Nel 1987, Cary Elwes e Robin Wright erano i protagonisti del sorprendente adattamento del romanzo La principessa sposa di William Goldman
Si è spesso discusso di come l’epoca d’oro della fantasy maturo, orientata a un pubblico adulto, si sia sviluppata pienamente solo negli ultimi 15/20 anni circa, come dimostrano i premi Oscar alla trilogia cinematografica di Il Signore degli Anelli, gli Emmy per la serie Il Trono di Spade e gli incassi da capogiro della longeva saga di Harry Potter, entrati velocemente a far parte dell’immaginario popolare.
Tuttavia, con tutta l’eccessiva attenzione riservata alle stregonerie digitali di oggi, le forma universalmente apprezzata dell’effetto artigianale e della tradizione orale tipiche del genere sono state soppiantate, come il ruolo di Bilbo Baggins nei film de Lo Hobbit. Al posto dell’eccessivo ricorso alla decapitazione da parte degli Orchi e delle decadenti battaglie tra maghi in CGI, una mania adolescenziale per i toni tetri ha soppiantato il vero motivo emotivo per cui in principio abbiamo amato questo tipo di storie di fantasia: sono sogni ad occhi aperti senza tempo, pensati per essere tramandati da una generazione all’altra. Nessun film lo ha capito meglio del meno moderno, ma infinitamente più saggio, La Storia Fantastica (The Princess Bride) di Rob Reiner del 1987.
A conti fatti, l’unico aspetto che è invecchiata di un giorno del film è come il suo pubblico iniziale sia adesso probabilmente abbastanza grande da condividerlo con i propri figli. Questa gioia sfrenata di passare di mano un ‘libro di fiabe’ filmico da un’epoca all’altra è esattamente il luogo in cui vive la vera alchimia del genere fantasy, un’impresa tanto sorprendente ora come lo era nel 1987.
La Storia Fantastica nacque in un’epoca in cui il genere era considerato un po’ il regno dei progetti dalle buone intenzioni ma dal risultato ‘passibile di flop’, con progetti del calibro di Willow di George Lucas e Ron Howard (1988) e del Labyrinth – Dove tutto è possibile con Jennifer Connelly e David Bowie (1986). L’idea che potesse essere celebrato tanto dagli adulti quanto dai più piccoli sembrò così una novità prima che Inigo Montoya sibilasse per la prima volta la memorabile: “Tu hai ucciso mio padre, preparate a morir!“. Il lungimirante critico americano Roger Ebert fu tra i pochi a carpire questa innovazione, affermando: “La Storia Fantastica appare e suona come Legend [di Ridley Scott] o quelle altre opere di epic-fantasy quasi eroiche – e poi sceglie la via della risate.”
Aveva certo ragione nel fatto che il film insegue l’umorismo, ma soltanto per affrontare il fantasy dalla prospettiva più seria che si possa immaginare: quella di un adulto che tenta di far capire l’importanza dei racconti con principesse, spose e – forse – il terribile Pirata Roberts. È una lettera d’amore da parte di outsider che cercano qualcosa di più dell’approvazione dei fan.
Quando William Goldman iniziò il percorso di scrittura del romanzo La principessa sposa (che fu pubblicato nel 1973), l’idea gli era venuta da un racconto della buonanotte per le sue due figlie, una delle quali voleva una storia con una principessa e l’altra desiderava quella di un sposa. Tuttavia, il compromesso raggiunto dalla scrittore per accontentarle – che dà il titolo al libro – divenne qualcosa di più quando iniziò a metterlo su carta. Descrivendo il procedimento come il più “fortemente connesso emotivamente di qualsiasi altra opera in vita mia”, William Goldman ‘abbellì’ la ragione stessa per cui aveva iniziato a raccontare tale storia alle sue figlie, rendendolo un dispositivo narrativo – cornice della storia stessa, in cui stava riassumendo il romanzo di autore immaginario, tale S. Morgenstern, per il suo figlio immaginario.
Tradizionalmente, le fiabe finiscono con la giovane eroina che si fidanza con il principe o qualche altra forma di nobile. Invece, La principessa sposa, con la sua bionda principessa chiamata Bottondoro, utilizza questo frequente epilogo come trampolino di lancio per una storia più ampia che coinvolge più protagonisti con un fine maggiormente stratificato; contestualizza l’idea di “vero amore” in termini moderni su uno sfondo senza tempo. E lo fa ricorrendo anche a molte risate.
Questo risultato dovrebbe essere evidenziato bene quando si prende in considerazione il background di William Goldman come uno scrittore non di letteratura per bambini o di fantasy dai linguaggi bizzarri. Proveniva infatti da un mondo teatrale e letterario, avendo studiato alla Columbia con il fratello James Goldman (drammaturgo dell’opera Il leone in inverno) e John Kander (compositore delle musiche di Cabaret e Chicago) come compagni di stanza. I primi passi di William Goldman nel cinema furono la scrittura di sceneggiature per film come Butch Cassidy, Tutti gli uomini del presidente e Il maratoneta (l’ultimo dei quali venne adattato dal suo romanzo).
Questa retroterra ‘drammatico’ è ciò che permise a William Goldman di scrivere il suo romanzo preferito, che guardava al concetto di magia e di foreste incantate con occhi amorevoli, anche se confusi. Poteva onorare al meglio i sogni ad occhi aperti tipici dell’infanzia immergendovisi con un piede fermamente sollevato dal loro mondo. Fu in quella zona che si poggiò l’altro piede, permettendo all’adattamento cinematografico di La Storia Fantastica di distinguersi.
Come affermò il giovane Reiner, fu su insistenza di suo padre che iniziò a leggere i libri di Goldman, incluso La principessa sposa, che divenne una delle più grandi esperienze di lettura della sua vita. “Era come se lo scrittore fosse nella mia testa“, dichiara La il regista nel commento audio di La Storia Fantastica per l’home video.
Saltiamo ora alla metà degli anni ’80, dopo che Rob Reiner aveva dimostrato la sua verve comica col film This is Spinal Tap (1984). Il giovane regista convince William Goldman che avrebbero condiviso la medesima sensibilità umoristica nell’adattare per il grande schermo La Storia Fantastica, così lo scrittore accetta di occuparsi della sceneggiatura. È tale sensibilità, una specie di Pietra filosofale segreta, che infonde il risultato di una vena decisamente insolita per Hollywood.
Tanto quanto La Storia Fantastica si affida ad eroi archetipici come Cary Elwes nei panni del dolce ragazzo di campagna Westley — una scelta di casting azzeccata, in parte a causa della sua strana somiglianza con un giovane Errol Flynn e Douglas Fairbanks Jr. — e con il ruolo di Principessa Bottondoro, che ha lanciato la carriera di Robin Wright, il film è rintuzzato da un nugolo di indimenticabili personaggi di contorno (tra cui André ‘The Giant’ Roussimoff come Fezzik).
Mandy Patinkin, famoso per i musical Evita e Sunday in the Park with George, incarna meravigliosamente la rabbia vendicativa e la faccia tosta dello spadaccino di origini spagnole Inigo Montoya. Ma altrettanto memorabile è il battibecco molto contemporaneo tra gli irriconoscibili Billy Crystal e Carol Kane, nei panni di esilaranti e vecchissimi maghi. In genere, lo stregone è il catalizzatore della fantasy ‘serio’. Dove sarebbe Artù senza Merlino? E che ne sarebbe della Cenerentola dei fratelli Grimms senza una fata madrina? Eppure, il Gandalf di La Storia Fantastica è un povero sfaccendato di nome Max dei miracoli, un ruolo che Rob Reiner ha ammesso è stato parzialmente ispirato allo sketch “2000 Year Old Man” di Mel Brooks. In un’intervista, Billy Crystal ricorda addirittura che quando il regista lo approcciò per offrirgli la parte, gli chiese apertamente perché non si fosse rivolto a Mel Brroks.
Si può persino dire che Wallace Shawn, un drammaturgo e redattore del New Yorker, offre la migliore battuta di La Storia Fantastica con tutto lo sdegno tipico dell’intellettuale più sicuro di sé: “Il detto più famoso è: “Mai andare a vendere i tappeti ai persiani… ma un quasi altrettanto conosciuto è questo: mai mettersi contro un siciliano quando si tratta di uccidere!”.
La giustapposizione di una strizzatina d’occhio postmoderna agli errori storici di gente come Napoleone, Hitler e gli Stati Uniti in Vietnam (persiani = Asia) è una battuta sarcastica sagace, pronunciata irresistibilmente poco prima di morire. Materia di cui sono fatti i sogni di ogni commedia.
Ciononostante, niente nella sceneggiatura è rivolto al mero obiettivo di strappare una vuota risata al pubblico. Lo stesso Mandy Patinkin ha descritto al meglio l’effetto di La Storia Fantastica durante un’intervista del 2006.
Ricordo Rob Reiner al nostro primo incontro. Mi disse: “Il modo in cui voglio che tutti recitino questa scena è come se tu avessi in mano delle carte, e io voglio che tutti quanti quasi mostrino la loro mano al pubblico, ma non lo svelino mai davvero. È così che voglio che accada.” Quindi, ha radunato un gruppo di persone che avrebbero giocato a carte in quel preciso modo.
Perché il primo film fantasy nella storia moderna di Hollywood che venisse preso sul serio dagli adulti (e non solo per gli spunti dark come ‘la macchina che risucchia gli anni di vita‘), l’illusione non viene evocata da un gruppo di attori che recitano le loro battute con la serietà tipica della Royal Shakespeare Company, ma piuttosto con accenti americani del tutto comuni e contemporanei, su tutti il Peter Cook interprete dell’Impressionante Sacerdote.
L’origine di queste storie è un argomento ampiamente dibattuto, fatto sta che hanno cominciato a essere raccolte e diffuse nel XVI secolo, quando gli scrittori (di solito per volere o per mano di matriarche benestanti) iniziarono a legittimare ciò che erano state fino a quel punto delle tradizioni puramente orali. Si trattava per lo più di racconti morali dalla leggerezza spensierata sulla mitologia o il luogo in cui vivevano.
La Storia Fantastica raggiunge lo stesso identico scopo dell’astuto dispositivo narrativo usato dal nonno Peter Falk che espone l’intero racconto all’inizialmente riluttante nipote (Fred Savage). Per quanto sia – sotto sotto – anche un appello rivolto ai bambini a posare il joystick e i videogame e prendere in mano un buon libro, questo espediente funge anche da ripresa delle origini del fantasy come tradizione orale da un’epoca ritenuta remota a quella moderna – è un sogno che tutti noi possiamo condividere ancora, pure con un sopracciglio leggermente alzato.
I meta-interventi estemporanei che interrompono la storia da parte del ragazzino allettato a casa, per criticare i baci sdolcinati o le anguille urlanti, non fanno invece che aggiungere ulteriori strati di significato alla condivisione di questa esperienza universale per genitori e figli.
Costato oltre 15 milioni di dollari, anche per gli standard del 1987 i panorami dipinti a mano delle Scogliere della Follia o le persone di piccola statura all’interno dei ratti della palude di fuoco erano fuori tempo massimo. E per fortuna, perché l’insistenza del film nel voler evidenziare quanto elementi del genere fossero palesemente un artificio lo rendono ancora oggi divertente e senza tempo proprio come allora. Tali ingenui effetti speciali ingenui e artigianali saranno ancora un tuffo al cuore quando la CGI milionaria di WETA e Lucasfilm avrà ampiamente superato la sua data di scadenza.
Sia chiaro, non si tratta di una critica al fantasy moderno. Tuttavia, ora spesso ci compiaciamo che il genere sia ormai principalmente rivolto agli adulti; La Storia Fantastica è riuscita a centrare l’obiettivo tre decenni fa senza ‘sacrificare’ alcun bambino sull’altare della gloria (rivelandosi un mezzo flop, incassando circa appena 30 milioni di dollari in totale). E la sua capacità di giocare brillantemente su entrambi i lati della medaglia del pubblico è ciò che gli consentirà di invecchiare come la più pura delle fiabe cinematografiche per le generazioni a venire.
Di seguito la scena del duello al veleno tra Vizzini e Westley: