A inizio anni '80 il regista esordiva con un'opera tanto oltraggiosa quanto brillante, che ne racchiudeva tutto il talento visionario e la genialità
Poche volte un film horror si è guadagnato negli anni una devozione pari a quella di La Casa (The Evil Dead), scritto e diretto dal debuttante Sam Raimi nel 1981. Milioni di fan hanno fatto di quest’opera a basso budget ambientata in una baita sperduta nei boschi un vero e proprio successo, che ha avuto anche due sequel, un remake, una serie di videogiochi, alcuni giochi da tavolo, uno show televisivo e perfino una versione in musical.
Tuttavia, con tutto il clamore che ha generato col tempo, il dibattito intorno a questo classico del terrore spesso finisce per esulare il film in sé, per rivolgersi invece più che altro alla sottocultura che esso ha partorito più o meno consapevolmente.
La narrazione in La Casa – con tanto di agguato nottetempo di forze antichissime e maligne – ha note più marcatamente orrorifiche rispetto ai successivi e più grotteschi La Casa 2 e L’armata delle tenebre, e la sua messa in scena e gli effetti pratici creati ad arte ci regalano un’esperienza genuinamente terrificante, scandita da momenti ad altissimo tasso gore.
Forse non si tratta di un film capace di stimolare nella nutrita fanbase una risposta finemente intellettuale, ma non si può certo negare a Sam Raimi il merito di una notevole innovazione tecnica e di audacia nella regia (ricordiamoci che eravamo all’inizio degli anni ’80). Il risultato ottenuto poi è ancora più straordinario se pensiamo al budget striminzito e alle difficili condizioni in cui La Casa venne girato.
Ad ogni modo, in La Casa si possono già discernere i capisaldi del futuro stile viscerale del regista, come se un artista già maturo avesse avuto finalmente la possibilità di testare sul campo le proprie innate doti.
Come Sam Raimi è arrivato a girare La Casa
Riguardando il film oggi, è quasi incomprensibile come un filmmaker appena ventenne originario del Michigan rurale sia riuscito a mettere insieme le risorse necessarie per la produzione del suo primo lungometraggio e, non solo l’abbia finito di girare, ma lo abbia fatto con una sicurezza e una abilità tale da lasciare il segno.
Più avanti, girò una serie brevi corti con i suoi compagni di scuola, usando la Eastman Kodak 8mm di famiglia e successivamente si comprò la propria telecamera con i soldi che aveva guadagnato rastrellando foglie nei giardini del vicinato. Quindi fondò il Metropolitan Film Group, anche conosciuto come la “Michigan Mafia”, con gli amici Scott Spiegel, Robert Tapert, Bruce Campbell e il fratello, Ted.
Insieme realizzarono altri cortometraggi, per lo più in stile slapstick, dai titoli evocativi come It’s Murder!, pensati per promuovere la propria etichetta di filmmaker amatoriali. Per conoscere meglio il business, inoltre, Sam Raimi lavorò anche come apprendista per il regista di spot pubblicitari Verne Nobles, immagazzinando ogni briciola di informazione che potesse migliorare la sua conoscenza delle tecniche di produzione e dei trucchi del mestiere.
Alla fine degli anni ’70, gli horror indipendenti a basso budget cominciarono ad avere alto potenziale di ritorno economico e al box office USA. Lo dimostra il successo di Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre, 1974) e Le colline hanno gli occhi (The Hills Have Eyes, 1977), rispettivamente di Tobe Hooper e Wes Craven. Quindi, Sam Raimi decise di cimentarsi nel cinema di genere e realizzare nel 1978 un corto intitolato Clockwork, uno slasher minimalista con protagonista un serial killer che braccava una donna.
Infatti, il giovane regista prese spunto da Tobe Hooper, Wes Craven e da La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead, 1968) di George A. Romero e, con la sua crew, si buttò nell’impresa di girare un horror incentrato su cinque studenti universitari in vacanza in una baita dispersa in mezzo ai boschi, dove involontariamente risvegliano un’antica entità maligna dal suo lungo sonno.
Forte di Within the Woods, Sam Raimi contattò quindi un amico di famiglia, l’avvocato Phil Gillis, consultandolo su come poter produrre un film e, subito dopo, lui e i suoi compagni di avventure si recarono da ogni famigliare e amico chiedendo un contributo alla produzione. Riuscirono anche a farsi concedere un prestito dalla banca di Detroit. Grazie ai loro sforzi racimolarono 90.000 dollari e, con il loro singolare script di appena 14 pagine in mano, iniziarono le audizioni nel seminterrato di casa dei genitori.
La trama (con spoiler) e i personaggi
Il copione di La Casa, all’apparenza estremamente elementare, consisteva in cinque personaggi monocordi che si trovavano ad affrontare una serie di eventi terrificanti e imprevedibili, tutti studiati per creare negli spettatori delle reazioni forti. Il film si apre con due coppie di amici, Scott (Richard DeManincor) e Shelly (Theresa Tilly), e Linda (Betsy Baker) e Ash (Campbell), che insieme alla sorella di quest’ultimo, Cheryl (Ellen Sandweiss), organizzano una vacanza insieme in una casa isolata nel nulla, nei boschi del Tennessee. Qui, Cheryl non solo si ritrova a fare da terzo incomodo alle due coppiette, ma è anche insidiata da una forza maligna che si nasconde nei boschi e inizia a sussurrarle con una cantilena: “Unisciti a noi!”.
Ascoltandolo, i cinque si rendono conto che il professore ci aveva registrato sopra alcuni misteriosi incantesimi funebri che, una volta riprodotti ad alto volume, evocano immediatamente un tremenda e antichissima forza demoniaca che si annida nei boschi circostanti.
Anzi, i boschi stessi vengono posseduti, come Cheryl scopre suo malgrado quando si avventura all’esterno alla ricerca della fonte della misteriosa cantilena e finisce per essere violentata dai rami che prendono magicamente vita.
Incapaci di scappare da quel luogo maledetto, che sembra essersi animato per isolarli dal mondo esterno, i protagonisti vengono a loro volta posseduti, uno dopo l’altro, dalla maligna forza che li ha presi di mira e tramutati in mostruosi aguzzini intenzionati a torturare coloro che sono ancora immuni attraverso attacchi verbali e fisici disgustosi e all’insegna del gore sfrenato.
Tuttavia, in una delle ultime sequenze, vediamo un’inquadratura frenetica secondo il punto di vista della forza maligna – che diventerà marchio di fabbrica di Sam Raimi – precipitarsi su Ash, pronta a possederlo.
Le difficoltà della produzione
Le riprese di La Casa – pianificate per sei settimane a partire dall’ottobre 1979 – prevedevano lo spostamento dei 13 membri del cast e della troupe dalle loro case in Michigan a Morristown, Tennessee, per evitare il gelido inverno del Michigan. Caso vuole, però, che quello del 1979 fosse uno degli inverni più freddi di sempre in Tennessee, e uno dei meno rigidi in Michigan.
Comunque sia, Sam Raimi e i suoi compagni di avventura si stabilirono in un luogo disperso nei boschi, in un capanno fatiscente senza elettricità, acqua corrente o riscaldamento.
L’esperto di effetti speciali Tom Sullivan assemblò velocemente alcune maschere e i materiali necessari prima della partenza, ma le risorse a disposizione erano talmente misere da richiedere che gli attori spesso dovessero tenere il trucco prostatico addosso per giorni interi.
L’esperienza fu risaputamene sfiancante per tutti, ma le condizioni avverse furono particolarmente proficue per il regista, il quale ha successivamente ammesso di essere riuscito a raggiungere il massimo della sua creatività proprio quando poté torturare i propri attori.
Per la famosa inquadratura in POV (un aggiornamento ingegnoso della tecnica chiamata ‘shaky cam‘) in cui la forza maligna ‘vola’ tra i boschi, il direttore della fotografia Tim Philo montò la cinepresa su un pezzo di legno per poi farlo correre sopra una palude. Per il finale, invece, quando la forza maligna sembra lanciarsi giù da una collinetta, entra nel capanno, e poi si scaglia contro Ash, Tim Philo fissò la cinepresa su una bicicletta che si scontrò letteralmente contro Bruce Campbell mentre giravano la scena.
Nel mentre, Tom Sullivan si dedicava a completare gli effetti speciali in stop-motion per l’apoteosi gore del finale – un’operazione che lo impegnò per altri 10 mesi. Non va comunque dimenticato che quelli che parteciparono alla produzione di La Casa non erano professionisti, ma gente che aveva un lavoro di giorno e bollette da pagare a fine mese, che si dedicava al film solamente nel tempo libero.
Da produzione amatoriale a cult delle proiezioni di mezzanotte
Per assemblare La Casa, Sam Raimi si stabilì in uno studio di produzione a Detroit, dove Edna Paul e la sua assistente Joel Coen (sì, quel Joel Coen …) ultimarono il montato di 85 minuti che il regista presentò in una proiezione per il pubblico in un cinema di Detroit.
Per assicurarsi una distribuzione più ampia, si incontrò poi con Irving Shapiro, un distributore che aveva lavorato con tutti, da Jean Renoir a George A. Romero. Questi trovò i fondi per la campagna pubblicitaria di Book of the Dead, per le foto promozionali e per la locandina. Insistette anche perché si cambiasse il nome del film, affermando che nessuno avrebbe voluto andare a vedere un lungometraggio con ‘Libro’ nel titolo. Tra i vari nomi bizzarri proposti (ad esempio Lick the Blood Off My Shovel!), Sam Raimi a malincuore scelse infine The Evil Dead (da noi tradotto poi come La Casa, appunto).
Senza l’approvazione del re del terrore, La Casa forse non avrebbe infine mai catturato l’interesse del distributore britannico Stephen Wooley, collaboratore di lunga data di Neil Jordan, il regista di La moglie del soldato (The Crying Game, 1992). Inoltre, anche la New Line Cinema manifestò il proprio interesse per La Casa, e decise di distribuirlo negli Stati Uniti.
Per evitare un pericoloso Rated X, che ne avrebbe pregiudicato il risultato commerciale, La Casa venne distribuito in un selezionato numero di sale cinematografiche in versione unrated e divenne popolare nel circuito dei film della mezzanotte, guadagnando lentamente la non insignificante somma di 2 milioni di dollari al botteghino.
Il successo tardivo e l’era dell’home video
Nonostante le recensioni positive e il successo al botteghino, La Casa non divenne tuttavia un cult fino alla sua uscita in home video, quando venne ‘scoperto’ dai ragazzini minorenni impossibilitati a vederlo nei cinema. Fu per loro una scoperta davvero allettante, specie in un tempo in cui le versioni unrated non erano ancora parte integrante delle manovre di marketing degli studi.
Le vendite sul mercato dell’home video crebbero con il passare degli anni fino a raggiungere – curiosamente – il proprio apice assai dopo l’uscita dei due sequel, ovvero quando nel 1998 La Casa arrivò ad occupare la terza posizione nella classifica dei titoli più venduti in DVD negli Stati Uniti. La sottocultura generata da Internet e i videofili resero quindi il franchise un vero e proprio fenomeno culturale quindici anni dopo l’uscita del primo film.
Bruce Campbell si auto-elesse invece subito icona dei B-movies, scrivendo due libri esilaranti sulla saga di The Evil Dead e sul suo ruolo di attore intitolato If Chins Could Kill e Make Love! The Bruce Campbell Way. Apparso in seguito in alcuni show televisivi come “The Adventures of Brisco County Jr.” e “Burn Notice – Duro a morire”, Bruce Campbell ha partecipato, almeno in cameo, a pressoché ogni film girato nel tempo da Sam Raimi.
Oltre a lui, altri habitué frequentemente adoperati da Sam Raimi davanti alla mdp comprendono il fratello Ted Raimi e “La Classica”, ossia la sua Delta Oldsmobile 88 del 1973 color popcorn, che il regista ha gelosamente conservato e anche ricostruito più volte all’occorrenza.
Un primo assaggio dello stile unico di Raimi
In qualche maniera, il purismo della tecnica cinematografica e lo stile personale di Sam Raimi hanno concorso al mito e all’ossessione nati intorno a La Casa. Con il suo primo film, il regista ha infranto infatti molte regole, ne ha create di nuove e ha dimostrato una profonda fiducia nel proprio approccio alla Settima Arte.
Ad esempio, prendiamo per un attimo in considerazione la sequenza di apertura di La Casa, in cui questi giovanotti in vacanza stanno attraversando in macchina una strada deserta spazzata dal vento diretti alla loro destinazione.
Sam Raimi rivisita però la tecnica tradizionale inserendo un terzo elemento appunto, un POV della forza maligna in agguato – una presenza misteriosa che osserva nascosta nei boschi. Osare qualcosa di simile è solitamente rischioso in un’opera prima; farlo funzionare nella scena d’apertura è addirittura brillante.
Lo stile visivo e narrativo di Sam Raimi è imprevedibile. Si avvantaggia delle aspettative generate nel pubblico solo per poterle stravolgere. Poco dopo il prologo, siamo nel sentiero nel bosco che porta al capanno, udiamo quel tipico suono di battito cardiaco già al tempo un po’ abusato, ma indubbiamente ansiogeno.
Quando poi i protagonisti arrivano, realizziamo che non si tratta in realtà di un battito cardiaco, ma di una trave appesa sul porticato che dondola e sbatte contro le pareti esterne della baita per il vento. D’improvviso però il movimento si ferma. C’è qualcosa di molto inquietante in tutto ciò. Il nostro cuore si è fermato? Beh, sta per farlo.
Dopo circa 20 minuti che stiamo guardando questi personaggi altresì piuttosto noiosi che disfano i bagagli, piccoli indizi e suoni angoscianti iniziano a susseguirsi, dandoci la sensazione che qualcosa non vada.
Dire che il regista porti a livelli estremi il materiale di genere è sminuente: lo stupro di Cheryl è indubbiamente il momento più scioccante dell’intera carriera di Sam Raimi, tanto che lui stesso ha più tardi ammesso di essere andato un po’ troppo oltre.
Via via che i demoni, conosciuti come Deadites, iniziano a possedere i protagonisti, ci rendiamo poi conto che non esiste la tradizionale distinzione tra buoni e cattivi. In La Casa, amici diventano nemici in un batter d’occhio, non appena si trasformano in esseri non morti dai tratti demoniaci e danno vita a una successine di scene cruente, mutilazioni e aggressioni d’ogni sorta con pale, attizzatoi, armi da fuoco, un coltello kandariano e una leggendaria motosega, il tutto reso in modo incredibilmente vivido, grottesco ma da brividi.
Lo stile di regia di Sam Raimi è quasi da vaudeville, la composizione delle inquadrature, le prospettive ribaltate, gli obiettivi grandangolari, il montaggio estremizzato e i movimenti di macchina sfrontati diventano sempre più vertiginosi e a tratti cartooneschi.
Non è raro che una risata occasionale inframezzi le grida e gli spaventi. Ciò non solo rappresenta un altro modo con cui il regista gioca con le aspettative di chi guarda, ma anche una qualità che, benché conferisca a La Casa una certa leziosità, allo stesso tempo lo contraddistingue per la sua unica e consapevole auto-satira.
Ciò che fa di La Casa un film scabrosamente unico
Il compositore Joseph LoDuca una volta descrisse l’approccio alla regia di Sam Raimi come una serie di ‘scherzi’. Quand’anche ci siano alcuni momenti di quiete in La Casa, aspettatevi che la sequenza immediatamente successiva vi lascerà scioccati, disgustati o in preda alle risate incontrollate.
Sebbene poi il film intenda più generare paura che risate (al contrario dei sequel, che invece tendono invece più alla commedia che all’horror puro), il modo in cui Sam Raimi rielabora il genere non è mai univoco. Il suo tocco registico e la sua intraprendenza dietro alla mdp incorporano sempre una certa quota di innovazione a livello tecnico.
La minaccia presente qui è uno dei suoi principali ingredienti inediti rispetto a quanto visto fino al 1981. Il vero tratto distintivo sta comunque nel modo in cui Sam Raimi ‘tiene a bada’ La Casa nel suo svolgimento repentino ed erratico.
Se Alfred Hitchcock avvolgeva il proprio pubblico in una classica sonata al pianoforte, Sam Raimi sceglie di tormentarci attraverso una serie di accordi dissonanti, eppure incredibilmente efficaci.
I singolari effetti speciali, i mutamenti di tono improvvisi e il vivido impatto visivo di La Casa lo cementano ancora oggi come un’esperienza unica nella storia dei film dell’orrore, le cui peculiarità lo hanno reso irreplicabile, se non da Sam Raimi stesso.
Di seguito trovate il corto Within the Woods: