Il regista cinese, ancora una volta, mette in mostra tutte le sue doti artistiche, per un neo noir che combina splendidamente documentarismo e impressionismo illuminato dai neon
Proprio come successo nello straordinario Fuochi d’artificio in pieno giorno (Báirì yànhuǒ) del 2014, Diao Yinan usa gli stereotipi del genere neo-noir per esplorare le condizioni socio-economiche della moderna Cina nella sua più recente fatica, Il lago delle oche selvatiche (Nan Fang Che Zhan De Ju Hui), presentato in anteprima al Festival del Cinema di Cannes dello scorso anno. Film d’azione intriso di virtuosismo classico, lo stile del regista cinese non attira l’attenzione su se stesso e la sua assoluta padronanza della composizione, del ritmo, del montaggio e della luce viene messa al servizio di una modulazione accurata della suspense e del ritmo per il massimo impatto cinematografico possibile. Sebbene Parasite di Bong Joon-ho (la recensione) sia stato ampiamente definito come il thriller hitchcockiano del 2019, non è una bestemmia dire che è la professionalità dal sapore antico di Il Lago Delle Oche Selvatiche che in realtà si avvicina di più allo spirito dei vecchi maestri del genere.
Nel passato, la banda di associati criminali di Zhou organizza una elaborata dimostrazione su come rubare una motocicletta, un incontro che esplode in violenze di massa per una disputa su come assegnare gli uomini ai diversi territori. Le bande decidono di risolvere il combattimento organizzando un concorso in cui qualsiasi banda che riesca a rubare il maggior numero di moto nel corso di una sola notte sarà in grado di ottenere i maggiori benefici. È durante questa notte di follia che Zhou commette accidentalmente l’omicidio e viene abbandonato dai suoi compagni. L’ambizione di Zhou, tuttavia, non è la salvezza personale; piuttosto, chiede a Liu di consegnarlo alle autorità, così che lei possa riscattere i soldi della ricompensa e inviarli alla di lui moglie.
Lo stile di Diao Yinan combina elementi documentaristici con un vero e proprio impressionismo illuminato dal neon (le sue influenze più evidenti per Il Lago Delle Oche Selvatiche sembrano esser state Johnnie To e Michael Mann), impiegando in modo tattico piani sequenza, il cambiamento dei punti di vistai e il montaggio per immergere lo spettatore nell’esperienza sensoriale a 360 gradi del mondo di Zhou. Sebbene prevalga un’atmosfera magistralmente sostenuta di romanticismo ruvido e diafano, l’azione – quando arriva – è gravosa e viscerale, offrendo esplosioni esilaranti di cinismo elaboratamente coreografato, profondamente radicato nei dettagli finemente scrutati della cartologia e della biologia umana.
Come anticipato, Il Lago Delle Oche Selvatiche è composto principalmente da lunghe sequenze senza stacchi, l’agile videocamera che attraversa elegantemente gli spazi urbani mentre esegue una panoramica da un particolare saliente all’altro, evidenziando senza sforzi gli elementi importanti della narrazione, dei personaggi e le tematiche portanti. Le composizioni architettate da Diao Yinan sono vibranti e vivaci, piene di un’arricchente attività pittorica che esalta i parametri del mondo diegetico – uno di quelli che si percepisce notevolmente completo e pienamente vissuto. Eleganti e moderni grattacieli si scontrano con la povertà di bassifondi e coi vicoli marginalizzati, mentre immaginifiche sequenze ambientate in luoghi come un circo, un corso di danza serale e un parco di divertimenti offrono momenti sorprendenti di pura poesia visiva.
In definitiva, Il Lago Delle Oche Selvatiche è un film che rifiuta un facile incasellamento, posizionando sia i poliziotti che i criminali come individui neutrali coinvolti in organizzazioni più grandi e labirintiche, i cui meccanismi interni rimangono un mistero fondamentale.
Di seguito trovate il trailer italiano di Il Lago Delle Oche Selvatiche, nei nostri cinema dal 13 febbraio: