Donald Sutherland è protagonista di un horror criptico che perfettamente traduce la raffinatezza visiva e narrativa della cinematografia anni '70
Singolare e nichilista, A Venezia… un dicembre rosso shocking (Don’t Look Now, 1973) di Nicolas Roeg è una di quelle pellicole fosche e meditative tipicamente anni ’70, assimilabile per molti versi a titoli successivi quali Audrey Rose (1977) di Robert Wise o L’ultima onda (The Last Wave, 1977) di Peter Weir.
Film contraddistinto dalle atmosfere cupe e uggiose di una Venezia densa di ombre, la sua nomea di horror criptico e fascinoso certo non è immotivata. In bilico sin da principio infatti tra la vita e la morte, si apre con un tragico incidente: la piccola Christine Baxter (Sharon Williams) sta giocando in giardino da sola mentre i genitori Laura (Julie Christie) e John (Donald Sutherland) si trovano in casa, quando d’improvviso cade nello stagno della loro villa e muore.
Gli antichi calli, tuttavia, paiono celare terribili misteri, tra cadaveri che emergono nelle acque dei canali e misteriose figure evanescenti che errano sulla terra ferma. Il mistero poi s’infittisce quando, a pranzo in un ristorante, Laura si imbatte in due anziane signore inglesi, una delle due è cieca, ma ha poteri medianici e dichiara di vedere Christine, descrivendone anche alla perfezione l’impermeabile rosso che indossava in quel fatale giorno e rassicurandola sul fatto che ora sua felice.
Se la madre affranta è sollevata dalle parole della sensitiva, John è assai più sospettoso le ordina di non vederla più, ma lei non segue l’avvertimento, innescando così però inconsapevolmente una successione di eventi che porterà a un tragico epilogo.
Molte sono le componenti a rendere A Venezia… un dicembre rosso shocking indimenticabile, ma ciò che forse colpisce più di tutto è quella sensazione di vaghezza, fosca eppure estremamente conturbante, che viene trasmessa nell’ermetica e dilatata narrazione come nelle attente scelte a livello visivo e di montaggio. Da un lato un iniziale apertura drammatica sfuma poi un racconto sospeso tra thriller e horror, tra psicologico e reale, che molto deve al giallo italiano, in particolare ricorda parecchio Chi l’ha vista morire? di Aldo Lado del 1972, anch’esso ambientato a Venezia.
Così alcune sequenze hanno del surreale, quasi premonizioni sinistre o allucinazioni, come l’immagine di Laura, scorta dal marito da lontano, sulla prua di una barca tutta vestita di nero che fissa immobile l’orizzonte affiancata dalle due donne appena conosciute.
Sembra quasi una visione, ancor più sapendo che in quel momento avrebbe dovuto trovarsi dal figlio in Inghilterra. Raffinato gioco di specchi, tra riflessi ed echi di vivi e di morti, l’horror confonde volutamente chi guarda con una serie di indizi controversi, che lo conducono, insieme a uno spaesato John, a inseguire solo miraggi, o forse qualcosa di assai più sinistro e inevitabile.
Così viene costruito in un crescendo un senso di angoscia, di pericolo, del quale tuttavia è celata la vera origine mentre s’insegue uno spettro dalle parvenze mendaci in uno straniante percorso tra labirintici vicoli bui, in cui è semplice smarrirsi. Figure secondarie, quali le due donne, il vescovo, o il commissario di polizia s’ammantano quindi d’un aurea arcana e in qualche modo minacciosa, tasselli di un indecifrabile mosaico.
Le scelte formali traducono dunque perfettamente l’essenza della trama, soprattutto per ciò che concerne la componente cromatica e chiaroscurale, tra luci soffuse, semi-ombre e i panorami veneziani inquadrati nelle ore serali e tendenti ai toni del grigio dei vicoli, degli edifici di pietra, del ciottolato, perfino dei riflessi della luce lunare e artificiale nelle scure acque lagunari che per contrasto fanno risaltare ancor più i rossi che compaiono repentinamente in alcuni dettagli, indumenti, candele, o fiori e rimandano ai fantasmi del passato (all’indumento della bambina).
Ovviamente tale colore è immediatamente collegabile anche il sangue che è scorso, scorre e scorrerà. Si tratta di paralleli cromatici con valore all’interno di un iter di significazione assai più complesso, pieno di rimandi a ogni livello del filmico, perfino al montaggio con i suoi jump cut e le sue dissolvenze, oppure nella traccia sonora fatta di indefiniti rumori di fondo. Tutto concorre a indurre nel pubblico un senso di alienazione, in cui ogni aspetto della realtà, ogni personaggio rimanda a suo enigmatico doppio.
Se taluni tra i moderni spettatori in ultimo potrebbero tacciare l’horror di Nicolas Roeg della gratuità di alcuni eccentrici passaggi, di alcune suggestioni, tutto invero confluisce a creare il complessivo senso di arcano, quella felice tensione che domina A Venezia… un dicembre rosso shocking, della sua unicità.
Di seguito trovate il trailer: