L'inspiegabilmente invisibile adattamento del manga di Kengo Hanazawa è uno degli zombie movie più interessanti e intelligenti degli ultimi anni
Sorta di risposta al successo internazionale di The Walking Dead, I Am a Hero (Ai Amu A Hīrō) è la prima incursione giapponese ad alto budget nel sottogenere degli zombie. Certamente non la prima, con film come Wild Zero e Versus emersi dalla scena indipendente circa 15 anni fa, ma con la mania dei non morti ormai vecchia di un decennio, è però sorprendente che ci sia voluto così tanto per tentare la carta del blockbuster. Già oscurato dallo strepitoso Train to Busan (la recensione) e dal rinnovato interesse per la serie di Robert Kirkman, cosa mai potrebbe rendere allora I am a Hero uno dei migliori film di zombie del 2016?
Entrando in un sottogenere già molto affollato, I Am a Hero è certamente derivativo, con un’apertura che ricorda L’Alba dei morti Viventi del 2004 e un protagonista che richiama quelli di L’Alba dei morti Dementi. In tutta onestà però, l’opera diretta da Shinsuke Sato si inserisce tranquillamente tra quelle più divertenti degli ultimi anni, e l’ambientazione ‘differente’ giapponese porta senza dubbio una ventata di freschezza nonostante la sua convenzionalità. La restrittiva legge sulle armi in vigore nel paese del Sol Levante cambia già da sola drasticamente la narrazione, visto che nel secondo atto del film la presenza di un unico fucile minaccia di fare a pezzi l’intera comunità. Allo stesso modo, gli zombie sono qui legati al lavoro e alla conformità, e i NEET del Giappone minacciano di (ri)prendere il potere sulle loro vite in un modo che ritengo il paese gli abbia negato.
Le scene d’azione hanno una messa in scena sorprendente, con l’attacco degli zombie all’inizio che risulta comicamente cinetico e un inseguimento sul taxi che rivaleggia tranquillamente con quelli di Hollywood. Molto interessante è inoltre il modo in cui il regista bilancia il tono del film, che non diventa mai completamente una commedia alla Benvenuti a Zombieland ed evita la cupezza di TWD. Anche durante le sequenze dialogate Shinsuke Sato gioca con le fantasie di Hideo prima di mostrare la realtà effettiva della sua situazione; sognando ad esempio di caricare con grandi discorsi i suoi beffardi colleghi prima di scivolare di nuovo nella vita vera e rispondere loro con qualche borbottio.
La satira è poi qui più acuta che in qualsiasi altro film di zombie visto negli ultimi anni. Dare ai non morti il dono della parola all’inizio potrebbe sembrare un errore, ma funziona sorprendentemente bene. Come nella saga di George A. Romero, i ritornanti sembrano costretti a ripetere le azioni compiute in vita, solo che in questo caso non è il consumismo a definire il loro stato, ma il lavoro. Lo ZQN alla cassa ripete all’infinito ‘irasshaimase!’ (benvenuto!), mentre un altro si trova al centro del negozio con il braccio alzato e la valigetta in mano, come se stesse continuando a prendere il treno per andare a lavorare anche da morto.
Ciò che veramente aiuta il I Am a Hero a riuscire dove altri adattamenti di manga spesso falliscono è tuttavia la capacità di far identificare il pubblico nei suoi personaggi. Non siamo tutti aspiranti mangaka, chiaro, ma il protagonista Hideo ha aspirazioni che possono toccare tutti. A 35 anni, non desidera nulla più che essere uguale a uno dei personaggi cool dei fumetti che legge, ma a differenza di altri adattamenti, non riesce mai a raggiungere tali topoi, risultando in questo modo più simpatico allo spettatore. Ciò è possibile in larga parte grazie alla splendida fonte disegnata creata da Kengo Hanazawa nel 2009, ma parte del merito va dato anche a Yo Oizumi per l’interpretazione carismatica del protagonista, e dopo aver assistito ad alcune performance davvero discutibili (leggasi L’attacco dei Giganti e As the Gods Will), il suo contributo non si può davvero sottovalutare.
Un grande peccato infine che la Toho abbia decisamente fallito nel vendere quest’opera a livello internazionale. Avevano per le mani una potenziale hit che non solo avrebbe soddisfatto gli otaku più incalliti, ma si sarebbe potuta benissimo ergere tranquillamente sulle proprie gambe in mezzo agli altri esponenti del genere. Eppure, rispetto al coreano Train to Busan, il film ha avuto un’eco prossima allo zero in Europa (o in America), ed è difficile credere che sia per colpa dei distributori stranieri. Con effetti speciali fantastici, una regia creativa e personaggi ai quali ci si affeziona, I am a Hero non è soltanto uno dei migliori film di zombie del 2016, ma un fulgido modello da seguire per i futuri adattamenti da manga. Peccato ben pochi abbiano avuto la fortuna di vederlo.
Di seguito il trailer ufficiale di I am a Hero: