Il regista ci consegna un'opera seminale, profetica e, dopo quasi un trentennio, ancora attualissima, grazie a semplici e geniali intuizioni
Essi Vivono (They Live, 1988), nel corso degli anni, è diventato un cult, come del resto quasi tutti i film di John Carpenter. Opere dalla musica alla letteratura, fino allo stesso cinema, hanno trovato ispirazione in questo intramontabile classico, forgiandone sempre di più il mito. Prodotto con un budget ristrettissimo (circa 4 milioni di dollari), vive dell’atmosfera ansiogena che si crea lungo tutti i suoi 93 minuti di durata e mostra una Los Angeles lontana dallo sfavillante mondo hollywoodiano, tra baraccopoli, palazzi mastodontici e angoli grigi e sporchi.
Nada, entrando in una chiesa vicina, scopre che è il nascondiglio di un gruppo guidato dall’uomo che provoca delle interferenze, ma è costretto a scappare perchè scoperto. Nella stessa notte il campo è sgombrato dalle forze dell’ordine e il nostro, il giorno seguente, ritorna alla chiesa, dove tutto è scomparso, anche la misteriosa scritta sul muro “They live, we sleep“, ed è rimasta solo una scatola piena di occhiali da sole neri. Nascostosi in un vicolo indossa gli occhiali.
Nada scopre allora che il mondo non è quello che sembra: la città, vista in bianco e nero attraverso le speciali lenti, è tappezzata di messaggi subliminali di propaganda totalitaria e abitata da strane creature solo all’apparenza umane, mentre togliendo gli occhiali sono semplici cartelloni pubblicitari e normali persone. Da qui si dipaneranno le vicende del nostro eroe, fino all’esplosivo finale dolceamaro, pregno di significato.
Le immagini della megalopoli allagata di messaggi subliminali sono potentissime a livello visivo e ogni palazzo porta uno slogan, reiterato incessantemente senza soluzione di continuità.
Gli altoparlanti, collocati a ogni angolo, trasmettono invece perennemente solo una parola: “sleep”, che accompagna la normale vita quotidiana di ogni persona, ma che unicamente chi porta gli occhiali “speciali” può sentire, quindi un sonno indotto subdolamente, ma che in qualche modo si può aggirare e superare (aneddoto: la voce dello “sleep” è del regista, rallentata e modificata da Alan Howart, suo collaboratore per le musiche del film). Gli occhiali, infatti, sono l’oggetto materiale che rappresenta la Verità e se indossati provocano forti mal di testa, simbolo del dolore del processo di accettazione di una scomoda e cupa realtà. Gli occhiali, poi sostituiti verso la fine da lenti a contatto perfezionate “per non fare più male” (queste invece simbolo di una verità già digerita e pronta per essere affrontata), sono artefatti mistici, il cui processo di costruzione non viene mostrato, in modo da elevarli quasi a feticcio, e forse non a caso il laboratorio è appunto messo all’interno di una chiesa.
La tecnologia extraterrestre è non molto varia, ma efficace. L’orologio-trasmittente-teletrasportatore sembra venire direttamente dalla fantascienza degli anni ’50: un gadget multiuso che spaventa e stupisce immediatamente John. I piccoli droni volanti sono gli occhi della polizia, che vigilano ogni strada non battuta, lasciando pochissimi margini di fuga al protagonista. L’antenna parabolica è poi lo strumento con cui si può controllare la popolazione, incanalando tutte le trasmissioni per inebetirla. Da un’intervista fatta al regista si è venuti anche a conoscenza del fatto che alcune attrezzature di scena erano state usate in precedenza nel Ghostbusters (1984) di Ivan Reitman, affittate dalla produzione perchè troppo costose da acquistare.
La critica più efferata viene diretta alla televisione, che sembra essere il vero e proprio fulcro del Male per Carpenter. Gli alieni, infatti, per mezzo di essa diffondono i messaggi subliminali, la loro base è posta sotto l’unica emittente televisiva e l’unico modo per fermare l’invasione sarebbe distruggere l’enorme antenna principale. Esemplare la sequenza in cui dei senzatetto nella baraccopoli discutono su quale canale si debba guardare e si indispettiscono quando un programma viene interrotto dall’interferenza portatrice di verità, essendo incapaci di accettarla, bollandola quindi come ‘fandonia’ (simbolico inoltre come anche i ribelli siano costretti a usare il mezzo del nemico per bloccarne la propagazione/propaganda).
Tutto funziona alla grande grazie alla perfetta alchimia tra il suddetto e Keith David, che aveva già lavorato con Carpenter in La Cosa (1982), tanto che si dice che si siano divertiti moltissimo a girare.
La colonna sonora, pregevolissima, con tanti richiami al blues, è stata composta da Carpenter stesso grazie all’aiuto del già citato Howart, improvvisando completamente il tema principale, che ha lo stesso tempo dell’andatura di Nada al suo arrivo a Los Angeles negli opening credits del film. Il finale, con la distruzione dell’antenna principale da parte di John (quindi la possibilità per ogni comune cittadino di vedere gli alieni per come sono realmente), è una presa di posizione forte, che indica come anche le azioni di un singolo non siano vane e come, nonostante l’oppressione e l’inspiegabile sonno (della ragione e dei sentimenti), la scintilla dentro ognuno di noi è viva e deve essere alimentata.
La parabola tragica della figura dell’eroe va poi a compimento, visto che il protagonista è costretto a sacrificare prima l’amico, ucciso da Holly Thompson (Meg Foster), una dipendente della televisione di cui John si era innamorato e che era infiltrata nei ribelli per farli localizzare, e poi la stessa Holly, a cui spara per poter abbattere il gigantesco ricevitore. Questa pellicola rimane dunque leggendaria per la sua perenne attualità (vi ricordano qualcosa gli enormi manifesti pubblicitari di lingerie con ragazze bellissime e seminude? Oppure le riviste dove ogni tre righe è inserita l’immagine di un profumo? O ancora i messaggi tranquillizzanti dei politici sulla fine della crisi?) e un must-see per ogni appassionato di cinema e per chi è contro lo “spegnimento programmato del cervello davanti a una sequenza di immagini”.
Bonus track: consiglio l’ascolto dell’album “Essi Vivono” del rapper italiano Suarez, uscito nel 2012, che unisce varie vicende personali a una critica della realtà sociopolitica italiana, introiettando i temi del film e riversandoli su carta sopra basi ricche d’ansia, che richiamano alla perfezione le atmosfere carpenteriane.
Di seguito il trailer di Essi Vivono: