Il regista argentino racconta la tratta umana con una suggestiva allucinazione, vanificata dalla narrazione poco cruda e dall'epilogo
Dotato di una certa visionarietà, seppur non altrettanto illuminato nell’ingranaggio narrativo, Hipersomnia di Gabriel Grieco, affrontando il truce problema del traffico umano in Argentina attraverso un approccio surreale, struttura una riuscita caratterizzazione della sfera psichica, che non riesce tuttavia a concretizzare poiché non osa abbastanza, vanificandone infine del tutto l’effetto con un epilogo decisamente insoddisfacente.
Componente decisamente più riuscita della pellicola argentina, la descrizione della prigione sotterranea comunica una densa sensazione d’angoscia, anzitutto utilizzando sapientemente il comparto visivo. In primis la fotografia, la scelta della tavolozza e delle luci è molto avveduta, i fondi e gli ambienti rimangono sempre ammantati di una penombra, a trasmettere l’essenza fosca del luogo stesso, ma anche il carattere di sogno, di viaggio mentale. Inoltre, a rafforzare tale sensazione è la contrapposizione cromatica tra i toni usati per le stanze, i muri, l’ambientazione, tutti cupi e spenti, e quelli vividi e ben più luminosi usati per delineare il mondo tangibile, ossia quello dove la protagonista è attrice. Infine, ad acuire ancor più la sensazione di surrealtà, in alcune sequenze lei, come Maria (un’altra “ospite” della turpe struttura che incontra in principio) sono vestite di un rosso accesissimo.
Se il colorismo nell’emisfero allucinatorio risulta dunque ben tratteggiato, non altrettanto espressiva è l’azione, i dialoghi nello stesso. Appena abbozzate, le turpitudini che laggiù avvengono rimangono vacua suggestione nel meccanismo di continuo salto da una parte all’altra dello specchio. Non c’è una reale morbosità nei carcerieri, nelle loro parole, nella vita e nella descrizione delle ragazze, tutto rimane superficiale e poco scioccante. In particolare, le torture del misterioso carnefice rimangono perlopiù celate, quando vengono mostrate poco hanno del sanguinolento o malato necessario per conferire un’aura davvero horror e completare appieno l’incubo, che così resta solo vagamente convincente. Guardare a lavori decisamente più crudi e scioccanti, quali l’inglese The Seasoning House di Helen Solomon, vista anche l’affinità tematica, avrebbe potuto dare decisamente maggiore potenza e sovversività al film.
Beché dunque abbia molte potenzialità, soprattutto nell’ambito visivo, Hipersomnia di Gabriel Grieco non riesce alla fine a materializzare compiutamente lo spettro che aleggia sulla protagonista e si perde via quando maldestramente narra della quotidianità della medesima.
Di seguito il trailer originale: