Nel 2015, Tom Hardy e Charlize Theron erano i protagonisti di un quarto capitolo spiazzante, capace di tenere ampiamente testa alla pesante eredità
A dispetto dello scetticismo di molti, Mad Max: Fury Road si è rivelato un trionfo all’uscita nei cinema nel 2015. Non c’è un modo più chiaro o più succinto per dirlo. Trent’anni dopo l’ultima apparizione sul grande schermo, il protagonista della saga tornava infatti a ruggire di vendetta. In parte reboot, in parte sequel, e in parte qualcosa di completamente diverso, il film ci conduce in un forsennato e polveroso viaggio che è sia simile che lontano dai capitoli precedenti.
George Miller si affidava a un nuovo cast e a un budget considerevole (150 milioni di dollari) per girare il film di Mad Max che aveva sempre desiderato fare, ma che non era mai stato in grado di portare in vita. E parlando di portare le cose al livello successivo … all’epoca le sale cinematografiche che proiettavano Fury Road avrebbero fatto bene a installare delle cinture di sicurezza sulle seggioline.
Si potrebbe argomentare in modo convincente che il film possa addirittura essere stato ‘aiutato’ dal lungo ritardo – che non solo ha permesso a un attore più giovane (e con meno grattacapi) di prendere il comando, ma ha dato a George Miller stesso più tempo per perfezionare l’aspetto “spettacolare” che, in ultima analisi, è di gran lunga il più grande punto di forza di Fury Road.
Quando consideriamo i tipici blockbuster estivi, questo è – in fondo – ciò a cui aspiriamo. Costruito come una lunghissima sequenza di quasi due ore di inseguimento (con solo una frenata di 15 minuti circa verso la metà), Fury Road combina gli aspetti pirotecnici del Bayhem con gli stunt estremi degli ultimi capitoli di Fast & Furious. E l’ambientazione post-apocalittica è la provetta in cui gocce di adrenalina e di testosterone si combinano per un cocktail esplosivo.
Tuttavia, nonostante tutta l’azione, l’eccitazione e il caos intorno, i personaggi sono ben definiti. George Miller spende abbastanza tempo sul loro background e sulle interazioni reciproche per rendere tridimensionali quelli che facilmente avrebbero potuto essere (come nei film di Michael Bay) figurine di cartone. E come sempre capita negli action, le cose funzionano al meglio perché ci interessa quello che succede al protagonista. Troppo spesso quando gli effetti speciali dominano lo schermo, questo non accade. Fury Road è una gradita eccezione.
Il film si svolge nel medesimo futuro esplosivo, in stile 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra, in cui hanno avuto luogo Interceptor, Il guerriero della strada e Oltre la sfera del tuono. Quando tutto il mondo è ormai un enorme deserto, l’acqua diventa un bene prezioso. E, quando la libertà viene solo da un trasporto su lunga distanza, la benzina sale al secondo posto. La trama è semplice: Max Rockatansky (Tom Hardy), un uomo solitario perseguitato dalla tragica morte della moglie e della figlia (eventi raccontati nel primo film del 1979), unisce le forze con l’Imperatrice Furiosa (Charlize Theron) per sfidare il signore della guerra Immortan Joe (Hugh Keays-Byrne), sottraendogli le cinque mogli: Splendid (Rosie Huntington-Whiteley), Toast (Zoe Kravitz), Capable (Riley Keough), The Dag (Abbey Lee), e Fragile (Courtney Eaton).
È legittimo chiedersi chi o cosa sia la vera star del film: se il Mad Max di Hardy o le sequenze folli e magnifiche orchestrate dal regista. Certamente, negli ultimi 15 anni ben pochi sono stati i film hollywoodiani così adrenalinici e visivamente splendidi arrivati nelle sale. Le scene di giorno sono abbaglianti e colorate, con molti rossi e arancioni, mentre le notti sono immerse in toni di blu che rendendo ogni cosa vicina al bianco e nero (pensato in effetti addirittura come prima soluzione) .
L’enfasi posta sugli effetti speciali pratici e gli stunt da vecchia scuola rispetto alle immagini generate al computer aggiunge grande grinta ai forsennati inseguimenti e ai combattimenti che molti blockbuster (come i già citati Fast and Furious) si sognano. E fu nel 2015 parimenti rinfrescante sperimentare un 3D che fosse più un beneficio che un mero espediente per racimolare soldi extra (pur rimanendo un gradino sotto ad Avatar e Gravity).
Tom Hardy, dal canto suo, evita l’effetto ‘George Lazenby’. È sempre difficile prendere il posto di un collega capace di lasciare un’impronta indelebile su un ruolo. Lazenby non fu in grado di farlo con James Bond; Sean Connery incombeva su Agente 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà. In Fury Road, tuttavia, Hardy è Max Rockatansky fin dalla prima scena. Può aver aiutato il fatto che fossero passati tre decenni, ma non si sente particolarmente la mancanza del Max ‘originale’. L’attore britannico abbraccia appieno la follia sopra le righe della produzione e offre al pubblico un protagonista che borbotta e ringhia per tutti i 120 minuti di bolgia.
Nicholas Hoult, pitturato di bianco e interprete di un tizio ancora più instabile del protagonista, offre invece una performance sorprendentemente sfumata in un film che non punta forte sulla recitazione.
Per coloro che si annoiano facilmente con le grandi quantità di parole nei film d’azione, l’approccio usato di George Miller fornisce un’intelligente alternativa. Le storie ‘delle origini’ dei avri personaggi sono infatti presentate tramite flashback fulminei, una voce fuori campo e occasionali linee di dialogo. I momenti di calma si contano sulle dita di una mano e, tolta una ‘pausa’ di 15 minuti che permette ai personaggi e agli spettatori di riprendere fiato, Fury Road va avanti a rotta di collo fino al traguardo.
Per tutti quelli che ai tempi si sono divertiti con l’orgia distruttiva scaturita dal caos degli inseguimenti automobilistici della trilogia originale, Mad Max: Fury Road riesce addirittura ad alzare la posta in gioco e raddoppiarla. Un risultato che praticamente nessuno, nemmeno alla Universal, avrebbe mai potuto sognarsi.
Di seguito un video con 28 minuti di dietro le quinte di Mad Max: Fury Road, un viaggio negli incredibili stunt del film: