Sci-Fi & Fantasy

Profondo | La recensione del film scritto e diretto da Giuliano Giacomelli

L’autore fa il suo esordio in solitaria con un'opera che, partendo da un presupposto di natura fantastica, racconta una interessante storia di riscatto e di introspezione

Dal 29 maggio, l’italianissimo Profondo è disponibile su Amazon Prime Video, a dimostrazione delle vedute variegate e prive di pregiudizi del colosso dell’e-commerce che sulla sua piattaforma streaming offre opportunità anche a piccole produzioni indipendenti. Un’altra buona notizia per il film scritto e diretto da Giuliano Giacomelli, che di recente aveva finalmente trovato una distribuzione italiana, targata Minerva Pictures (in collaborazione con Multivision Pictures) la quale prossimamente si occuperà anche della release home video. Dicevo finalmente considerando il lungo iter produttivo/distributivo affrontato da Profondo, dal suo autore e dalla Ethika Entertainment.

La gestazione ha inizio addirittura nel 2016, per arrivare sul grande schermo il film fa un giro un po’ largo – non è certo la prima volta per produzioni nostrane (di genere) – ed esordisce il 5 settembre 2019 in Brasile, in occasione del Cinefantasy – Festival Internacional de Cinema Fantastico in cui ha l’onore di rappresentare l’Italia. Un mese dopo, il 12 ottobre, arriva anche in patria grazie (paradossalmente) ad un festival internazionale, l’International Tour Film Festival che fa tappa a Civitavecchia.

Profondo è l’esordio in solitaria su un lungometraggio per il trentenne Giacomelli, che nonostante la giovane età può già vantare una gavetta decennale fatta di corti, un film diretto a quattro mani, due film a episodi (diretti da più registi), nonché il ruolo di assistente alla regia di Lorenzo Bianchini in Oltre il Guado. La sceneggiatura parte da un presupposto di natura fantastica, come può essere quello dei mostri marini, per raccontare quella che fondamentalmente è una storia intimista, di introspezione, il dramma di un uomo sostanzialmente solo che cammina sul confine sottilissimo che separa lo scopo dall’ossessione, che cerca un riscatto personale attraverso quella che potrebbe essere la sua ultima lotta. Un progetto, come dichiarerà lo stesso autore, che nasce come una sfida personale di chi cerca di dimostrare che in Italia si può ancora pensare a qualcosa di differente, che guardi allo stesso tempo sia al cinema di genere che a quello autoriale.

Se cercate un film a base di creature mostruose/azione/morti ammazzati finirete per sbagliare approccio (e aspettative), Profondo prende una rotta differente e non per questo non arriva a destinazione. Più che sul mostro marino, la sceneggiatura è incentrata quasi totalmente sulla figura di Leonardo, un fotoreporter afflitto da un male incurabile e che si porta dietro scorie (suggerite e lasciate alla percezione dello spettatore) di un passato doloroso, che nella ricerca dell’ultimo scoop sembra aver trovato un motivo per restare aggrappato alla vita (o provare a salutarla degnamente).

Nei suoi panni troviamo un bravo ed intenso Marco Marchese, personaggio schivo, scontroso, stanco, fumatore incallito, disilluso dalla vita ma non dal sogno di esplorare l’inesplorabile. Lo spettatore è portato a scandagliarne l’animo, la sua sofferenza, persino i suoi incubi ricorrenti. A vivere la sua sfida, a tifare per lui. Osteggiato (e sbeffeggiato) da tutti o quasi, trova un minimo di supporto in Linda e sua figlia Ester (brava la bambina, mentre Marcella Valenti, nel ruolo della madre, a volte sembra perdere un po’ di naturalezza), personaggi utili ad aprire una piccolissima finestra su Leonardo e su quella che aveva la sensazione di essere una corazza impermeabile.

Buona parte di Profondo verte su questa sua ricerca spasmodica, una corsa contro il tempo, una potenziale lotta contro i mulini a vento in cui non hai il minimo dubbio sul parteggiare per chi apparentemente esibisce i crismi del perdente. Un uomo che affronta il mare dichiarando apertamente di non amarlo, di temerlo, perché esistono solo due categorie degne del mare, pesci e pescatori, e lui non appartiene a nessuna delle due. Ma che trova un appiglio per andare avanti ed andare oltre; del resto (per citare il personaggio) la curiosità uccise il gatto, ma la soddisfazione riuscì a riportarlo in vita.

Un film che vive di suggestioni ed atmosfera e che, in questo senso, raggiunge la sua parte più tesa ed emotiva nell’atto finale, quello in cui un Leonardo, ormai solo, affronta la notte in mare aperto con tutte le sue insidie inquietanti. Quella del Diavolo Rosso è una presenza invisibile ma quasi percepibile, una figura che fa da motore alla vicenda pur evitando di palesarsi. A cominciare dal prologo coi racconti dei pescatori seguiti dai titoli di giornale, passando per qualche vecchia fotografia ed il racconto appassionato di un testimone che vanta la voce (e la presenza) di Edoardo Siravo, in un cameo di pregio. E non voglio dirvi di più, considerando che il riuscito espediente narrativo è quello di solleticare costantemente il dubbio dello spettatore su quanto ci sia di vero nella leggenda, portandolo all’epilogo attraverso questa voglia di scoprirlo.

Sul versante tecnico, Giuliano Giacomelli fa un buon lavoro, confeziona con gusto un film che a partire da una fotografia professionale (assolutamente non così scontata per prodotti di questo tipo), passando per un azzeccato comparto sonoro, riesce ad andare oltre e nascondere i limiti di un budget risicato. Girato per la maggior parte in esterni (ed in mare), con riprese impegnative in barca e dall’acqua (finanche subacquee), il regista ricorre a molteplici inquadrature, si sofferma sui dettagli, sui volti, sulle mani, sui particolari. Alimenta uno strano clima di mistero e malinconia, dimostrando di avere chiara in mente la direzione da dare al suo script. Merito anche di una crew affiatata che fa fronte comune, basti pensare che Marco Marchese viene accreditato anche come grafico di scena e per i visual effects. Un film che inoltre mostra orgogliosamente l’appartenenza italiana, in particolare attraverso l’ambientazione marchigiana – girato tra Fano e Pesaro.

Profondo si rivela quindi una visione particolare, genuina ma significativa, senz’altro interessante, probabilmente poco mainstream come approccio e meccanismo narrativo. Che ci ricorda come con qualche idea si può sopperire alla mancanza di fondi. E che in Italia è ancora possibile fare cinema di genere, per quanto sembri un sacrilegio e chi di dovere si ostini a non volerci investire tempo e, soprattutto, denaro.

Di seguito il trailer di Profondo:

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Published by
Francesco Chello