Nel 1983 l'attore riportava al cinema per la quarta volta Harry Callaghan, in un capitolo decisamente violento ma anche prevedibile
Di lui, un giorno, Sergio Leone disse, non senza una punta di malizia: “Clint Eastwood? È bravo, peccato che conosca due sole espressioni: con cappello e senza cappello”. La battuta è entrata nella storia, ma già nel 1983 non corrispondeva al vero. Perché nella sua già lunga e curiosa carriera fino a lì, il gringo per antonomasia dello ‘spaghetti western’ aveva fatto un po’ di tutto: aveva diretto film come Brivido della notte e la love story Breezy, aveva offerto l’occasione del debutto a un cineasta come Michael Cimino, si era preso sufficientemente in giro in Bronco Billy e nella serie sul pugile Philo Beddoe e un paio di anni prima aveva scommesso molto di sé in una struggente ballata country ambientata negli anni della Grande Depressione, Honkytonk Man, che la Warner Bros. non si era nemmeno degnata di distribuire in Europa dopo il tonfo al botteghino americano.
Era – è – un fatto, però, che l’autore raccogliesse in sé diverse, contraddittorie ‘anime’: da un lato un orientamento politico filo-reaganiano (sempre contestualizzandolo rispetto al film in questione, spesso parafascista, nostalgico della ‘guerra fredda’; dall’altro, invece, una matrice popolare (è cresciuto in un ambiente molto povero nella Sacramento Valley), che lo porta a essere quasi simbolo di quella America di vagabondi, di straccioni, di diseredati che pulsa(va) ancora sotto la brace del ‘sogno americano’. La qualità delle sue opere dipendeva, appunto, dall’ ‘anima’ che di volta in volta prendeva il sopravvento.
Così, non faceva eccezione alla regola Coraggio … fatti ammazzare (Sudden impact), titolo che riportava in servizio a sette anni di distanza da Cielo dì piombo, ispettore Callaghan il celebre super sbirro con licenza di uccidere. Dopo il summenzionato disastro di Honkytonk Man, Clint Eastwood doveva aver avuto bisogno di soldi facili, e ‘Dirty Harry’ gli sarà parso sicuramente il modo più veloce per ritornare subito in carreggiata. Detto fatto: di colpo questo Callaghan 4 – costato 22 milioni di dollari – era balzato in testa alle classifiche (alla fine avrebbe racimolato oltre 120 milioni nel mondo). Ergo: per il pubblico americano, e non solo, Clint Eastwood era sempre – e solo? – Harry Callaghan, proprio come Sean Connery era indissolubilmente James Bond.
Il risultato dell’operazione-recupero risulta, però, abbastanza ingiudicabile, visto che Coraggio … fatti ammazzare è una miscela grottesca di tutti gli stereotipi callaghaniani. Più precisamente, il Callaghan versione 1983 è puro comportamento. Spennacchiato e ormai ultra cinquantenne, Clint Eastwood – regista, protagonista e produttore – ripete qui a memoria le battute di un tempo (“Ho le mani legate mentre questo lercio mondo ci rotola addosso”), impugna la legge e la Smith & Wesson come solo lui sa, si fa mandare in licenza perché la stampa parla male dei suoi metodi antigarantisti, fa colazione al solito pidocchioso snak bar. Due sole le varianti: una nuova micidiale pistola (una 44 Magnum automatica), che tira fuori per le ‘grandi occasioni’ e un’ambientazione notturna, pesante, ossessiva, che disumanizza ulteriormente i personaggi fino a renderli mere sagome da tiro al bersaglio.
Il Callaghan degli anni Settanta, ambiguo ma intrigante aggiornamento del poliziotto che si imbarbarisce di pari passo con la società circostante senza perdere tuttavia l’antica morale, in Coraggio … fatti ammazzare non esiste più. Questo che vediamo ora cammina come fosse uscito dal Gabinetto del dottor Caligari, caricato da una molla invisibile. Non si fa nemmeno più il tifo per lui, si aspetta solo che tiri il grilletto per vedere l’effetto che fa. Non un grande segnale per Clint Eastwood, ultimo uomo del West in esilio tra i blocchi di cemento, che sarebbe comunque tornato nel ruolo – ma non in regia – per Scommessa con la morte nel 1988, ultimo mesto capitolo della saga.
Di seguito la scena finale di Coraggio … fatti ammazzare: