I due registi realizzano un inedito horror paranormale in cui però l'emisfero fantasmatico è forse troppo circoscritto
Se per riprendere la propria esistenza normalmente, dopo un episodio traumatico, fosse necessario avere la certezza che esista la vita dopo quella terrena?
Discorso interessante e portato avanti con una certa ironia di fondo, si tratta di una originale forma di indagine dell’occulto, l’origine è certo del tutto differente: non sono i soliti ragazzini che cercano fantasmi in una casa infestata, non v’è fascinazione per il macabro, ma semplicemente la necessità di trovare un senso che coincide con l’esistenza di ultraterreno. Dialogo esistenzialista che in parte per tema, la ricerca di una conferma dell’aldilà, si avvicina a La Scoperta (The Discovery di Charlie McDowell), lì però era una certezza, qui solo uno spunto per un singolare ghost movie. A questo riguardo è necessario peraltro sottolineare che, lungi dalla solita dinamica arrivo sul luogo infestato, apparizione dello spettro previ effetti pirotecnici vari (sedie che volano, mobilio che si muove, rumori vari e così via…), per una sezione non trascurabile dello svolgimento l’esistenza stessa dei fenomeni paranormali è ampiamente messa in discussione, delineando così per contrappunto una maggiore credibilità quando essi fanno la loro comparsa vera e propria. Funzionante è allora la dinamica narrativa scelta, per opposizione, che mantiene sospesi tra fede e agnosticismo, la prima posizione almeno nello slancio, nella necessità di sapere, incarnata da Miles, il secondo, in un disincanto che tange spesso il derisorio dalla madre, Charlotte (Annette O’Toole).
Tuttavia il trascendente esiste, e qui emerge il lato horror, assai meno scontato e di conseguenza più efficace, che ricorda Il Sesto Senso di M. Night Shyamalan nella descrizione delle entità ultraterrene. I fantasmi compaiono, seppur siano centellinati a dovere, apprendendo l’importante lezione che l’eccesso di trucchi posticci non crea nessuna suspense, mentre un continuo crescendo che mantiene in una ragionevole incertezza è di sicuro più funzionale allo spavento. A ciò si sommano alcune sequenze e immagini piuttosto forti, come lo svenire con la faccia in un lago di sangue rappreso, affianco a un cadavere in parte imputridito, con il braccio bucato e una siringa usata accanto. Insomma, Holland e Mitton sanno come coltivare l’aspetto disturbante, la sensazione di profondo disgusto. A completare in ultimo l’effetto straniante che aleggia costantemente nelle sequenze, a concretizzarlo sapientemente è il montaggio, l’alternarsi repentino alla realtà del ricordo dell’esperienza traumatica, o di percezioni allucinatorie o soprannaturali. Infine a coronamento del tutto c’è l’ottima resa di Freeman dello stato mentale, profondamente depressogeno, poi psicotico, l’essenza del suo personaggio è perfettamente caratterizzata con la mimica, il fissare catatonico, l’incedere svogliato e quella vaga espressione di latente terrore verso l’indifinito alla perfezione.
Unica nota dolente, il lato inquietante, che risiede proprio nello stretto contatto delle ombre con i viventi, è però sviluppato forse con eccessiva sbrigatività e vanificato in parte come spesso accade, da un finale troppo edificante che smonta la suggestione.
Di seguito il trailer originale di We Go On: