I diari del Lido: il Cineocchio a Venezia 73 – Giorno 9
09/09/2016 news di Giovanni Mottola
Oggi tutti in piedi per il Leone d'Oro alla Carriera a Jean-Paul Belmondo. Tutti fuori velocemente dalla sala invece per Questi Giorni di Giuseppe Piccioni
Oggi torniamo a parlare solo di cinema, che ha vissuto un momento ordinario e uno straordinario. Quello ordinario è stata la proiezione del terzo e ultimo film italiano in concorso Questi Giorni diretto da Giuseppe Piccioni (il trailer lo trovate in fondo), che vede protagoniste quattro amiche (interpretate da Maria Roveran, Marta Gastini, Laura Adriani e Caterina Le Caselle). Approfittando del fatto che una di loro deve andare a lavorare a Belgrado, le altre tre decidono di accompagnarla. Quel viaggio sarà di aiuto per risolvere i problemi di tutte. Tra i tre film italiani presentati nella principale rassegna, questo è certamente il più solido, ma contiene delle pretese che non riesce a soddisfare: il tema del viaggio di formazione è ormai piuttosto logoro e, in questo caso, viene raccontato attraverso una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, dal momento che è difficile pensare che basti passare a Belgrado tre giorni in cui non succede quasi nulla per risolvere qualunque problema (amore, salute, famiglia, figli etc.). L’idea di partenza di fare un film corale al femminile potrebbe anche essere buona, ma il passaggio dalla teoria alla pratica è alla fine deficitario. In due ruoli defilati compaiono Filippi Timi e Sergio Rubini, mentre una parte più corposa è toccata a Margherita Buy, che interpreta la madre distratta di una delle protagoniste, troppo presa dai suoi guai per accorgersi di quelli della figlia. Non vi sveliamo un gran mistero dicendovi che a un certo punto si mette a piangere, visto che ciò le capita pressoché in ogni film a cui prende parte.
Il fatto straordinario di oggi è stato invece la consegna del Leone d’Oro alla Carriera a Jean-Paul Belmondo. Queste cerimonie chiamano sempre a gran voce una certa retorica, e noi in questo caso non vogliamo esimerci dall’esprimere la nostra, dicendo che lo consideriamo il momento più alto della settantatreesima edizione della Mostra del Cinema. Un po’ per l’età (83), un po’ perché conserva le conseguenze dell’ischemia che lo colpì nel 2001, Belmondo cammina a fatica. Ma guardandolo in viso, egli conserva quel sorriso malandrino e quella guasconeria che lo hanno reso simpatico a tutti gli uomini e hanno affascinato generazioni di donne. In questo senso è perfetto il film che è stato scelto come omaggio: Le Voleur (Il ladro di Parigi) di Louis Malle: non è il più importante (che è A bout de souffle di Jean Luc Godard, tradotto in italiano in Fino all’ultimo respiro, uno dei manifesti della Nouvelle Vague); non è forse neanche il più bello (per noi è Asfalto che scotta di Claude Sautet), ma è quello in cui Belmondo, che interpreta un ladro gentiluomo, è al massimo del suo fascino. Sa di aver fatto una bella vita e infatti, ai giornalisti che nel corso della conferenza stampa gli chiedevano un bilancio della sua carriera, dichiara di non avere rimpianti e di essere felice di tutto quel che ha realizzato. Pensa che ci siano tanti suoi possibili eredi (anche se non fa il nome di nessuno in particolare) e ribadisce la sua amicizia nei confronti di Alain Delon, l’altro grande divo francese della sua generazione. Bébel, com’è soprannominato, è un divo vero, a differenza di tanti altri di cartone che durano per il tempo di un fiammifero, e lo sentiamo un po’ anche nostro, sia perché appartiene a quella cinematografia che più assomiglia a quella italiana sia perché egli, neanche trentenne, ha lavorato in Lettere di una novizia di Alberto Lattuada, ne La viaccia di Mauro Bolognini e soprattutto ne La ciociara di Vittorio De Sica, al fianco di Sophia Loren. Un’altra Sophia, quella di Francia, ovvero Sophie Marceau, lo ha oggi accompagnato e sorretto nella sfilata sul tappeto rosso e gli ha poi formalmente consegnato il premio, pronunciando un tenero discorso. Anche a lei va un grande applauso per come ha saputo mettersi in disparte (fin a partire dal sobrio vestito) in modo da lasciare a Belmondo tutti i riflettori, standogli vicino anche quando veniva acclamata da sola per foto e autografi. Ci aveva fatto innamorare appena tredicenne con Il tempo delle mele; oggi che di anni ne ha quasi cinquanta non ha perso nulla in fatto di bellezza eleganza e grazia. Noi che siamo appassionati di giochi di parole ci siamo accorti che l’anagramma del suo nome e cognome dà “che si può amare“. Ed è impossibile non farlo.
A domani
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