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A House of Dynamite: finale e significato del film spiegati da Kathryn Bigelow

La regista del thriller nucleare parla delle sue intenzioni

L’ultima opera della regista premio Oscar Kathryn Bigelow (The Hurt Locker, Zero Dark Thirty), A House of Dynamite (la recensione), è un thriller politico e apocalittico che racconta l’arrivo di un missile nucleare diretto verso gli Stati Uniti. Ma la vera esplosione non è quella della bomba: è quella morale, istituzionale e umana che travolge chi deve decidere il destino del mondo in appena diciotto minuti.

“Diciotto minuti per decidere il destino del mondo, con informazioni frammentarie e contraddittorie”, spiega la Bigelow. “Entriamo nei corridoi del potere, dove persone altamente competenti si ritrovano impotenti di fronte al caos.”

Il film – scritto e prodotto da Noah Oppenheim (Jackie, Zero Day) – è diviso in tre atti, ognuno ambientato nello stesso lasso di tempo ma da prospettive diverse:

  • La Sala Situazioni della Casa Bianca,
  • Il Comando Strategico degli Stati Uniti (STRATCOM),
  • Il Presidente stesso, interpretato da Idris Elba.

Il film si apre con una giornata ordinaria. La Capitano Olivia Walker (Rebecca Ferguson) saluta il figlio e va al lavoro nella Situation Room; il Maggiore Daniel Gonzalez (Anthony Ramos) litiga con la moglie e raggiunge la base missilistica in Alaska. Poi, improvvisamente, un missile intercontinentale (ICBM) viene rilevato in rotta verso il continente americano.

“Il vero antagonista è il sistema che abbiamo costruito: una macchina capace di distruggere il mondo in pochi secondi”, afferma la Bigelow.

La regista non rivela mai chi abbia sparato il missile – non un Paese, non un gruppo terroristico, forse solo un errore umano – perché il film non cerca un nemico esterno, ma denuncia la fragilità intrinseca del deterrente nucleare.

Il caos si propaga in tempo reale:

– Il 59° Battaglione lancia due missili intercettori,
– Il Segretario alla Difesa Reid Baker (Jared Harris) convoca una videoconferenza d’emergenza,
– Esperti e generali si collegano via Zoom e FaceTime da luoghi improbabili – un reenactment della Guerra Civile, una colonscopia, una corsa in auto verso la Casa Bianca.

È impossibile separare la vita privata dal dovere quando il mondo sta per finire”, commenta Harris.

Le riprese hanno sfruttato set interconnessi e chiamate video reali: gli attori interagivano in diretta da stanze diverse per restituire autenticità e tensione, spiega il direttore della fotografia Barry Ackroyd (The Hurt Locker, Captain Phillips).

Nella seconda parte, “Hitting a Bullet with a Bullet”, i personaggi scoprono l’inefficacia del sistema difensivo: la percentuale di successo dei missili intercettori è appena superiore al 50%. Il primo fallisce, il secondo manca l’obiettivo.

Il Maggiore Gonzalez, disperato, esce nella neve e vomita:

“In quel momento capisce la gravità assoluta di ciò che sta per accadere. Non può più fare nulla”, racconta Ramos.

Mentre la catena di comando si disgrega, Reid Baker affronta il suo dramma personale. Sa che il missile è diretto verso Chicago, dove vive la figlia (Kaitlyn Dever). Cerca di farla evacuare, ma è troppo tardi.

È quasi disumano chiedere a un padre di restare lucido quando sa che sua figlia è nel mirino”, dice Harris.

Baker si rifugia sul tetto del Pentagono, e quando arriva l’elicottero per portarlo nel bunker di Raven Rock, decide di non salirci. Si lascia cadere nel vuoto. È il suo modo di “rispondere” a un mondo che ha perso senso.

Nel terzo atto, “A House Filled with Dynamite”, entra in scena il Presidente degli Stati Uniti (Idris Elba). Lo vediamo per la prima volta non alla scrivania, ma in un’arena sportiva, tra studenti e spettatori ignari.

“Volevamo mostrarlo come un uomo normale nel momento meno normale possibile”, spiega Oppenheim.

Quando il Servizio Segreto lo informa del missile in arrivo, viene scortato su Marine One. L’ufficiale Reeves (Jonah Hauer-King) gli porge il manuale di risposta nucleare, diviso in tre opzioni: rare, medium, well doneun umorismo macabro che diventa simbolo dell’assurdità del potere.

“È come se tutti avessimo costruito una casa piena di dinamite,” riflette il Presidente. “Abbiamo continuato a vivere dentro, circondati da bombe e piani di emergenza. E ora stiamo aspettando che esploda.”

Elba tenta di chiamare la moglie (Renée Elise Goldsberry), ma perde il segnale. Pronuncia il codice di conferma. La testata nucleare raggiunge Chicago. Lo schermo si riempie di luce bianca.

Il film si chiude tre volte, sempre sullo stesso istante – il momento in cui il Presidente deve scegliere se reagire. Non sappiamo se lo fa. Bigelow lascia tutto sospeso:

Volevo che il pubblico uscisse dal cinema chiedendosi: ‘E adesso cosa facciamo?’”. dice la regista. “Viviamo davvero in una casa piena di dinamite, e ogni decisione che prendiamo, come società e come individui, contribuisce a mantenerla intatta o farla esplodere.”

A House of Dynamite non è quindi solo un film catastrofico, ma una riflessione lucida e spietata sulla vulnerabilità del potere e sulla follia del deterrente nucleare. Con tre prospettive, tre ritmi e un solo destino, Kathryn Bigelow trasforma l’incubo atomico in un esperimento narrativo di tensione pura e disperata umanità.

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Published by
William Maga