La storia della relazione tra un uomo e un sistema operativo, trattata con delicatezza e disincanto, colpisce al cuore ogni spettatore
Lei (Her, 2013) è l’ultimo lavoro in ordine di tempo dello statunitense Spike Jonze (Essere John Malkovich), vincitore del premio Oscar 2014 per la Miglior sceneggiatura originale, scritta dallo stesso regista. L’idea per il film, girato con un budget di 23 milioni di dollari, era già stata concepita di Jonze agli inizi degli anni 2000, quando aveva letto un articolo riguardo a un sito che permetteva di scambiare messaggi con una Intelligenza Artificiale.
La trama racconta di un futuro non molto distante in cui la tecnologia è parte integrante della vita umana, e dove ognuno può connettersi al proprio computer attraverso piccoli auricolari e dispositivi video tascabili. Il protagonista, Theodore Twombly (Joaquin Phoenix, che si conferma qui come uno dei migliori attori della sua generazione), un uomo introverso, infelice per la recente separazione dalla moglie, lavora come scrittore di lettere per conto di altri.
La sua vita cambia nel momento in cui decide di acquistare un nuovo sistema operativo, chiamato OS1 , basato su un’Intelligenza Artificiale (con la voce di Scarlett Johansson) autocosciente di sè, che si adatta alle esigenze dell’utente, ma soprattutto che è in grado di evolversi attraverso le esperienze che andrà ad affrontare. La storia si sviluppa poi tra brevi avventure, incontri e la loro progressiva affinità e relazione fino al finale struggente e privo di finto sentimentalismo.
La fantascienza che viene messa in scena non è distopica, schiavizzante o alienante, bensì “calda e accogliente”, disponibile a migliorare la vita di ogni cittadino e assolutamente non invasiva, tuttavia ampiamente sfruttata.
L’impatto di OS1 sul mercato fittizio della pellicola è devastante, come ci si potrebbe aspettare se venisse lanciato sul mercato reale: l’individuo, ormai solo e disilluso, che ha perso le speranze di comprendere e essere compreso, può solo trovare rifugio in qualcuno che lo sappia ascoltare. Tutto questo si ricollega all’amore e alla sua indescrivibilità e indefinibilità.
Mentre Theodore prima tenta di evitare la solitudine attraverso metodi ben poco remunerativi a livello sentimentale, ovvero chatroom e sesso telefonico con sconosciute, all’arrivo dell’A.I., che chiama Samantha (nome che si è data lei stessa), si sente fin da subito coinvolto nella relazione e i momenti dove tra i due sboccia la complicità vengono mostrati con morbidezza d’intenti. La volontà dell’entità virtuale di avere un corpo reale, per assaporare ogni senso in piena coscienza, non è osteggiata dallo scrittore ma non è neanche appoggiata fino in fondo.
Ciò testimonia il fascino ipnotico di una voce sintetica quasi divina, che proviene da un luogo altro, inafferrabile e insondabile, fattore che poi nel finale esploderà in tutta la sua potenza. La qualità, oltre che nei temi, si può rilevare anche a livello tecnico, dove tutte le caratteristiche fondamentali si legano l’un l’altra.
La scenografia è fantastica: girata tra Los Angeles e Shanghai, la pellicola porta in scena strade e palazzi armonicamente integrati, in quel connubio quasi utopico tra urbanistica, architettura e design, dei quali gli ultimi due si riflettono poi ulteriormente negli interni. Elemento che risalta in primo luogo sul posto di lavoro di Theodore è la profondità di campo. In quell’ambiente la proporzione e l’equilibrio regnano e, grazie ai quadri costruiti con mano sapiente da Jonze, si possono notare particolari e dettagli, come un disegno di un bambino sul muro, una poltrona rossa in fondo al corridoio o gli oggetti sopra le scrivanie.
La giacca rossa che indossa il povero Twombly è simbolo di questa condizione esistenziale, in un mondo dove i colori tenui la fanno da padrone, e quando il suo amore sarà successivamente corrisposto cambieranno anche le tonalità dei suoi vestiti (da apprezzare anche il contrasto che si crea tra una tecnologia futuristica e ambientazioni e costumi che arrivano direttamente dagli anni ’50/’60). Inoltre, la colonna sonora, composta dagli Arcade Fire e da Owen Pallett e nominata agli Oscar come Miglior colonna sonora originale, convoglia in maniera esemplare l’umore dei personaggi e di riflesso quello dello spettatore, bilanciando alla perfezione piano e archi.
Il finale, con la scomparsa di tutte le I.A., troppo evolute e ormai lontane dalla percezione umana, mostra per l’ennesima volta come l’uomo si trovi da solo in un mondo pieno di eventi incomprensibili e oltre la sua portata. Questo fattore lo porta a riconsiderare i rapporti con le altre persone e le ultime scene, come la lettera di Theodore, in cui si scusa, alla ex moglie e l’osservazione serena delle luci dei grattacieli con Amy, confermano un ritorno ai propri più spontanei sentimenti in vista di un venire ignoto.
Di seguito il trailer di Lei: