Sci-Fi & Fantasy

Dossier: Avatar (2009), a lezione di 3D – e di epicità – da James Cameron

Quasi 15 anni fa, il regista dirigeva un'opera visivamente maestosa, semplice nella storia eppure resa solidissima dalla sua maestria dietro alla mdp

Avatar venne descritto col termine molto americano ‘game changer’, una di quelle opere ‘epocali’ insomma. E forse lo è stato. Ma lasciamo agli storici del futuro il compito di stabilirlo con esattezza. Al tempo della sua uscita nei cinema, il film era certo tra i più attesi del decennio. Le aspettative possono essere un’arma a doppio taglio; chiedete a George Lucas.

Eppure, quando un regista le soddisfa o addirittura le supera, i risultati sono straordinari, e questo è il caso di Avatar. Quando uscì nelle sale nel 2009, James Cameron puntava moltissimo su questo titolo, la sua sentitissima – e a lungo rimandata – fatica successiva a Titanic (uscito una dozzina di anni prima).

In circostanze “normali”, la posta in gioco sarebbe stata solo la reputazione di James Cameron e la sua futura ‘autonomia’ hollywoodiana con budget astronomici. Ma il filmmaker puntò forte anche sul redivivo 3D e se tutti i registi dopo di lui avessero saputo/potuto fare con quello strumento ciò che lui riuscì a raggiungere, forse molti più spettatori avrebbero più volentieri indossati quegli scomodi occhiali a ogni proiezione in seguito.

Avatar è intrattenimento di altissimo livello. In 3D è ‘immersivo’ (questa è la parola d’ordine che tutti usano per la tipica esperienza tridimensionale), ma gli elementi tradizionali del film – storia, personaggi, montaggio, temi, risonanza emotiva, ecc. – sono presentati con sufficiente competenza da rendere anche la versione 2D un’esperienza coinvolgente lunga oltre due ore e mezza.

Nonostante abbia speso quantità straordinarie di tempo, denaro e sforzi per perfezionare gli elementi 3D, James Cameron non ha mai perso di vista ciò che era importante. La sua narrazione potrebbe quasi essere considerata una versione fantascientifica di Balla coi lupi (filtrata attraverso Il mondo dei replicanti), e funziona per molti dei motivi per cui Balla coi lupi stesso funzionava.

Ma James Cameron prende a prestito anche dal suo stesso ‘catalogo’. La cultura spaziale/militare ricorda quella di Aliens – Scontro finale e il romanticismo ‘interculturale’ rimanda a Titanic. Avatar non può contare su Leonardo DiCaprio, ma la storia d’amore al centro è per certi versi più potente di quella raccontata in Titanic, perché la posta in gioco è più alta.

Da un punto di vista puramente visivo invece, James Cameron ci regala una delle più straordinarie presentazioni di sempre di un mondo alieno, oltre a costruire uno scontro epico.

Avatar ci porta sul pianeta Pandora nell’anno 2154. Pandora è un mondo ricoperto da una rigogliosa giungla, su cui i terrestri sono arrivati con l’intenzione di effettuare uno sfruttamento minerario. Sebbene siano le multinazionali a gestire la situazione, l’esercito, guidato dal colonnello Miles Quaritch (Stephen Lang), è a disposizione per fornire protezione e supporto.

I rapporti degli umani con la popolazione umanoide indigena, i Na’vi alti 3 metri e dalla pelle blu, sono da subito stati conflittuali, al limite dell’ostilità. Per un certo periodo, la dottoressa Grace Augustine (Sigourney Weaver) ha avuto un qualche successo nell’interagire con i nativi utilizzando degli “avatar” (Na’vi sintetici controllati a distanza dagli esseri umani) per ‘fornire’ loro istruzione e progresso tecnologico, ma i progressi vanno ora a rilento e Grace è stata esclusa dalla società Na’vi. Così, lei e il suo gruppo di avatar stanno cercando di trovare uno spiraglio per rientrarvi.

L’opportunità è rappresentata dall’improbabile Jake Sully (Sam Worthington), un ex-marine paraplegico. Il viaggio di Sam verso Pandora è un caso fortuito. Suo fratello gemello, che si era allenato per anni ad ‘abitare’ un avatar e la cui identità genetica era impressa su di esso, è morto inaspettatamente e Jake era l’unico in grado di prendere il suo posto.

Si ritrova quindi tra due ‘padroni’: il colonnello Quartich, che vuole che il soldato crei un legame con i Na’vi per potergli poi riportare preziose informazioni tattiche, e Grace, che vuole ricostruire le linee di comunicazione. Poi, una serie di eventi nel mezzo della giungla separa Jake dagli altri avatar e lo mette in pericolo di vita.

La sua vita viene salvata da Neytiri (Zoe Saldana), che non si fida di lui ma crede che sia stato toccato dal dio Na’vi. Lo porta quindi all’ “Albero delle anime”, dove lui non solo deve implorare per la sua vita, ma anche per l’opportunità di imparare le loro usanze. Neytiri diventa così il suo mentore e presto si ritrova a simpatizzare più con i suoi “fratelli” dalla pelle blu che con il colonnello Quartich, che sta pianificando una massiccia operazione per trasferire i Na’vi lontano da un ricco giacimento di minerali.

La maggior parte dei film in 3D ha usato questa tecnologia come un ‘espediente’, un mezzo per spingere gli spettatori a esclamare “ooh” e “aah”. Non è questo il caso. L’opera diretta da James Cameron è coinvolgente perché il 3D era insito nel suo DNA cinematografico. Ha compensato la pervasiva oscurità causata dalle lenti polarizzate aumentando la luminosità (le immagini appaiono troppo luminose se viste senza occhiali). Ha evitato i “trucchi” tipici del 3D (ad esempio lanciare oggetti al pubblico) che potrebbero trasportare lo spettatore fuori dall’esperienza. Le immagini di Avatar sono così sontuose che, forse già dopo i primi dieci minuti di film, ci si dimenticava di indossare gli occhialini.

James Cameron capisce come i pezzi del puzzle debbano unirsi per formare un film completo, e li assembla come solo un maestro del suo calibro sa fare. La storia di Avatar, pur essendo semplice, risuona profondamente in un’epoca in cui è diventato evidente che l’umanità è un’amministratrice tutt’altro che perfetta del pianeta su cui viviamo.

Come in Balla coi lupi o L’ultimo samurai, si tratta di un militare che si ritrova trasformato dalla cultura che adotta e finisce per opporsi al suo stesso popolo in una battaglia impossibile. La storia d’amore di Jake con Neytiri conferma che James Cameron ha un cuore romantico. Il serraglio di Pandora sembra uscito dal sogno erotico di un Dungeon Master: creature simili a dinosauri che non temono i proiettili, carnivori feroci che fanno sembrare i T-Rex mansueti, animali spazzini che vagano e attaccano in branco, creature volanti simili a draghi che popolano i cieli e una vegetazione viva quanto le suddette bestiole. I Na’vi dalla pelle blu, chiaramente modellati sui nativi americani, sono tra gli abitanti più “ordinari” di Pandora.

Tutti i film di questo tipo devono avere un cattivo; Avatar ne ha due. Il primo è il burocrate Parker Selfridge (Giovanni Ribisi), che si dedica al margine di profitto sopra ogni altra cosa. Ogni somiglianza con il personaggio di Paul Reiser in Aliens – Scontro finale è puramente intenzionale. Forse James Cameron aveva in mente i boss degli Studios che controllavano il suo budget quando ha creato Selfridge.

E poi c’è il colonnello Quartich, che prende brillantemente vita grazie all’interpretazione di Stephen Lang, che ruba la scena. Quest’uomo è un vero stronzo, ma è impossibile non ammirarlo da un certo punto di vista. Come il Robert Duvall di Apocalypse Now, ama l’odore del napalm al mattino, a mezzogiorno e durante la notte. Quartich non è mai animato in CGI, ma sembra sempre un personaggio ‘impossibile’. Se c’è una star umana in Avatar, quella è Stephen Lang.

L’attore può forse avere il ruolo più appariscente, ma non è l’unico a svolgere un lavoro apprezzabile. Sam Worthington e Sigourney Weaver sono entrambi bravi, anche se una buona parte del minutaggio dei loro personaggi è animata. Zoe Saldana è ancora più problematica, poiché non appare mai “in carne e ossa”. Come il Gollum di Andy Serkis, è interamente ricreata in CGI, ma c’è lei dietro al lavoro in motion capture e alla voce.

A Michelle Rodriquez, come a Stephen Lang, non viene mai richiesto di diventare blu. Il suo ruolo è secondario ma inequivocabilmente eroico. La presenza di Sigourney Weaver conferma che, per quanto la reputazione di James Cameron sia negativa, ci sono attori che apprezzano il suo approccio estremamente perfezionista (tra gli altri, vanno citati Michael Biehn, Arnold Schwarzenegger, il compianto Bill Paxton, Linda Hamilton e Kate Winslet).

Tutte le possibili critiche mosse ad Avatar sono meramente di natura pretestuosa, ma le citeremo per completezza. Nel peggiore dei casi, si tratta di distrazioni effimere, facilmente eliminabili. Nel migliore dei casi, non verranno notate affatto. Dal punto di vista visivo, Avatar è quasi impeccabile, ma in alcuni casi la mdp si muove così velocemente che l’effetto 3D ne risente, causando un breve momento di disorientamento. Infine, sebbene la colonna sonora di James Horner sia prevalentemente efficace, ci sono casi in cui il compositore si auto-cannibalizza. Di tanto in tanto spunta infatti del materiale che sembra provenire dalle sue colonne sonore di Star Trek II e Aliens.

L’avventura su Pandora è un’esperienza che appare più come uno sforzo interattivo che passivo. Oltre ad essere emotivamente appagante, Avatar vanta una sceneggiatura intelligente, che ci ricorda che gli aspiranti blockbuster non devono essere definiti dall’imbecillità. James Cameron intrattiene gli spettatori da oltre quarant’anni e fa parte di una categoria elitaria di registi che non hanno ancora girato un’opera mediocre. Prima di cassare Avatar 2 sulla fiducia, meglio aspettare di vederlo.

Di seguito il trailer della versione 4K di Avatar, di nuovo nei nostri cinema dal 22 settembre:

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