Il regista torna sulle scene con un thriller in bianco e nero crudo e marcio, che scaraventa Gordon Lam e Mason Lee nei bassifondi di una Hong Kong irriconoscibile e putrida
In un momento storico in cui il confine tra quelle di Hong Kong e le produzioni cinesi si sta facendo sempre più labile, il regista Soi Cheang torna sulle scene per consegnare al pubblico una fetta durissima e altrettanto suggestiva di noir cantonese che punta con aria di sfida il dito alla grande tradizione di John Woo e Johnnie To. Limbo (智齒 ) – se verrà auspicabilmente esportato a dovere – dovrebbe conquistare facilmente i fan del cinema asiatico estremo al di fuori dell’ex colonia britannica che desiderano ritornare ai gloriosi giorni in cui la regione amministrativa speciale garantiva dosi regolari annuali di succose pietanze di genere hard-boiled di prim’ordine.
Soi Cheang, che ha recentemente diretto il franchise fantasy buddista The Monkey King, offre una visione elettrizzantemente cupa degli ‘inferi’ di Hong Kong, ritratta – in un bianco e nero ad alto contrasto – come un luogo di vicoli disseminati di spazzatura, putrida e in decomposizione, dove i rifiuti della società si guadagnano da vivere in modi che vanno al di là della portata della legge. Sebbene il co-sceneggiatore Au Kin Yee sia un collaboratore di lunga data di Johnnie To, nei suoi 118 minuti Limbo non possiede affatto la beffarda ironia di, ad esempio, Mad Detective, Throw Down o PTU.
Mason Lee (il figlio di Ang Lee) prova a dare una sterzata alla sua carriera cinematografica nel cinema cinese, di Hong Kong e taiwanese, interpretando Will Ren, un detective alle prime armi che viene messo a capo di una squadra alla ricerca di un raccapricciante serial killer il cui marchio di fabbrica è tagliare la mano sinistra delle sue vittime femminili con uno strumento arrugginito.
In precedenza, il capo de facto delle indagini era stato Cham (il veterano Gordon Lam Ka Tung), un poliziotto esperto, ma che si porta appresso il trauma di un incidente che ha mandato in coma sua moglie incinta, rendendolo impulsivo e imprevedibile. Will è una star dell’accademia di polizia, ma è ancora completamente inesperto nei casi ‘sul campo’ (la sua giovinezza viene ulteriormente sottolineata da un dente del giudizio in procinto di spuntare, che diventa l’elemento di Limbo più vicino a una gag ricorrente).
La già complicata convivenza tra i due agenti si trasforma però presto in un triangolo ancora più spinoso quando Cham riconosce Wong To, una piccola criminale e trafficante di droga che è appena stata rilasciata dal carcere per la sua parte nell’incidente che ha attaccato a un respiratore la moglie del detective. Nota soprattutto per i ruoli in svariate commedie romantiche ‘continentali’, la 32enne Liu Cya offre una performance straordinaria come una gracile malvivente di strada che, tormentata dal senso di colpa per quello che è successo, diventa l’informatrice di un uomo che la disprezza ferocemente.
Costantemente minacciata – da Cham, dai teppisti di cui parla, e infine dal serial killer stesso – Wong To diventa così una martire malconcia con un crudo istinto di sopravvivenza che si nutre dell’energia motrice di Limbo, a sua volta alimentata da un abbagliante montaggio, rapido e cadenzato da una serie di sequenze di inseguimento emotivamente drenanti, realizzate con uno stile e una verve ‘vecchia scuola’.
Quasi come se i contenuti di una Hong Kong ridondante e ormai superata – vecchi mobili da ufficio, manichini di negozi, cancelli arrugginiti e ventilatori elettrici rotti – fossero stati spazzati sotto il tappeto delle infrastrutture superficialmente moderne della metropoli, affidati alle cure di tossicodipendenti, commercianti di rottami e dei reietti della società. Tale desolante visione culmina nella tana del serial killer, un luogo di orrori che è anche un covo di nostalgia, nonché metafora di una città in pezzi.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Limbo, in attesa della distribuzione italiana: