Una lunga chiacchierata col regista, partendo dagli esordi con Corman fino al fosco presente
Ospite d’onore al Festival di Sitges 2025, Joe Dante – regista culto che ha ridefinito il cinema di genere mescolando satira, horror e fantasia – ha incontrato il pubblico (e poi noi) per una conversazione esclusiva. Dalla furia acquatica di Piranha al caos domestico di Gremlins e The ’Burbs, passando per L’ululato, Matinee e Small Soldiers, Dante ha sempre unito ironia, critica sociale e amore per la cultura pop.
In questa intervista, il cineasta americano riflette sullo stato attuale di Hollywood, sull’impatto dell’intelligenza artificiale, sulla paura come forza motrice del potere e sul valore della libertà creativa in un’epoca dominata da franchise e algoritmi.
Partendo dagli inizi, qual è stata la cosa più utile che hai imparato da Roger Corman?
Prendere una decisione. Non tergiversare cercando di capire cosa vuoi fare. Sappi cosa vuoi fare e fallo. E naturalmente, l’efficienza era la parola d’ordine per lui. Girava film con budget molto bassi. E tutto ciò che abbiamo imparato da lui sono cose che abbiamo riutilizzato anche quando abbiamo fatto film con budget più alti. Perché essere efficienti non smette di essere importante solo perché hai molti soldi. Rimane comunque un tempo limitato in una giornata. E ricordo che le recensioni su Variety dei film di Roger negli anni ’70 dicevano sempre che avevano un bel “bagliore autunnale”. E c’era un motivo per questo: la maggior parte dei film veniva girata tra le 3 e le 7 del pomeriggio, perché tutti erano così indietro che non potevano fare altro che continuare a girare freneticamente fino al tramonto. È stata un’esperienza di apprendimento inestimabile. Se Roger Corman non mi avesse dato la mia prima opportunità, oggi non sarei qui.
Se dovessi realizzare un altro episodio di Twilight Zone su Donald Trump e la sua presidenza, come sarebbe?
Penso che, più che un episodio di Ai Confini della Realtà, potrebbe sembrare il prossimo film dei Gremlins. In effetti, c’era una battuta in giro: “Cosa succederebbe se i Gremlins arrivassero alla Casa Bianca e finissero per inglobare Trump?”. Sarebbe un po’ come trattare Trump come uno qualsiasi dei miei personaggi assurdi – come la signora Peltzer o la signora Deagle, figure grottesche da commedia nera. Probabilmente lo farei come un episodio della Twilight Zone, ma in realtà l’ho già fatto, in un certo senso: ho già raccontato storie di questo tipo, con personaggi e situazioni simili. Quindi direi che lascerei quel tema lì, dentro Twilight Zone. Nessuna delle altre mie storie rientra davvero in questo schema.
C’è un personaggio chiamato Daniel Clamp, che è un imprenditore immobiliare, un villain “sensato”. Ed è una combinazione di Donald Trump e Ted Turner, che possedeva la stazione via cavo. Quindi è stato scritto per essere il cattivo, ma l’attore, John Glover, che lo interpretava, ha messo in risalto il suo lato più infantile e omicida. E alla fine è risultato simpatico. Non era l’intento del film, in realtà. Ma qualunque cosa possa aver contribuito, in qualsiasi modo, a far sì che Donald Trump diventasse davvero presidente, la rifiuto completamente.
Potresti parlare un po’ di La Seconda Guerra Civile Americana e di come lo vedi oggi, guardandolo col senno di poi?
Beh, non sono sicuro che oggi la gente abbia modo di vederlo. Era un programma HBO per noi, in America. È stato distribuito all’estero come film, ma non è molto conosciuto, purtroppo, anche se vorrei che lo fosse, perché era incredibilmente profetico. Se lo guardi oggi, pensi: “Accidenti, questo è successo nel 1997, e ora sta accadendo davvero.” È uno dei miei film preferiti tra quelli che ho fatto, e mi dispiace che non sia più noto. Se possedessi una rete televisiva, lo manderei in onda dicendo: “Guardate questo film, perché è quello che vi sta succedendo proprio ora.” Però, sai, se i film potessero davvero cambiare le cose, quando uscì Il Dottor Stranamore ci saremmo tutti disarmati. Ma non lo abbiamo fatto. Quindi non so quanto i film possano davvero influenzare ciò che accade nella vita reale. Ma è sempre utile vedere il punto di vista di qualcuno e aprire gli occhi alla gente su ciò che sta davvero accadendo.
Anche l’episodio Homecoming dei Masters of Horror va un po’ in quella direzione…
Sì, beh, lo sceneggiatore e io eravamo arrabbiati per la guerra in Iraq, che era in corso. E nessuno scriveva nulla al riguardo. Tutti facevano il tifo. E noi pensavamo: “È terribile. Nessuno sta facendo una critica.” Così abbiamo fatto questo episodio per Masters of Horror, che era l’unico posto dove avremmo potuto farla franca. Era molto anti-destra. E l’ho mandato a tutti i commentatori di destra che conoscevo. Non ho mai ricevuto alcuna risposta. O l’hanno guardato e buttato via, oppure non l’hanno guardato affatto. Ma sono rimasto deluso che non li abbia fatti arrabbiare di più.
Credi che, con l’intelligenza artificiale, film come Gremlins, L’ululato o quelli degli anni ’80 potrebbero essere rifatti oggi? Pensi che sarebbero migliori, o invece c’era una creatività che oggi manca nei nuovi film e franchise?
Beh, la cosa che bisogna ricordare sull’IA è che l’IA crea ciò che vedi attingendo al suo vasto archivio di ciò che già conosce. Ma non è una persona a fare un film. È l’IA che fa un film. Quindi la cosa che si perde è l’umanità e l’apporto delle persone creative, quelle che in realtà fanno funzionare davvero le cose. L’IA è brillante, visivamente sembra perfettamente convincente. Puoi realizzare un intero film completamente con l’IA, senza location reali, senza attori veri, e far credere alla gente che sia tutto reale. Ma non avrà l’intenzione che avrebbe se fosse stato realizzato da una persona con un punto di vista. La cosa che manca all’IA è proprio questo: un punto di vista. È completamente piatta. Ti dà solo una risposta su ciò che dovrebbe essere, ma non ti dà personalità. Si perde la personalità. Temo che l’IA prenderà il sopravvento, perché non solo farà perdere molti posti di lavoro, ma produrrà anche molti prodotti impersonali.
Il motivo per cui usavamo pupazzi veri era perché è meglio per gli attori potersi relazionare a qualcosa di concreto. In Looney Tunes, avevamo personaggi animati insieme ad attori reali. Sul set c’era un grande peluche di Bugs Bunny. Gli attori reagivano a quello, giravamo una versione così, poi lo toglievamo e giravamo la stessa scena senza, e poi aggiungevamo l’animazione. Ma non è la stessa cosa che dire: “Faremo tutto in post-produzione.” Gli effetti speciali oggi sono fantastici. Qualsiasi cosa tu possa immaginare, si può fare. Ma costa un sacco di soldi. L’IA invece costa meno. Quindi penso che ciò che prima veniva fatto in CGI diventerà sempre più spesso IA. Quanto della personalità andrà perso in questa transizione, non lo so.
Restando su questo tema, c’era più libertà un tempo rispetto a oggi nel fare un film?
Non mi è mai capitato di trovarmi in una situazione in cui mi dicessero cosa dovevo fare. Spesso ho avuto discussioni dopo le riprese su cosa doveva restare nel film, ma non c’era molta “censura”, per così dire. Non so com’è adesso, perché non faccio un film da un po’. Ma non mi sono mai sentito limitato. Certo, sapevamo che non si poteva mostrare nudità maschile frontale, ad esempio. In Masters of Horror ci dissero: “Potete fare tutto quello che volete, ma niente nudità maschile frontale.” Quindi non l’abbiamo fatto. Ci sono sempre restrizioni su cosa puoi mostrare, ma mi sono sempre sentito libero di fare ciò che volevo.
Che tipo di film ti piace guardare oggi?
Mi piacciono i film indipendenti. Andiamo spesso al cinema, anche se non quanto una volta. Prima del COVID, ci andavamo spesso. Poi i cinema hanno iniziato a chiudere. Ci sono sempre meno posti dove andare a vedere film a Hollywood. In effetti, a Hollywood ora ci sono solo tre sale cinematografiche. E ce n’erano decine un tempo. È triste. E ora è tutto in streaming. Puoi vedere tutto sulla tua TV, ma non è la stessa cosa che vederlo con un pubblico. Non hai la stessa reazione che avresti se lo guardassi con altre persone. Ma sembra essere questa la direzione del futuro. I film che vengono realizzati oggi sono più selezionati, ma la mentalità del blockbuster ha preso il sopravvento in modo totale. Trovare film con personalità è molto più difficile. Ed è per questo che questo festival è interessante: quando si entra nel cinema di genere, spesso si trovano persone che fanno film molto originali, che potrebbero esistere solo per questo tipo di pubblico. Mentre se provi a fare un film per famiglie, è sempre la copia di un altro film. Se vuoi fare un blockbuster di supereroi, è la copia di un altro film. Ma i film di questo festival tendono verso l’originalità. E penso che sia uno dei motivi per cui li amiamo così tanto.
Mi è andata bene perché volevano davvero un seguito di Gremlins, dopo un po’ di tempo. E lo studio non amava il film, non lo capiva. Rimasero stupiti che fosse stato così di successo. E naturalmente, la prima cosa che dissero fu: “Bene, facciamone un altro.” Non importava se il film piacesse loro o no. Ma io ero stufo di Gremlins, non volevo farlo. Così me ne andai. E provarono a realizzare una loro versione di Gremlins, con sceneggiatori e concetti diversi, e non funzionò. Così, quattro anni dopo, tornarono da me e dissero: “Ovviamente pensiamo che tu abbia avuto qualcosa a che fare con il successo di questo film così strano. Ne vogliamo un altro, e ti lasceremo fare qualunque cosa tu voglia, se lo farai.” Così dissi: “Davvero, qualunque cosa io voglia?” E loro: “Sì.” E in effetti poteva funzionare.
Così ho fatto un film su Gremlins dove c’è quella scena in cui il film sembra rompersi, e i gremlins sono nella cabina di proiezione e incasinano la pellicola. Beh, quella non era una scena popolare agli occhi dello studio. Mi dissero: “Ma se la gente penserà che il film si è rotto, se ne andrà.” E io risposi: “Non se ne andranno. Sono venuti per vedere il film. Lo scherzo dura così poco che capiranno subito. Vedranno che ci sono i gremlins nella cabina, rideranno di sé stessi per aver pensato che fosse reale.” E avevo ragione. Così la mostrammo a una proiezione di prova, ed è stata la cosa di maggior successo che abbia mai realizzato. E lo studio disse: “Beh, ok, immagino che vada bene.” Ma, sai, devi dimostrare che funziona.
Qual è il tuo film preferito della tua filmografia? E quale film di un altro regista avresti voluto fare tu?
Oh, ci sono così tanti grandi film che non avrei mai potuto realizzare. È proprio questo il punto. I miei film preferiti sono tutti film fatti da persone completamente diverse da me. Quindi non so se avrebbe senso. Quanto ai miei film, i tuoi film sono come i tuoi figli. Alcuni possono essere problematici, altri avere dei difetti, ma li ami tutti, in un modo o nell’altro. Però il film con cui mi sono divertito di più è stato Salto nel buio (Innerspace). Perché il cast era fantastico. L’idea di una persona all’interno di un’altra che le parla per tutto il film, e il fatto di poter far improvvisare gli attori tra loro sullo schermo, rendeva ogni giorno di lavoro divertente. E anche Gremlins 2 è stato molto divertente. Cerco sempre di divertirmi sul set, perché fare film è difficile. È un lavoro complicato, e se le persone non si divertono, tutto diventa più pesante. Ma sono piuttosto soddisfatto di gran parte di ciò che ho fatto. Anche se ho dovuto combattere molto per ottenerlo.
Ti piacerebbe ancora girare un western?
Mi piacerebbe molto fare un western. Ne ho girato uno corto per Showtime, con Brian Keith, una volta. Ma non ho avuto molte occasioni di farne altri, perché non se ne producono quasi più. E quando li fanno, la gente non va a vederli. Quindi penso di aver perso la mia occasione di girare un western.
Esattamente, perché il titolo era anche quello di un’attrazione a Disneyland, quindi la gente si confuse. Inoltre, il poster mostrava un pollice gigante con una minuscola persona sopra. E nessuna indicazione che fosse una commedia. La gente vide “Steven Spielberg Presents” e pensò: “Ah, deve essere una cosa seria.” E quindi non andarono al cinema. Chi andò lo apprezzò, ma non molti ci andarono. Lo studio, comunque, amava il film, e disse: “Proviamo una campagna pubblicitaria diversa.” Così ne fecero una nuova. Anche quella non funzionò. Lo rilanciarono, e nessuno andò a vederlo. Poi uscì in videocassetta, e fu il primo film pubblicato in formato letterbox su video. E all’improvviso la gente iniziò a guardarlo, a consigliarlo agli amici, ai parenti, agli zii. Improvvisamente diventò un film amatissimo dal pubblico. E la gente diceva: “Caspita, dev’essere stato un grande successo quando uscì, eh?” No, per niente. All’epoca fu considerato un disastro.
A proposito di progetti mai realizzati, The Man with the Kaleidoscope è ancora in programma?
No, purtroppo non più. Il tempo è passato. Ci abbiamo lavorato per dieci anni. È quasi entrato in produzione due volte, una di quelle con una grande star, ma si è sempre sgretolato tutto. Quando Terry Gilliam verrà qui, intervistatelo: chiedetegli dei film che non è mai riuscito a fare. Ce ne sono parecchi.
Pensi che ci sia spazio per una serie TV basata su uno dei tuoi film?
Stanno realizzando una serie TV di The ’Burbs (L’erba del vicino). Ma non ho nulla a che fare con essa. E in realtà non ha molto in comune con il mio film, se non che è girata nello stesso quartiere. Per il resto è molto diversa. So che volevano fare un sequel di Salto nel buio, ma non incassò abbastanza, quindi non lo fecero. Una serie TV… Non riesco a immaginarne una tratta dai miei film, a dire il vero. Nessuna mi viene in mente.
Ma han fatto la serie animata dei Gremlins …
Sì, ma quella è un prequel. Ed è venuta piuttosto bene.
Beh, io ho un approccio politico, solo che non è esplicito – tranne che in La Seconda Guerra Civile Americana e in Homecoming, dove è evidente. Ma tutti i film hanno elementi sovversivi. Tutti i film sono politici, che lo vogliano o no, a seconda di come sono costruiti. Forse non in modo così diretto come John. Ma i due film che John ha scritto per me, Piranha e L’ululato (The Howling), sono entrambi film molto politici. Hanno dentro molta politica. Anche se sono film di genere, e non dovrebbero esserlo. John è un tipo molto politico. Ed è uno sceneggiatore eccezionale. Ora è diventato anche un ottimo regista, ed è un grande amico. Aveva anche un film che avrebbe dovuto realizzare, ma non è mai successo … Voleva girarlo in Spagna, credo. Non so se fosse un western, ma… non credo che sarebbe andato ad Almería. Comunque, a quanto pare, è sfumato – come spesso accade.
Hai detto che ami i western, e il mondo oggi sembra diventato un grande western con pochi sceriffi. Pensi che l’oscurità attuale del mondo possa in qualche modo alimentare la creatività nel cinema?
Sì, deve farlo. Perché quando l’oscurità ti circonda, devi cercare di portare un po’ di luce. E in questo momento ci sono molte cose oscure. E molte persone hanno troppa paura di rischiare denaro per parlarne. C’è molta timidezza, soprattutto in America, nel mondo del business: la gente dice “Diamogli quello che vuole, così ci lascia in pace.” Questo è il problema. “Vuole che le nostre università insegnino filosofia di destra? Facciamolo, così non ci taglia i fondi.” Sta ricattando la gente. E sta bloccando la cultura. E penso che arriverà un punto di rottura – non so quando, ma arriverà – in cui la gente dirà: “Non possiamo più sopportarlo.” Quest’uomo non è un re. Pensa di esserlo, ma non lo è. Non ha i poteri che dice di avere. Non può permettersi di far prelevare persone per strada da uomini mascherati, come nella Germania Est. È illegale.
Ma ha la Corte Suprema che gli dice che può fare ciò che vuole. Gli hanno appena dato l’immunità totale per fare tutto ciò che desidera. Che razza di cosa è? Voglio dire, quella dovrebbe essere la Corte Suprema degli Stati Uniti, e invece dicono: “Va bene, può fare tutto ciò che vuole.” Se vuole sparare agli scout in strada, va bene. Dai, ci dev’essere un limite. Il problema è che il governo è strutturato su tre poteri distinti, e l’esecutivo è solo uno di questi. Ma il ramo legislativo è composto da persone che hanno paura della loro stessa ombra, e soprattutto di Donald Trump. Hanno paura di perdere le primarie, paura di perdere i loro falsi posti di lavoro. Non si oppongono a lui. Hanno paura. E se parliamo di film horror che si basano sulla paura… ecco, la paura è esattamente ciò che sta governando il mio paese in questo momento.
E cos’è che ti spaventa di più, oggi?
Che abbiano successo. E che la gente si sottometta, e che diventeremo come l’Ungheria. Sai, una democrazia solo di nome. E penso che sia proprio lì che stiamo andando.
Beh, oggi rivelano troppo. E sono troppo lunghi. Per un lungo periodo non si poteva fare un trailer senza un’esplosione. Dovevi per forza mostrare gente che scappa da un’esplosione. Era come una scena obbligatoria: la inserivi e sapevi che a tutti sarebbe piaciuta. Credo che vendere un film attraverso i trailer sia un compito complicato, perché i trailer non vengono visti da così tante persone come gli spot televisivi. E poiché ormai non sono poi così tante le persone che vanno al cinema, non è più un grande punto di forza per la promozione.
Oggi il modo giusto per farlo è internet. E TikTok. I ragazzi prendono tutto da TikTok. Non sanno nemmeno cosa succede nel mondo, se non lo vedono su TikTok. E Trump, dopo che quella piattaforma l’ha aiutato a essere eletto, è riuscito a garantirle una sorta di “perdono presidenziale”, diciamo così, per poter operare negli Stati Uniti, anche se il suo partito una volta la considerava propaganda comunista. Ma ai ragazzi piace, e l’hanno aiutato a essere eletto, quindi va tutto bene, no? Sai… non ho parole.
Lo scorso luglio ha fatto un certo scalpore la vendita all’asta di Rosebud, la slitta che si credeva perduta presente in Quarto Potere, di cui eri entrato in possesso in modo rocambolesco …
È un oggetto che ho acquisito nel 1985. Stavo girando un film negli studi che un tempo appartenevano alla RKO. E stavano buttando via un sacco di roba, come fanno spesso gli studi cinematografici: mobili, lampade, oggetti di scena, ogni genere di cosa. E uno dei lavoratori del mio film venne da me e disse: “Sto per buttarla, ti potrebbe interessare?” Ed era la slitta / Rosebud.
Così gli dissi: “Certo, lo prendo io.” E la portai a casa. La misi nella mia sala proiezioni privata, che poi, a un certo punto, fu svaligiata. Rubarono il mio videoproiettore. Ma non rubarono Rosebud, perché non sapevano cosa fosse. Così pensai: “Sai che c’è? Forse non dovrei tenerlo in bella vista.” Quindi la misi via, e Rosebud passò la maggior parte del tempo in un caveau. Poi, a un certo punto, dissi: “È ridicolo. Questo è uno degli oggetti di scena più iconici della storia del cinema, e nessuno lo vedrà mai. Nessuno lo vedrà.” Così pensai: “Dovrei venderla.” E lo vendemmo tramite la casa d’aste Heritage. L’offerta fu incredibilmente alta. È il secondo oggetto più costoso mai venduto dopo le scarpette rosse. E devo dire che mi ha fatto sentire bene liberarmene. Ora potrebbe essere nella mani di un attore. Potrebbe essere il sultano del Brunei. Non lo so. Ma almeno è da qualche parte. Almeno è da qualche parte, non chiusa in un caveau.
Ultimissima domanda. Se dovessi girare un film sulla tua vita…
Non lo farei mai!
Lo so, lo so. Ma per gioco. Se dovessi girare un film sulla tua vita, su come sei diventato un regista famoso in tutto il mondo, quale sarebbe la prima scena di quella storia?
La prima scena del film sulla mia vita? Beh, immagino che dovrebbe essere come Quarto Potere (Citizen Kane). Dovrei essere sul punto di esalare l’ultimo respiro, e dire: “Gremlins!” [ride]