiderio di esplosione che potrebbe venire da un momento all’altro. Ciò avviene.

Durante il primo rapporto sessuale tra i due protagonisti, è inevitabile ripensare alla scena di presentazione dopo i titoli di apertura. Con uno dei motivi principali della colonna sonora (composta da Jerry Goldsmith) dinanzi a noi una serie di immagini frammentate che ricordano il cubismo di Picasso (presente con due quadri del periodo cubista, il primo nella casa della vittima e il secondo nella dimora principale della Tramell).

Sono immagini sfaccettate. Sparito il nome del regista il tutto si dissolve ricomponendosi in un’unica immagine riflessa in uno specchio, posto in un soffitto elegante di una casa. Vediamo due corpi nudi nel pieno del piacere di un amplesso, lei è sopra di lui, si muove animalesca. Ha un bel corpo ed è bionda. Il colore di capelli preferito da Alfred Hitckocock, sinonimo di inganno e potere femminile. Avviene all’improvviso, in un lasso di tempo brevissimo un omicidio violento e brutale dove la donna si macchia letteralmente del sangue della vittima. E’ un inizio forte e di impatto. Psicologicamente ci destabilizza.

Come si muove contorta dal piacere, le dita di lei nella bocca di lui, il dettaglio del foulard bianco usato come strumento per del sesso sadomasochistico tornano esatti e precisi nella scena del rapporto sessuale tra Catherine e Nick. Porgendo così nello spettatore una specie di déjà-vu, instillando il seme del dubbio e la sensazione di paura. Quel che in ogni modo guida i due è la passione sfrenata. Una momento malioso e pieno di tensione. Finirà con un omicidio? O con un orgasmo? O perché no, con entrambe le cose?!!

Nessun delitto è stato compiuto, Nick è ancora vivo. Rimane comunque il forte dubbio che la vita del detective sia in bilico. Paul Verhoeven sviluppa l’emotività della coppia. E’ una crescita violenta, ma rimane fine a se stesso riuscendo a disegnare sfumature ironiche che sfociano nel divertimento. Non è poi così importante porsi domande sulla trama e sulla follia totale che in certi momenti la storia prende.

Considerando che nel 1991 esce nelle sale Silenzio degli innocenti (diretto da Jonathan Demme, con protagonisti Anthony Hopkins e Jodie Foster). Film grazie al quale si arrivò a una nuova forma di intendere il thriller/poliziesco, dando una scossa pazzesca e innovativa, sia per quanto riguarda lo svolgimento della trama, sia per come fu scritto, esulando il rapporto tra poliziotta e serial killer, bene e male a confronto, ma che si uniscono per combattere un male maggiore. Scardinò molte certezze del passato, dando un nuovo vestito al genere thriller.

Basic Instinct giunge agli spettatori un anno dopo. Il cineasta olandese ne fa un discorso opposto, ma l’impatto, l’attenzione e la metodologia con cui lo mette in scene funziona quasi nello stesso identico modo: piazza elementi conosciuti perfettamente coerenti al passato e li stravolge; una struttura classica con pedine classiche (il poliziotto, il serial killer, la trama ricca di mistero, il desiderio sessuale e il depistaggio). Ci consente questa presentazione per poi distruggerla completamente.

Ancora oggi se guardiamo Basic Instinct, pur conoscendo ciò che accade, ha la grande qualità di travolgere con la sua violenza, divertire col suo umorismo di serie b ed eccitare col suo erotismo senza censure, un erotismo quasi spiccio privo di paura nell’esercitare verso chi lo guarda il dominio assoluto dei sensi. Ancora oggi nonostante chiunque si rimembri la famosa scena della Stone durante l’interrogatorio, quando libertina accavalla le gambe mostrando la sua intimità a tutti gli uomini presenti, simbolo di libertà e pura provocazione, vi è il finale del film che andrebbe maggiormente omaggiato. Inoculando l’ennesimo dubbio, Paul Verhoeven finisce il film come lo ha iniziato: con un’ennesima scena di sesso tra Catherine e Nick. Sinistra, inquietante e piena di pathos.

Lei poco prima lo ha lasciato impietosa perché ormai il romanzo da lei scritto è stato completato, la figura di Nick (protagonista del suo nuovo libro) non le serve più. Il sesso tra i due da dolce si fa subito feroce. E’ diversa rispetto alle altre volte, quasi un tentativo disperato di ricongiungimento il cui fine non ci appare così chiaro e immediato. Raggiunto l’orgasmo i due si coricano, non sono abbracciati come le altre volte, si erge un’atmosfera fredda. Lei gli dà le spalle e lui fissa il soffitto. Sembrano distaccati, dubbiosi sul futuro che li attende. Più di una volta Catherine sembra prendere in mano qualcosa, Nick posseduto da uno strano sesto senso percepisce che potrebbe essere decretata la sua fine. Ma i loro sguardi si incrociano, nel silenzio si fissano per qualche secondo. Nudi e arresi riprendono a baciarsi, non accade niente se non l’ennesima unione dei due corpi.

In un finale ancora hitckocockiano comprendiamo il compromesso di distruzione che attanaglia entrambi. Con una telecamera panoramica verso il basso vediamo il rompi ghiaccio sotto al letto. Nessuna certezza, nessuna risposta. Tra dubbi e dinieghi, abbiamo un’unica conferma: il cinema di Paul Verhoeven lo riconosci. Con lui la sua immensa follia e quel talento unico nel suo genere.

Di seguito il trailer di Basic Instinct: