Tra atmosfere claustrofobiche e sospetti, la pandemia assume per il regista statunitense i contorni di un ospite forse letale
In un’atmosfera claustrofobica e via via sempre più visionaria, It comes at Night, scritto e diretto da Trey Edward Shults (Krisha), prende spunto dal manifestarsi di un’oscura pandemia per delineare il deteriorarsi psicologico di due nuclei familiari costretti a una forzosa coabitazione.
Viene quindi ucciso e seppellito dai congiunti. Penetra così sin da subito l’arcano male nella sicurezza delle osmotiche mura domestiche, delineando una sottesa tensione che viene poi sviluppata con grande maestria lungo tutto il minutaggio, quasi che in quel mondo ormai corrotto non vi sia sicurezza possibile.
Intanto la vita continua però e la minaccia sembra essere stata circoscritta mentre i tre protagonisti cercano nella ripetizione di normali mansioni quotidiane una qualche stabilità, obliando un problema che in realtà non si può sopprimere o tenere mai lontano a sufficienza. Tra psichico e tangibile, l’indesiderato rimosso torna dunque a mostrarsi nel concreto nel pericolo costituito da un estraneo, Will (Christopher Abbott), che si intrufola nottetempo nella proprietà in cerca di cibo, nonché nei domini della mente invece quale premonizione mortifera nei sogni di Travis (quasi quello di Don Rodrigo ne’ I promessi sposi), i cui contorni si fanno sempre più definiti e inquietanti.
Canovaccio già più volte alla base di panorami apocalittici, si viene allora a delineare l’annosa questione sull’aiuto o meno di sconosciuti all’interno di questo tipo di scenari (la filantropia sovente conduce alla morte …). L’intruso, che peraltro non cessa mai di essere piuttosto sospetto, dichiara di avere una famiglia e un figlio piccolo, Kim (Riley Keough) e Andrew (Griffin Robert Faulkner) che, seppur con qualche remora, Paul e Sarah decidono di ospitare.
La casa, il cui corridoio immerso nelle tenebre ricorda quello dell’Overlook Hotel di Shining per spettralità (come ammesso dallo stesso regista), è baluardo e prigione, la porta rossa chiusa con un grosso lucchetto a chiave, come i teli isolanti di plastica, sono palesemente parca difesa da una funesta estraneità incombente, sia essa costituita da uomini in carne ed ossa, sia essa qualcosa di ben più immateriale eppure assai più letale.
In un approccio affine in qualche modo a Into the Forest di Patricia Rozema, allora, il contagio viene solo minimamente mostrato, è la sua paura a avere una funzione ben più rilevante nell’economia d’insieme, in quanto fattore determinate anzitutto di quell’isolamento necessario alla sopravvivenza dei superstiti, la loro involontaria coabitazione e quel senso di prigionia e di sospetto che costituisce il vero fulcro del film. Origine altresì di una psicosi condivisa, dietro a un superficiale tentativo di civile convivenza, si cela la diffidenza, che prende forma negli incubi di Travis, in cui Eros e Thanatos, terrore della morte e incontrollabile attrazione verso un inaspettato oggetto del desiderio, si uniscono in amplessi con profusioni di viscidi fluidi corvini.
Tuttavia, quello che purtroppo viene a mancare, unica pecca, è un finale che possa fornire una conclusione all’altezza di quelle variegate suggestioni di cui è disseminato lo sviluppo, quasi sgonfiando quella sensazione che fin alla dirittura d’arrivo It comes at Night era riuscito a trasmettere.
Ciò non vuol dire, certo, che in definitiva il film di Shults sia del tutto deludente, solo purtroppo molto di quanto premesso rimane lì sospeso a fluttuare senza che alcuni degli elementi più inquietanti e al contempo affascinanti siano in ultimo portati a degno compimento.
Di seguito il trailer internazionale di It Comes at Night: