Un sequel meno imprevedibile del capostipite, ma che intrattiene puntando maggiormente sulla faccia da dark comedy della sua medaglia
Tre anni fa, Matthew Vaughn aveva spiazzato un po’ tutti con Kingsman – Secret Service, action scatenato tratto da un fumetto del Millaworld di Mark Millar e Dave Gibbons capace di svecchiare i film di spionaggio che negli ultimi tempi hanno cominciato a prendersi un po’ troppo sul serio puntando sulla ‘credibilità’ del contesto e sulla sofferenza dei protagonisti. Non solo.
Ha anche legittimato l’allora astro nascente Taron Egerton e lanciato Colin Firth come ‘uomo d’azione’ in uno dei ruoli più brillanti della sua carriera, in totale contrapposizione a quanto eravamo stati abituati in precedenza. Una vera e propria lettera d’amore del regista e sceneggiatore ai film della saga di James Bond – specie quelli più scanzonati con Roger Moore -, che Kingsman: Il Cerchio d’Oro (Kingsman: The Golden Circle) prova ora a controfirmare grazie anche a un incremento del budget, finendo però per sacrificare – come quasi sempre accade coi sequel – l’ingrediente che ha reso l’originale così interessante, ovvero l’effetto sorpresa, optando per dare di nuovo al pubblico quello che più o meno si pensava avrebbe dovuto – e voluto – aspettarsi.
Dopo che il quartier generale dei Kingsman viene letteralmente distrutto però, il ragazzo e Merlino devono recarsi in Kentucky, alla ricerca degli Statesmen, la loro controparte americana, che operano dietro la copertura di una grande distilleria di bourbon quotata in borsa e i cui operativi hanno nomi in codice appropriati: Tequila (Channing Tatum), Whiskey / Jack Daniels (Pedro Pascal), Ginger Ale (Halle Berry) e Champagne / Champion (Jeff Bridges).
La loro comune nemesi è Miss Poppy (Julianne Moore), una melliflua sociopatica nostalgica degli anni ’50 e ossessionata dai robot che ha preso – senza che nessuno lo capisse – il totale monopolio sul commercio mondiale di droga e che sta per scatenare il suo diabolico piano di portata planetaria da una base segreta immersa nella foresta cambogiana.
Come detto, Il Cerchio d’Oro non brilla certo per imprevedibilità, a partire dall’ampiamente annunciata ‘resurrezione’ di Harry Hart / Galahad (non si tratta di uno spoiler, visto che la sua presenza è nota da mesi grazie a trailer e poster) e si presenta come un sequel ben più allegro e senza pensieri, che nei suoi non 140 minuti strizza parecchie volte (troppe?) l’occhio al capostipite, replicandone svariate gag (vedi la rissa ‘uno contro molti’ nel bar) e indulgendo in caotiche sequenze action dilatate e a lungo andare anestetizzanti, infarcite da un uso smodato e vistoso della CGI, che dona al tutto un’atmosfera molto cartoonesca, esaltata anche dalle numerosi morti iper gore ma senza sangue (questo a beneficio di chi invece cercasse reale suspense e senso del pericolo).
Il film è certamente ancora R-rated, tra linguaggio parecchio colorito, riferimenti alla liberalizzazione delle droghe (di ogni tipo) che farebbero meno danni dello zucchero e discorsi sul fingering (che rimpiazza abilmente quelli sull’anal del precedente capitolo, giusto per rimanere sui rimandi diretti), ma non c’è praticamente più traccia di spirito anarchico. Non aspettatevi quindi nulla di altrettanto aggressivo dell’incredibile sparatoria in piano sequenza nella chiesa. Azzardando un paragone poco azzardato (visto che sempre di Vaughn e sempre di Millar si parla), è lo stesso che accadeva con i due Kick-Ass (anche se lì era cambiato il regista nella seconda iterazione).
Anche la cinguettante Poppy della Moore richiama parecchio il Richmond Valentine di Samuel L. Jackson, tra la passione per la robotica avanzata (tra mastini-borg e protesi cibernetiche impiantate su un’altra vecchia conoscenza, Charlie, interpretato da Edward Holcroft) e quella per il rapimento di celebrità (stavolta tocca a Elton John, nei panni di sé stesso e tra le cose più divertenti del film). Chi si aspettava poi una concreta partecipazione degli Statesmen alla mischia rimarrà deluso, perchè Bridges – e persino Tatum – occupano ruoli davvero marginali. Diverso il discorso per il lanciatissimo Pascal, gustoso terzo incomodo accanto a Firth ed Egerton, e per la Berry, simpatico clone a stelle e strisce di Merlino, al tempo stesso quota rosa e quota di colore (così a Hollywood stanno tutti tranquilli).
Nota a margine per le musiche, importantissime, che spaziano dalle azzeccate Word Up dei Cameo a Let’s Go Crazy di Prince, passando per l’ennesimo omaggio (sarà per il ventennale della morte?) a John Denver, iniziato quest’anno con Alien: Covenant e Okja).
In definitiva, questo secondo capitolo piacerà quasi sicuramente a chi ha già apprezzato il lungometraggio del 2014, ma probabilmente non riuscirà nell’intento di raccogliere nuove reclute.
Di seguito il trailer ufficiale italiano di Kingsman: Il Cerchio d’Oro, nei nostri cinema dal 20 settembre: