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Dossier | Ritorno al Futuro di Robert Zemeckis: 35 anni a spasso nel tempo con Doc e Marty

Nel 1985, Michael J. Fox, Christopher Lloyd e Lea Thompson partecipavano a quello che sarebbe stato il primo capitolo di una delle trilogie più memorabili della storia di Hollywood

Avete già visto tutti e tre i film della trilogia di Ritorno al futuro (Back to the future). Probabilmente molte volte. E non ci sono curiosità o aneddoti nella vasta offerta di contenuti speciali di blu-ray e DVD che non possiate scoprire visitando Wikipedia per cinque minuti. Tuttavia, nel 35° anniversario della sua uscita – debuttò infatti negli Stati Uniti il 3 luglio 1985 – proviamo a capire perché, dopo tutto questo tempo e visioni, ci si dovrebbe prendere la briga di infilare il disco nel lettore ancora una volta il il primo capitolo.

Se non bastasse il fatto di aver superato quel 2015 di un futuro ‘incredibilmente distante’ che Marty McFly (Michael J. Fox) ha visitato in Ritorno al futuro II, e ora, guardando indietro, la storia di viaggi nel tempo più irriverente, intelligente, audace e più cool di tutti i tempi è, in modo appropriato e inevitabile, diventata a sua volta un’incredibile capsula del tempo. Ritorno al Futuro è ambientato principalmente nel 1985 e oggi il 1985 è tanto popolare e guardato con nostalgia esattamente come l’ambientazione ‘alternativa’ del 1955 sembrava per la gente degli anni ’80. In altre parole, il passare degli anni ha aggiunto un ulteriore strato strutturale a quella che era già all’epoca una serie di film densa, gratificante e sorprendentemente autoconsapevole.

Pensateci: la prima cosa che Marty McFly fa nel 1955 è cercare un telefono pubblico. Buona fortuna a provarlo a fare oggi; quando è stata l’ultima volta che ne avete visto uno in strada? Inoltre, le gag che coinvolgono Fanta (in originale la TaB) e la Pepsi Free sono ora probabilmente più disorientanti che divertenti, e anche il delizioso marchingegno da cucina automatizzato alla Rube Goldberg creato da Doc Brown (Christopher Lloyd) offre un’altra piccola dose di confusione, scaricando cibo per cani Kal Kan nella ciotola del fido Einstein.

Più degno di nota e attuale è senza dubbio, dopo il periodo della presidenza di Obama, il significato delle prese in giro nel film alle aspirazioni politiche del cameriere nero Goldie Wilson (Donald Fullilove) fatte dal proprietario del Lou’s Café (“Un sindaco negro, ma che hai in testa?!”), che ora suonano più ridicole che mai. Eppure, se è vero che nel 1985 (e per molte repliche a seguire) molti avranno riso con Lou e probabilmente ancora più forte quando il Doc Brown degli anni ’50 si fa beffe delle dichiarazioni di Marty secondo cui Ronald Reagan sarebbe stato in futuro presidente degli Stati Uniti (“L’attore?!?”), saremmo stati altrettanto cinici e sprezzanti quanto Lou e Doc accogliendo nel 1985 un visitatore giunto dal 2009 per informarci che il 44° presidente sarebbe stato qualcuno di nome Barack (figuriamoci con qualcuno del 2017 e la notizia di Donald Trump …).

Ciò che spicca oggi di Ritorno al Futuro non sono tanto la moda o il gergo obsoleti, ma piuttosto come il protagonista Michael J. Fox – al tempo 24enne e sostanzialmente sconosciuto (Voglia di vincere è dello stesso anno) – sia uno degli attori comici più altruisti e sottovalutati delle ultime tre decadi. Il primo film si sforza così tanto – riuscendoci – di rendere figo Marty McFly, con lo skateboard improvvisato mentre si tiene agganciato alle portiere delle automobili di passaggio, gli occhiali da sole anni ’80 e i jeans Levi Strauss. Eppure l’attore, con allegria e spontaneità, mina costantemente tutto questo con una serie di espressioni facciali stranite e battute o azioni fuori luogo.

Per non essere da meno, la performance del compagno di avventura Christopher Lloyd nei panni del maniacale e svampito “Doc” Emmett L. Brown, sebbene raramente sottile (per fortuna), è innegabilmente avvincente e divertente, e talvolta persino potente. I dialoghi del personaggio sono deliziosamente assurdi, e anche quando si crogiola in sbadataggini nonsense come il riferirsi a un ballo scolastico come un “cerimoniale ritmico”, l’attore nato a Stamford nel 1938 riesce a guadagnarsi l’attenzione e la simpatia del pubblico, accompagnando ogni linea di copione con una mimica irresistibile. E non va dimenticato il doppiaggio italiano affidato a Ferruccio Amendola.

Un altro motivo per ritornare ciclicamente su Ritorno al Futuro è poi il memorabile accompagnamento musicale ad opera di Alan Silvestri, altrettanto emozionante e maestoso come qualsiasi cosa scritta dal maestro John Williams negli anni ’80. Chiunque, di qualunque età, ascoltando le note del main title ‘Back to the Future’ non può che riconoscere il film a cui è legato. E sappiamo tutti cosa significa quanto una canzone diventa iconica e popolare almeno quanto il film a cui appartiene.

Insomma, Ritorno al Futuro è una di quelle opere inattaccabili per una lunga serie di ragioni, un meccanismo perfetto di intrattenimento nonostante l’assurdo concept ai limiti dell’impossibile (e che presta il fianco a critiche ‘logiche’).

Non vi basta? Allora abbiamo 5 punti che chiariscono ulteriormente perché Ritorno al Futuro è un classico senza tempo (a tutti gli effetti …).

La sceneggiatura

Dall’inizio alla fine, la sceneggiatura nominata all’Oscar di Ritorno al Futuro scritta a quattro mani da Bob Gale e Robert Zemeckis è una meraviglia. La struttura è una miscela elaboratamente costruita che si snoda nel modo più tirato possibile nella sua prima metà, e poi sprigiona tutta l’energia accumulata nella seconda, non fermandosi nemmeno una volta per tirare il fiato ma riuscendo ugualmente a stiparsi dentro a un’intera sequenza musicale.

Marty McFly viaggia indietro nel tempo dentro a una DeLorean modificata per vedere i suoi genitori adolescenti, e quindi deve trovare un modo per tornare nel suo tempo, nel 1985. È praticamente tutta qui la trama, ma Bob Gale e Robert Zemeckis costruiscono la loro ‘semplice’ storia in modo tale che tutto ciò che si verifica all’inizio serva da impostazione per un finale che lo spettatore potrebbe non aspettarsi. Ritorno al Futuro dispone accuratamente tutti i pezzi sulla sua scacchiera, quindi li rovescia uno per uno – e con grande talento.

Perché, ad esempio, una donna dà un volantino per riparare la torre dell’orologio di Hill Valley al protagonista? Beh, perché alla fine lui dovrà sapere esattamente quando e dove un certo importantissimo fulmine colpirà. Ritorno al Futuro nasconde da subito in bella vista quello che succederà, quando una lunga panoramica della stanza di Doc Brown piena di orologi che ticchettano e di invenzioni incomprensibili termina con le immagini di un giornalista che sta parlando di plutonio. Il modo in cui questi momenti vengono elargiti apparentemente senza motivo è così elegante che è facile che in molti non li abbiano nemmeno notati prima della quarta o quinta visione del film.

E Ritorno al Futuro non ha problemi nemmeno con lo sviluppo dei personaggi o nella costruzione di quei mondi in cui si svolge l’azione. Hill Valley sembra una vera città, con una storia vera, di cui le avventure di Marty potrebbero cambiare indelebilmente il nome del centro commerciale o distruggere lo status quo accuratamente costruito nel tempo. Nel frattempo, sia Marty che i suoi genitori iniziano il film come apparenti caricature e acquisiscono profondità man mano che la storia procede e ci rendiamo conto che i due adulti sciatti e rassegnati dei primi minuti sono in realtà molto lontani dagli speranzosi adolescenti che erano un tempo.

Infine, come se tutto ciò non bastasse, Ritorno al Futuro è memorabile anche per i dialoghi comici e taglienti, qualcosa di cui pochi successi internazionali possono vantarsi. E se è vero che il famosissimo “Grande Giove!” di Doc arriverà nell’adattamento italiano solo col secondo capitolo, restano epiche “Lou, dammi un latte…al cioccolato!” e “Ehi tu porco levale le mani di dosso!” pronunciate da George McFly (Crispin Glover, in una delle più grandi interpretazioni cinematografiche ‘bizzarre’ di ogni tempo).

Ogni cosa è un meccanismo a orologeria perfetto. Qualunque cosa.

Una delle cose più intriganti della costruzione di Ritorno al futuro è il modo in cui il film è completamente incentrato sull’idea di rimanere senza tempo a disposizione. Letteralmente tutto è un meccanismo a orologeria, un conto alla rovescia verso il potenziale momento in cui Marty resterà bloccato per sempre nel 1955, o anche verso il momento in cui il protagonista cesserà letteralmente di esistere perché ha interferito con gli eventi riguardanti i suoi genitori pregiudicando la possibilità che si innamorino e lui nasca.

Ad esempio, c’è una scena – quando Marty viene brevemente infilato a forza nel bagagliaio di un’auto dalla banda di Biff Tannen (Thomas F. Wilson) – in cui Bob Gale e Robert Zemeckis hanno ‘avvolto’ sette (e forse più) conti alla rovescia l’uno attorno all’altro, come una sorta di matrioska. Cominciano con Marty che viene tirato fuori dal bagagliaio e scappa via e poi, una dopo l’altra, si risolvono tutte fino a quando non arriviamo alla questione se Marty riuscirà ad arrivare nel 1985 nel parcheggio centro commerciale in tempo per salvare Doc Brown dai terroristi libici.

Tutto sommato, potrebbe essere un tipico mezzuccio economico per creare suspense. Ma Ritorno al Futuro li fa funzionare tutti, sia perché li accumula con aplomb sconsiderato, sia perché l’idea stessa di un conto alla rovescia è assolutamente parte integrante in un film che parla di viaggi nel tempo.

E se, nonostante tutto, non siete pienamente convinti di questo, i conti alla rovescia di Ritorno al futuro funzionano perché il film parla, in un certo senso, dell’adolescenza, dell’idea che quando siamo adolescenti, stiamo tutti correndo contro il tempo di un’imminente età adulta noiosa e triste. Non c’è mai abbastanza tempo, perché la maturità prima o poi ci raggiunge tutti.

Robert Zemeckis aveva qualcosa da dimostrare

Come rivelato nel libro We Don’t Need Roads: The Making of the Back to the future Trilogy, Robert Zemeckis era all’epoca piuttosto giovane, affamato, e desideroso di non appoggiarsi completamente al suo mentore Steven Spielberg per realizzare il suo film. Chiunque impieghi un attimo a leggere i titoli di coda di Ritorno al futuro vedrà come abbia miseramente fallito in questa impresa; Steven Spielberg è infatti accreditato come produttore e la sua società di produzione, la Amblin Entertainment, firmò per guidare il film attraverso il complesso sistema degli studi hollywoodiani.

Il desiderio di Robert Zemeckis di mettersi alla prova filtra comunque potente da ogni elemento della sua regia. Gira sequenze normalmente prosaiche – come un ballo scolastico – come se fossero degli inseguimenti in macchina. Quando arriva il momento in cui l’allarme del timer ‘inizia a suonare’, il montaggio passa a un livello di intensità senza fiato. Persino la conversazione finale di Marty con i suoi futuri genitori prima che ritorni al 1985 è gestita in modo frizzante e cinetico.

Nel corso del film, Robert Zemeckis mostra un ammirevole livello di competenza nel trasformare Ritorno al futuro in una sorta di flipper vivente, aumentando costantemente il ritmo delle sequenze d’azione per addestrare lo spettatore in vista dell’assalto totale dell’ultima mezz’ora. Eppure, per tutto il tempo, costruisce i necessari ‘momenti di tregua’, come l’arrivo da ‘alieno’ di Marty McFly nella Hill Valley del 1955 o la notissima sequenza rock sulle note di Johnny BGoode per preparare il terreno all’ultimo atto.

Un film in costume ‘doppio’

Riguardare Ritorno al Futuro ora non offre soltanto uno scorcio del 1955, ma ci consente di capire cosa pensavano le persone nel 1985 del 1955, oltre quello che pensavano del 1985. Il film è perfettamente posizionato all’interno dell’era della presidenza Ronald Reagan, e riflette la fascinazione di quell’epoca nei confronti della presunta idilliaca vita degli anni ’50, pur cercando costantemente di metterla in una luce più distaccata possibile.

Guardare Ritorno al Futuro 35 anni dopo la sua uscita è come guardare un film che desidera sinceramente reclamare il presente (del 1985) come un luogo di cui dovrebbe essere necessario essere nostalgici. In effetti, il primo sequel (che è ambientato in parte nel 2015) riguarda deliberatamente la creazione di un mondo in cui gli anni ’80 sono ricordati con il placido fervore che era stato accordato agli anni ’50 nel capostipite.

Ma il messaggio è chiaro: non si può in nessun caso forzare il tempo a ‘stare fermo’, almeno non più di quanto si possa impedire agli adolescenti di crescere. Tutto quello che si può fare è vivere nel tempo in cui sei stato ‘depositato’ nel miglior modo possibile (e, okay, ogni tanto avvertire lo scienziato pazzo che frequenti che morirà in una notte specifica tra 30 anni nel futuro!).

Una storia di riconciliazione multigenerazionale

L’adolescenza implica rendersi conto che i nostri genitori una volta erano proprio come noi e che un giorno saremo come loro. Dopotutto, sono anche loro esseri umani.

In definitiva, Ritorno al Futuro parla del rendersi conto che i nostri genitori avevano speranze e sogni propri prima che noi arrivassimo nelle loro vite e che quelle speranze e sogni potrebbe essere rimasti sepolti a lungo. Marty McFly inavvertitamente offre ai suoi genitori una seconda possibilità di vivere una vita che non è stata improvvisamente interrotta da lui e dai suoi fratelli, una in cui hanno effettivamente realizzato alcuni dei progetti che avevano sempre sperato di realizzare.

Nessuno affermerà mai che Ritorno al futuro è un’opera di grande profondità, ma sia nel primo capitolo che nei suoi due sequel, l’idea di generazioni che si riconciliano tra loro ritorna, ancora e ancora. I ragazzi si riconciliano con i loro genitori, e poi diventano loro stessi genitori.

Come sappiamo, un remake di Ritorno al futuro non è mai stato nei piani ed è assolutamente giusto così. Una versione moderna seguirebbe quasi certamente il tentativo di inviare Marty McFly e Doc Brown attraversano la storia in diversi periodi, come in Bill & Ted. Ma ciò oscurerebbe ciò che ha reso l’originale tanto intramontabile.

In definitiva, Ritorno al Futuro funziona perché, alla fine, la sua posta in gioco è molto piccola. Al di sotto di tutte le battute e dei momenti in cui una giovane (non ancora) madre (Lea Thompson) flirta inconsapevolmente con suo (non ancora) figlio, i viaggi nel tempo e i countdown pieni di azione, tutto ciò che rimane è un tema così universale che continuiamo a ritornarci, storia dopo storia dopo storia: si potranno mai comprendere i propri genitori? E, forse anche più difficile, loro potranno mai capire noi?

Di seguito la scena del concerto rock di Marty dal primo Ritorno al Futuro:

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