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Esclusivo | Intervista a Nobuhiko Obayashi, dal cinema muto alla pace nel mondo

27/01/2017 news di Alessandro Gamma

All'ultima edizione del Far East Film Festival di Udine abbiamo incontrato il regista giapponese, che ci ha parlato delle sue influenze e della sua carriera, fino ai consigli per le nuove generazioni

Nobuhiko Obayashi udine

Ospite d’onore all’edizione 2016 del Far East Film Festival di Udine dove ha ricevuto il prestigioso Gelso d’Oro alla carriera, il settantanovenne regista giapponese Nobuhiko Obayashi si è presentato in gran forma alla kermesse, che l’ha celebrato proiettando per gli spettatori italiani alcuni classici del fantasy più sperimentale – dalle nostre parti purtroppo non debitamente conosciuti – come Hausu (1977), School in the Crosshairs (1981), Exchange Students (1982) e The Girl Who Leapt Through Time (1983)

Noto per il suo stile visivo dai marcati tocchi surreali, già evidenti nei suoi primi lavori nella pubblicità, Nobuhiko Obayashi ha cominciato la sua carriera da pioniere del cinema sperimentale giapponese negli anni ’60, prima di passare a opere maggiormente mainstream e lavorare per la televisione.

Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo faccia a faccia per una lunga chiacchierata, durante la quale ci ha parlato delle sue influenze, della distinzione tra generi e del futuro del Cinema.

Nobuhiko Obayashi udine gelsoTorna in Italia dopo molti anni, per ricevere un premio e per presenziare a una mini-retrospettiva che comprende quattro sue opere ritenute particolarmente simboliche. E’ soddisfatto dei titoli selezionati? Che sensazioni le riportano alla mente?

Tutti e quattro fanno parte della mia produzione di circa quarant’anni fa, quindi per me l’idea di rivedere questi film di quando ero giovane mi creava una sorta di preoccupazione e allo stesso tempo di speranza. Questo perché ritengo che un film sia qualcosa con cui i giovani possano costruirsi il futuro. Anche io, quando ero più giovane, quarant’anni fa, ero pieno di speranza e volevo costruirmi il mio proprio futuro attraverso questi lungometraggi che stavo realizzando.

Rivederli oggi mi intimoriva quindi, perché avevo paura di scoprire se fossero diventati obsoleti o se invece fossero ancora attuali. Posso dire di essere rimasto sorpreso da quanto fossero pieni di avventura, ma li ho trovati ancora freschi e anzi mi hanno incoraggiato ad andare avanti nel mio lavoro.

Per molti versi lei è stato un precursore, grazie alle invenzioni visive sia nel campo dell’horror che del fantasy. Ritiene che il periodo tra la metà degli anni ’70 e la metà degli anni ’80 fosse più libero e quindi irripetibile rispetto a quanto visto in seguito? 

Bisogna fare una premessa. Io appartengo a una generazione che aveva ancora nella memoria la Seconda Guerra Mondiale. Si tratta della prima generazione di adulti che ha sentito sulla pelle la pace, quindi mi trovo in una posizione un po’ particolare rispetto ad altri. Amo molto il cinema tradizionale giapponese, rappresentato da Akira KurosawaKenji Mizoguchi, però questi registi creavano film pervasi sempre da un sentore di guerra, molto bellici, e io volevo realizzare invece qualcosa che non fosse affatto legato a quei brutti ricordi. Ho cominciato a girare film con una cinepresa 8mm.

All’epoca non avevo intenzione di girare qualcosa di commerciale, perché non era ciò che amavo. Negli anni ’70 il pubblico giapponese non voleva più vedere film nazionali e in questo clima un rappresentante della Toho venne da me chiedendomi di girare un film giapponese che potesse essere visto e apprezzato dagli spettatori locali. Così ho accettato la proposta – anche a causa dell’input di mia figlia – ed è nato Hausu. Io non avrei voluto continuare su questa strada, ma visto che non c’erano altri registi che dirigessero pellicole del genere ho continuato a quel modo. In sostanza, appartenendo a una branca di registi non tradizionali dovevo semplicemente creare qualcosa di sempre più sperimentale per poter continuare a lavorare. 

House obayashi locandinaVenendo alle sue influenze, lei spesso ha citato come ispirazioni i film del periodo muto e Georges Méliès, ma anche Mario Bava. Ce ne sono state anche altre? Come ha recuperato le opere di questi autori e in che modo hanno lasciato un segno?

Faccio un’altra premessa: io ho visto tutti i film che erano a quei tempi reperibili in Giappone, dagli albori del cinema fino agli anni ’60. Per questo ho visto moltissimi film muti, che a mio parere rappresentano l’ ‘etica dell’immaginario’. Ed è vero che mi piacciono i film di Mario Bava, definisco questo suo genere di film ‘romanticismo gotico’. Mi diverto molto quando c’è qualcosa di non percepibile nel film, e questa è una cosa strana del cinema. Il cinema è legato allo sviluppo tecnologico e quindi uno è portato a pensare che la cultura dovrebbe andare di pari passo con esso. Guardando però al mondo del cinema è successo qualcosa di paradossale: quando si è passati dal muto al sonoro si è assistito a un inesorabile declino.

La stessa cosa è successa col passaggio dal bianco e nero al colore e dallo schermo standard al widescreen. Lavorare in questo mondo di paradossi mi diverte molto. Pongo io una domanda adesso: nei film muti, quando qualcuno spara, il colpo non si sente, ma questa azione viene ad esempio rappresentata col sollevarsi in volo degli uccelli. Nei film parlati invece il colpo si sente subito e si capisce da dove proviene. Quale tra queste due rappresenta meglio l’idea di cinema?

Questo è un modo interessante di fruire un film. Non solo bisogna rappresentare ciò che si può vedere e sentire, ma anche quello che si potrebbe percepire con gli occhi chiusi. Proprio questo è fondamentale. Nel cinema 3D le immagini ti vengono addosso, ma perché non si ritirano indietro? Io cerco di creare film a colori, ma che si potrebbero percepire anche a occhi chiusi. Immaginate la scena di un tramonto in bianco e nero. Ogni spettatore dovrebbe aggiungere il suo personale colore alla scena. Si può dire che il colore rappresenti la realtà, mentre il bianco e nero l’onirico. Così come la guerra è realismo, mentre la pace è sogno.

Nei suoi film sono quasi sempre protagonisti dei ragazzi. C’è dietro un’idea di trasmettere dei valori ai più giovani? Si rivolge soprattutto a loro perché gli unici ancora in grado di sognare e cambiare in qualche modo il mondo?

Certo, cerco sempre di trasmettere qualcosa ai giovani, specialmente di non commettere nuovamente gli errori del passato. E poi, gli adulti pensano sempre con la testa, mentre i ragazzi pensano col cuore. Credo di essere riuscito a cogliere inoltre sempre il momento giusto. Se fosse trascorso un altro anno, i miei giovani protagonisti non sarebbero più stati in grado di svolgere i propri ruoli. Cogliere il momento perfetto è molto importante nel cinema, perché il cinema riesce in qualche modo a prolungare quell’attimo fuggente all’infinito e intrappolarlo.

Nobuhiko Obayashi girl leptLei a sua volta ha però influenzato tutta una serie di registi occidentali, tra cui molto probabilmente anche Sam Raimi, Tim Burton, ma anche giapponesi, come Hideo Nakata. Le è capitato di vedere le loro opere? Cosa pensa del fanta-horror moderno? Secondo lei oggi c’è meno libertà di espressione e contenuti? Percepisce queste similitudini e differenze con i suoi lavori? 

Io non cerco mai di realizzare un film che sia ascrivibile a un unico genere specifico, sia esso l’horror, il fantasy o il documentario, perché per me non ci sono barriere tra i generi. Guardando invece le opere di questi registi più giovani di me, mi pare che abbiano posto dei paletti ben evidenti nei loro lungometraggi: chi fa horror fa solo horror e così via.

Questo forse perché pensano che i fan del cinema del terrore guardino solo quel tipo di film … Io però consiglierei di andare a guardare ogni genere, siano storie d’amore o documentari o fantasy. Probabilmente il modo di fare informazione stesso è diventata distorto. Se dovessimo guardare 365 giorni l’anno un film di Alfred Hitchcock probabilmente diventeremmo matti.

Le opere di Hitchcok sono valide perché se ne vedevano/vedono pochissime così. Sono trascorsi appena 120 anni dalla nascita del cinema, quindi è possibile guardare tutti i generi creati fino ad ora. Il mio consiglio ai giovani filmmaker è di dare uno sguardo a tutti i generi, come faccio io, che vedo ancora molti film e molta TV. Il mio auspicio è che in futuro il cinema possa portare la pace nel mondo e mi auguro nel mio piccolo di poter contribuire a questo traguardo attraverso il mio lavoro. Il genere in realtà è uno solo.

Exchange Students obayashiLa distorsione, il visionario uso chiaroscurale nei suoi film sono certamente tra le parti più importanti e interessanti. Vorrei quindi chiederle quanto è stata forte l’influenza dell’espressionismo tedesco e di Fritz Lang per la realizzazione delle sue opere. 

Come molti sapranno, c’è una pagina un po’ triste del passato che riguarda i nostri paesi, il Giappone e la Germania soprattutto, ma anche l’Italia ne è stata coinvolta. Andando più indietro nel tempo, il Giappone aveva già avuto delle relazioni diplomatiche con la Germania e questo naturalmente si riflette anche nelle scelte cinematografiche. Fritz Lang è un regista che conosco da quando a cinque o sei anni di età mi ero appassionato alla saga dei Nibelunghi.

Lang tuttavia non l’ho conosciuto a casa, ma all’estero. O meglio, lo conoscevo di nome ma in Giappone era impossibile trovare le sue opere, o almeno io non riuscivo a scovare dove venissero proiettate. Parlando invece delle scelte chiaroscurali, quello che mi stupisce del cinema espressionista tedesco è la scelta di esprimere la luce e i colori attraverso il bianco e nero. Quindi il colore si esprime attraverso un qualcosa di scuro.

Quello che mi colpì in particolare era l’idea di raffigurare il cielo con delle tinte cromatiche non usuali quando pensiamo normalmente al cielo, ovvero l’azzurro. Questa scelta sostanzialmente limitata nei mezzi – ci sono solo due colori – è ciò che mi ha effettivamente colpito di più del cinema di quel periodo, così come l’organizzazione dello spazio. Come dicevo, sono un appassionato della saga dei Nibelunghi, tanto che quando ero bambino, durante le vacanze estive, mi divertivo a prendere il sole tenendo però una foglia sulla schiena affinché vi rimanesse impressa dall’abbronzatura la sagoma stessa, che è l’emblema di Sigfrido. Questa particolare influenza però non l’ho subita solo io, ma anche numerosissimi mangaka, perché la concezione dello spazio e del chiaroscuro non sono esclusiva solo del cinema ma anche dei fumetti. Sappiamo benissimo che specialmente in Giappone fare cinema e fare fumetti sono due cose che spesso vanno d’accordo.

obayashi School in the CrosshairsDai suoi film emerge un rapporto stretto con il lavoro nella pubblicità. Potrebbe dirci qualcosa di più sulle influenze reciproche di questi due settori all’interno della sua opera?

Io non credo che si debbano fare distinzioni tra prodotti cinematografici. Che siano pubblicità, oppure documentari, tutto deve essere considerato cinema, non bisogna basarsi sulla lunghezza. Ecco perché io non credo di aver avuto stili differenti, ma di averne avuto semplicemente uno solo che è quello che porto avanti con la mia vita. Quello che vorrei far notare è che, se io muovo questo bicchiere [sposta un bicchiere su un tavolo, n.d.r.], e poi lo muovo ancora, ho già realizzato un film, sono due scatti.

E per me che ci siano due scatti o che ce ne siano 20.000, o che siano due ore intere di film, è la stessa cosa, perché l’importante è trasmettere e ritrasmettere un’azione che è stata compiuta e quindi per me tutto è film, tutto è cinematografia. Se non si muove per uno scatto vuol dire che muore; se invece col secondo scatto, il secondo frame, si percepisce il movimento, allora questo è già movimento, è già film. Il cinema è ciò che porta alla vita ciò che è immobile, la parola cinema proviene da kinesis, movimento, e di conseguenza se un oggetto al secondo scatto si è mosso, allora per me questo è cinema.

Sta lavorando a qualcosa al momento?

Si, sto progettando un nuovo film. E il genere verrà valutato dal pubblico [ride].

Il trailer di Hausu: