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Voto: 5.5/10 Titolo originale: Pinocchio , uscita: 19-12-2019. Budget: $12,400,000. Regista: Matteo Garrone.

Pinocchio (2019): la recensione del film di Matteo Garrone che adatta la fiaba di Collodi

17/12/2019 recensione film di Giovanni Mottola

La nuova trasposizione dello storico romanzo per bambini è un prodigio di tecnica artigianale, ma non riesce ad emozionare, né a rendere la grandezza del libro

Federico Ielapi in Pinocchio (2019) film

Vi erano tante ragioni per attendere trepidi l’uscita del Pinocchio di Matteo Garrone (Il Racconto dei Racconti): la curiosità di assistere al nuovo film di uno dei nostri più apprezzati registi; l’interesse di vederlo cimentarsi con uno dei capolavori della letteratura italiana, da alcuni a torto creduto un libro per l’infanzia; la suggestione di ritrovare Roberto Benigni nei panni di Geppetto dopo aver interpretato quelli a lui più consoni del burattino nel malriuscito film da lui stesso diretto nel 2002; infine, il fatto che le distribuzioni cinematografiche lo avessero eletto come il film italiano d’autore del periodo natalizio, programmando la sua uscita in 600 sale il giorno 19 dicembre, per poi salire addirittura a 700 a ridosso del 25.

pinocchio film garrone poster 2019Al regista va riconosciuta la difficoltà del compito che, pur senza dichiararlo apertamente, si era prefisso: realizzare la versione cinematografica definitiva della storia di Carlo Collodi. Nonostante i numerosi precedenti, per il grande schermo era infatti rimasto un vuoto. Il Pinocchio della Disney è in forma di cartone animato, peraltro ben poco fedele al romanzo, ed oggi pare essere stato completamente dimenticato dalla televisione. Quello di Luigi Comencini era un gioiello, ma realizzato per la televisione dunque con una durata che si concilia meglio con la resa di un’opera letteraria ma peggio con la possibilità di assistervi in unica soluzione.

Roberto Benigni ci aveva appunto provato senza riuscirci, visto lo scarso successo al botteghino (soprattutto quello internazionale), nonostante all’epoca egli potesse ancora vantare il credito acquisito con il recente trionfo de La vita è bella. Oggi il suo Pinocchio lo ricordano in pochi, ed è meglio per lui. Ora è in corso di lavorazione il progetto del messicano Guillermo del Toro, ma dalle prime indiscrezioni sembra che di Collodi resti ben poco, come dimostra l’annunciata l’ambientazione al tempo del fascismo, con tutto quel che ne può conseguire.

Proprio alla luce di tutte queste aspettative, bisogna però concludere che la montagna Matteo Garrone ha partorito un classico topolino. Dalla sala si esce con indifferenza, l’unica reazione persino peggiore della delusione. Questo film sembra avere due anime, una tecnica e una di cuore. L’efficacia della prima non è in discussione; la si ritrova nella cura mirabile delle scenografie da campagna povera ottocentesca, evocative di quadri macchiaioli, o in quella per i costumi. Ancor più la si può cogliere nel raffinato lavoro del truccatore Mark Coulier, duplice premio Oscar per The Iron Lady e The Grand Budapest Hotel, nonché attivo su tutti i set della saga di Harry Potter.

Anche in questo caso le sue invenzioni – il Giudice-Gorilla Teco Celio, il Grillo Parlante Davide Marotta, la Lumaca Maria Pia Timo, il Tonno Maurizio Lombardi – sono tutti capolavori di arte visiva. Ma proprio il fatto che l’elemento più riuscito di questo Pinocchio sia il “trucco prostetico”, cioè quel lavoro tecnico su make-up e protesi atto a creare effetti cosmetici avanzati, dimostra che nonostante la sua artigianalità (non vi sono effetti speciali) il film è costruito con freddezza e non può dunque considerarsi riuscito.

Il colpo d’occhio non è infatti sufficiente a riprodurre la vera forza di un libro che sa suscitare l’emozione dei piccoli lettori con le sue invenzioni narrative e l’ammirazione di quelli grandi con quelle poetiche e linguistiche, finendo poi per convincere i primi, attraverso il suo valore di apologo, della bontà degl’insegnamenti dei secondi. Tutta questa umanità al film di Matteo Garrone manca. Emblematico in questo senso appare il lavoro compiuto dal giovane protagonista, Federico Ielapi, che di queste due anime del film dovrebbe essere il punto di collegamento. Per tre mesi egli si è sottoposto a quattro ore quotidiane di trucco allo scopo di assumere le fattezze di un vero pezzo di legno, ottenendo un risultato strabiliante.

Se di Pinocchio ha il corpo, gli manca però lo spirito, connotato da quella ribalderia fanciullesca che porta il burattino ad amare teneramente il suo babbo e al contempo a disobbedirgli di continuo. Andrea Balestri, che interpretò la parte per Luigi Comencini nel 1972, raccontò che al provino il regista lo sfidò a rompere un quadro del suo ufficio ed egli non si fece pregare, guardandosi poi dal pentirsi al conseguente suo rimprovero e rispondendogli per le rime che quanto fatto era stato da lui stesso ordinato. Fu l’unico tra i provinati a dimostrare un atteggiamento tanto birbante e questo gli valse il ruolo, che onorò con un’interpretazione perfetta.

Roberto Benigni in Pinocchio (2019) filmNon è il confronto perdente con Andrea Balestri a far apparire l’attuale Pinocchio, comunque bravo, più ingessato e contenuto di quanto la parte richiederebbe. La colpa non sta nemmeno nella già maturata dimestichezza del bambino con il mondo dello spettacolo – ha nel curriculum particine in Quo vado e I moschettieri del re, oltre che nella serie Don Matteo – che inevitabilmente lo rende più disciplinato e dunque meno pinocchiesco di uno alle prime armi.

Il fatto è che questo lungometraggio sembra essere stato costruito come ‘il film di Garrone e di Benigni’, con Pinocchio paradossalmente in una posizione marginale. L’uno ci ha messo il suo tocco pittorico, ispirandosi per sua stessa dichiarazione al primo illustratore della favola, Enrico Mazzanti (ma si ritrovano anche alcune atmosfere dei disegni realizzati da Roberto Innocenti per la favola), oltre a una sfumata inclinazione al tocco dark riscontrabile nelle labbra viola della Fata Turchina (Marine Vacth), nella scena del tronco animato o in quella della trasformazione di Pinocchio e Lucignolo in ciuchini.

Il coinvolgimento di Roberto Benigni sembra invece quasi una strategia di marketing per sfruttare i richiami da un lato alla sua figura di eterna marionetta (già Fellini lo chiamava “Pinocchietto” e meditava di affidargli quel ruolo) e dall’altro alla sua identificazione con il ruolo di padre devotissimo, già sperimentato ne La vita è bella. Matteo Garrone si è prodigato in complimenti per la sua interpretazione, senza più fare alcun cenno al progetto originario che per il ruolo di Geppetto prevedeva Toni Servillo né a cosa l’abbia indotto a cambiare idea. In realtà, nei panni del falegname povero, nonostante gli ammirevoli sforzi compiuti per recitare sotto le righe e risultare così credibile, Roberto Benigni appare fuori parte.

Ce lo si poteva aspettare, perché in fondo egli non è mai stato un vero attore: nacque come comico surreale, per poi trasformarsi in irriverente giullare e finire come alfiere dei buoni sentimenti, manifestati con un certo eccesso di retorica. La figura di Geppetto è quanto di più lontano ci sia da ciascuna di queste sue corde: è un uomo serio, di saldi principi e poche cerimonie, come si addice a un popolano che svolge con dignità un mestiere manuale, che pure non gli rende il necessario per campare e che mantiene la sua dirittura anche quando la vita gli riserva il miracolo di ritrovarsi un figliolo da un pezzo di legno.

Gigi Proietti in Pinocchio (2019) filmFin dalla prima scena del film, quando egli si reca all’osteria e inscena una gigionata fingendo che ogni oggetto sia guasto allo scopo di ottenere un piatto di minestra in cambio della riparazione, si coglie come non sia Benigni ad essere diventato Geppetto, ma Geppetto ad essere diventato Benigni. Non vi sarebbe neanche troppo di male se il film procedesse in modo più libero. Così invece la sua intenzione di fedeltà al classico di Carlo Collodi risulta subito un po’ frustrata, destando l’attenzione di chi ha caro il testo originale ed attende al varco ogni più piccola ‘rielaborazione libera’.

Alcuni esempi: Pinocchio inizia a parlare con Mastro Ciliegia (Paolo Graziosi) dicendogli: “Non mi picchiar tanto forte”, non si rivela a Geppetto chiamandolo “babbo”; dopo essere stato derubato degli zecchini dal Gatto e la Volpe Pinocchio passa quattro mesi in gattabuia, non scampa alla prigione dicendo al giudice di essere un ladro; la trasformazione della Fata Turchina da bambina a donna avviene a seguito della sua morte, non all’improvviso; Lucignolo è uno scavezzacollo impertinente che porta Pinocchio sulla cattiva strada, non un bimbo pacioccone.

Per ragioni di sintesi obbligata mancano interamente alcuni significativi episodi della favola, come quello di Melampo o quello di Alidoro, nonché alcuni scambi di battute significative (Pinocchio che chiede al babbo perché non ha più la casacca). Nell’insieme però bisogna riconoscere che, riserve su Roberto Benigni a parte, gli attori sono tutti intonati nei rispettivi ruoli: perfetti il Gatto e la Volpe della coppia Rocco Papaleo & Massimo Ceccherini, così come il Mangiafuoco di Gigi Proietti e pure la Fata di Marine Vacht, dai giusti toni materni più che sensuali. Anche la sceneggiatura è assai rispettosa del testo di Carlo Collodi, e lo sarebbe stata addirittura di più se Matteo Garrone non avesse deciso, come da lui stesso dichiarato, di compierne una parziale revisione insieme a Massimo Ceccherini (che difatti risulta coautore) per aumentarne l’aspetto ironico.

Massimo Ceccherini e Federico Ielapi in Pinocchio (2019) filmTuttavia, nonostante questo rispetto esteriore per il testo, il suo spirito era riprodotto meglio nel film di Luigi Comencini, che pure si prendeva qualche maggiore libertà. Perché quella versione, a differenza di questa, si preoccupò maggiormente di salvaguardare anche l’aspetto linguistico del Collodi, che seppe calare l’opera nella Toscana povera di metà Ottocento pur mantenendo una costruzione lessicale raffinata.

Quel linguaggio fu il segreto per far diventare Pinocchio un’opera tanto per grandi quanto per piccini e non si rischia il delitto di lesa maestà affermando che per questi ultimi il libro possa aver svolto quella stessa funzione didattica ch’ebbero per gli adulti I Promessi Sposi una volta che i loro panni furono sciacquati in Arno.

Fin dalla prima riga, dove l’autore si rivolge direttamente ai suoi piccoli lettori per avvisarli che non si tratterà della solita storia di un re ma di quella d’un pezzo di legno, essi vengono presi per mano e accompagnati in una quotidianità reale e fantastica al tempo stesso. Quel che manca al Pinocchio di Matteo Garrone è proprio questa sorta di duende, parola intraducibile con la quale gli spagnoli indicano lo spirito vitale dell’arte e dell’artista, il fascino e la capacità di emozionare.

Sarà difficile che i bambini si facciano trascinare da questo film per le sole trovate tecniche, abituati oramai come sono ai più rutilanti prodigi dei delle trasposizioni dal vero della Disney. Ancor meno coinvolti saranno gli adulti. E così questo libro immortale, capace di appassionare le personalità più diverse, da Federico Fellini a Giorgio Manganelli fino al Cardinale Biffi, finisce per diventare una delle tante storie raccontati in uno dei tanti film della multisala sotto casa.

Di seguito il full trailer di Pinocchio, nei cinema dal 19 dicembre: