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Voto: 6/10 Titolo originale: Ajji , uscita: 24-11-2017. Regista: Devashish Makhija.

Ajji | La recensione del film di Devashish Makhija

27/06/2018 recensione film di Redazione Il Cineocchio

Sushma Deshpande è una nonna che cerca vendetta in questo scabro e disperato rape & revenge indiano, intriso di dramma sociale

Altamente drammatico, Ajji (che in hindi significa ‘nonna’), scritto e diretto da Devashish Makhija (Oonga), mette in scena un revenge movie crudo e inedito, primo esempio del sottogenere nella cinematografia indiana ed esempio anomalo dello stesso.

Particolarmente disturbante, ma non per i soliti motivi, Ajji si apre con un evento raccapricciante: lo stupro di una ragazzina di 10 anni, Manda (Sharvani Suryavanshi), avvenuto mentre si aggirava da sola di notte nella zona in cui il balordo figlio di un potente costruttore, Dhavle (Abhishek Banerjee), è solito ubriacarsi. Scabroso per il tema trattato, dunque, ancor più avvilente è volutamente il contesto; dopo aver ritrovato la piccola con l’aiuto di una vicina Leela (Saadiya Siddique), la nonna (interpretata da un’ottima Sushma Deshpande) si rivolge alla polizia in cerca di giustizia, ma l’agente preposto, Dastur (Vikas Kumar), invece di concentrarsi sul terrificante misfatto, sembra essere più interessato a interrogare tutti i membri della famiglia di Manda, quasi fossero loro i colpevoli. Dialogo tragicamente surreale, seguiamo quindi il pubblico ufficiale mentre incalza il padre della bambina, che per mantenere la famiglia fa turni di 15 ore in una fabbrica, la madre che vende cibo girando con la bicicletta tutto il giorno, e Leela, che per sopravvivere fa la prostituta. I sospettati paiono quasi loro e non Dhavle, che la vittima riconosce immediatamente come il colpevole. Addirittura Dastur minaccia guai di tipo legale per tutti loro, se il caso dovesse finire davanti a un giudice in tribunale.

La misera abitazione, le vessazioni e le ingiustizie, emergono subito dunque in Ajji, rape and revenge che assai si discosta da quel paradigma latamente femminista e occidentale alla Non violentate Jennifer (I Spit on Your Grave) di Meir Zarchi per addentrarsi invece nel dramma sociale, divenendo così un vero e proprio pugno nello stomaco. Non quindi una vittima che si emancipa e si vendica del suo o suoi carnefici, ma una povera vecchia, che arranca invece di camminare, decide di punire un arrogante e intoccabile carnefice. Immediata è quindi l’opposizione tra gli oppressi e onesti, ovvero Manda e la sua famiglia, per cui non c’è alcuna giustizia o tutela e i potenti, incarnati dal rampollo vizioso, Dhavle, che si ubriaca e dà sfogo ai suoi peggiori istinti contro una bambina! Evocativa e scabrosa è la scena in cui lui, intontito dall’alcol, è raggiunto da un suo viscido galoppino che gli propone una donna, la quale si rivela invero un manichino, con cui l’uomo finge di fornicare mentre l’altro riprende … La sequenza, grottesca e raccapricciante insieme, è girata senza filtri in un decadente scenario notturno, in un vicolo buio e sporco catturato con un ruvido realismo, che ne potenzia l’impatto. Viene da pensare che la povera Manda sia stata violata lì, in mezzo alla polvere e alla tenebra, terrorizzata, per poi essere abbandonata come quel manichino di plastica.

Ancora più eroica è quindi la figura della ‘Ajji’ del titolo, la nonna che silenziosa, ma implacabile, raccoglie tutte le sue forze per punire il disgustoso stupratore della piccola innocente. Personaggio dalla statura tragica, lei che per credo religioso (è induista) non aveva mai nemmeno toccato un pezzo di carne, imbraccia un coltello, impara da un amico macellaio a fendere le carcasse d’animale, infine porta a termine la propria nemesi con inimmaginabile fermezza. Non c’è nessuna edulcorazione nella sua parabola emotiva, viene delineato solo un iter verista disseminato di corruzione, arroganza e disperazione. I protagonisti potrebbero tranquillamente essere la versione indiana di un dramma żoliano ambientato ai giorni nostri, impossibile è non provare empatia per questi sfortunati che cercano di cavarsela in un mondo iniquo e crudele, quando si abbatte su di loro la sciagura.

La sofferenza di ognuno di loro è palpabile, eppure non si indulge mai nell’eccesso patetico, conferendo così ancor più forza a questo desolante ritratto. Perfetta è dunque la performance di Sushma Deshpande, che senza troppi accessi lacrimevoli riesce a rendere in maniera commovente la tragedia che tocca il suo personaggio; anzi è proprio la scelta di recitare quasi sotto tono a rispecchiare ancor di più tutto l’impatto della costante repressione della donna e dei suoi cari, che sopportano stoici in silenzio ogni vessazione. Non solo, oltre alla tematica di classe, che strisciante, ma con potenza si fa strada lungo il minutaggio, si affianca quella legata alla vessazione femminile, perfettamente personificata sempre dal sessista e animalesco Dhavle.

Se, in conclusione, sin dagli anni ’70 il rape and revenge ha sempre celato dietro alla violenza implicazione e messaggi ben meno immediati e più impegnati, Devashish Makhija con Ajji riesce a replicare addirittura con maggiore forza la critica sociale sottesa al sottogenere, senza tralasciare nulla, nemmeno i dettagli più sgradevoli e scioccanti. Film inconsueto ormai in un panorama piatto all’insegna della censura e del politically correct, indubbiamente scioccherà gli animi più sensibili con il suo realismo poco edificante, ma il suo valore sta proprio nel coraggio di mostrare ciò che troppo spesso è censurato.

Di seguito trovate il trailer ufficiale di Ajji, che potete già trovare nel catalogo italiano di Netflix: