Tra scandali per nudità esibite in modo eccessivo e critiche pungenti, il film d'esordio di Eva Green con gli anni è diventato un piccolo cult e una guida per cinefili insaziabili.
Inutile negare. Chi ama guardare film, ama andare al cinema. Il rito che ne concerne raccoglie dentro di sé una serie di gesti che si presentano piacevoli nella loro ripetizione. Il luogo dove si attua la visione di un film è una sala con un grande schermo. L’attesa, comprare il biglietto, sedersi comodamente (si spera) su una poltrona e, perché no, guardare i trailer antecedenti al film interessato sono tutte fasi che nonostante si ripetano, fanno sentire bene l’amatore appassionato. L’atto dopo annulla l’attesa. La crescita durante la visione diventa esponenziale fino a spegnersi, lo spettacolo è concluso. La connessione tra il regista e lo spettatore è un anello in comune: entrambe le parti sono voyeur. Bernardo Bertolucci (Il Conformista, Ultimo Tango a Parigi, Novecento) con The Dreamers – I Sognatori (2003) vuole essenzialmente dimostrare questo. Il Cinema è la nostra tana al buio, dove volti nascosti nell’oscurità possono spiare morbosamente i protagonisti raccontati e descritti sul grande schermo.
Con questo lavoro, Bernardo Bertolucci fa un discorso proficuo verso il concetto di feticismo dell’immagine, non tanto con l’utilizzo delle parole, quanto con la strumentalizzazione dardeggiante di continue immagini provocanti con il ricorso di scene famose tratte da altri film. Corpi liberi e serafici che si muovono per la casa non-curanti dall’essere spiati. Insieme a questo, The Dreamers – I Sognatori è un inno sincero e beffardo al cinema.
Un manifesto pubblico, collettivo, gridato a squarcia gola senza limite alcuno. Esso potrebbe accostarsi al concetto di metacinema. Non a livelli di François Truffaut col suo Effetto Notte (1973), ma imponendo all’interno della pellicola scene famose di opere che si mescolano con la vita quotidiana dei protagonisti, scene che al tempo stesso proiettano al di fuori della propria mente ciò che i personaggi sentono o hanno voglia di vivere.
La prima sequenza scandita dalla voce narrante di Matthew mostra una saletta cinematografica che proietta Il corridoio della paura (Samuel Fuller, 1963), ma le citazioni sono platealmente intersecate con le scelte e le azioni dei tre giovani. Dalla citazione a Bande à Part (Jean-Luc Godard, 1964) dove Isabelle, Theo e Matthew addirittura riescono a battere il record di corsa all’interno del museo del Louvre dettato dal film-manifesto della Nouvelle Vague. Il regista parmigiano si sofferma come fece il cineasta francese sul Giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David.
Non contento, ma sempre più affamato, nell’attimo dopo cita magistralmente un altro capolavoro. Uniti nella grande sfida superata e conquistata i due fratelli vittoriosi gridano riferiti all’americano “LO ACCETTIAMO, E’ UNO DI NOI, E’ UNO DI NOI”, omaggiando deliziosamente Freaks (Tod Browning, 1932). Nel film gli omaggi sono continui e mai fastidiosi. E’ come essere all’interno di un club cinefilo, dove affamati di pellicole di ogni tipo, i titoli possono essere smistati in un calderone succulento. La curiosità vibrante anima i partecipanti rendendoli sempre più famelici verso pellicole belle, brutte, noiose o folgoranti.
C’è tanta realtà nel cinema, ma la sua bellezza sta nel superarla. Non è affatto un rapporto ambivalente, si può rubare al cinema gesti cinematografici (fondamentali) e renderli propri professando in maniera divertente citazioni che non tutti conoscono. Un po’ quello che fanno continuamente Theo e Isabelle. Ed è così che senza troppi giri di parole, tra confronti, citazioni e scene spinte (spesso non necessarie, ma divertenti perché un corpo nudo è libero) The Dreamers – I Sognatori ci sbatte su un piatto d’argento un ménage a trois. E’ chiaro fin da subito che Matthew non sarà mai allo stesso livello emotivo di Theo e Isabelle, lui è e rimarrà sempre un estraneo nel loro mondo contorto, seppur spesso si abbia l’illusione del contrario.
Ha un colpo di fulmine nei confronti di Isabelle. E’ attratto dalla splendida giovane parigina, ma mai si erge nei suoi confronti in modo libero e coraggioso. Rimane a osservarla basito e affascinato dall’atteggiamento ambiguo e un po’ sadico della ragazza. E’ vero, a un certo punto la posta in gioco si alza e i due si uniscono in un rapporto fisico sessuale dal retrogusto sentimentale. Questo avviene perché è Theo a volerlo, è lui ad alzare l’asticella del rischio. Strumentalizza le continue sfide con la sorella e quasi sembra vendicarsi contro di lei per l’umiliazione subìta qualche giorno prima (una masturbazione sotto gli occhi di Matthew e di Isabelle davanti a un’immagine di Marlene Dietrich). Nasce così una storia d’amore ambigua e surreale.
Matthew ama Isabelle e forse anche Isabelle lo ama; ma il rapporto di amicizia a tre non può che elevarsi a un triangolo amoroso ancorato dalle leggi dei due fratelli che con atteggiamenti infantili non riescono ad avere un approcci maturi verso rapporti comunemente considerati “normali”. Matthew prova a connettersi con Isabelle. Prova a creare un legame. Andare oltre alle leggi imposte all’interno della casa. Ma la casa, l’appartamento, le regole e la corazza di difesa che questa crea rispetto alla situazione esterna del mondo sono troppo forti.
Il secondo elemento che ricorda i film del 1972 è anche il triangolo amoroso. Non tanto il rapporto che unisce Jeanne al fidanzato fuori, quanto Paul alla sua amata moglie suicida (presente sotto forma di cadavere all’interno dell’hotel), ma in un certo senso è la sua figura evanescente a essere sempre presente. Paul ne è ancora innamorato.
Alterna le sue giornate con Jeanne, ma al tempo stesso continua a fare platonicamente l’amore con la sua amata. Nell’ultimo confronto la denigra, ma distrutto da una perdita così profonda, fatica a non vomitare rabbia. Così, quando il mondo si apre a loro, Jeanne e Paul si perdono. E quando il mondo violento e di protesta si apre a Theo, Metthew e Isabelle non solo li divide, ma li distrugge.
Isabelle ricorda moltissimo Jeanne. Una polifonia di sentimenti. Due creature puerili che cambiano quasi istericamente stato d’animo. Spesso il regista ritrae così le sue donne del cinema (anche Sandra Ricciarelli nel conformista ha caratteristiche simili, pur rimanendo un personaggio di sfondo). Isabelle ha una dipendenza affettiva nei confronti di Theo. Il loro rapporto ambiguo e mai palesato ci disturba e al tempo stesso ci attrae.
L’incesto, che è un argomento difficile da trattare, è lo stesso di Jeanne nei confronti del padre. Lei rivede in Paul una figura paterna con cui può esplodere in fremiti sessuali mai proibiti. Forse è proprio Isabelle che ricorda una dea (la Venere di Milo non è una citazione casuale) a tenere legate le redini del gioco. E come ogni divinità invidia i sentimenti umani e semplici degli uomini ma non riesce ad omologarsi ad essi. Con una tensione raccontata sapientemente, questa giovane donna non esplode mai in parossismi acuti. Le sue reazioni più dolorose (quando scopre e realizza che il fratello amato sta facendo l’amore con un’altra donna) rimangono timidamente sommesse. Soffocata da sentimenti che nemmeno lei riesce a dimostrare.
Un caos interno che si cela a noi con atteggiamenti ritrosi. Tutto questo sparisce, avviene così un’eccezione nell’atto finale: realizzando di essere stata vista nuda dai genitori (tornati per pochissimi minuti in scena, per staccare semplicemente un assegno da dare ai figli) insieme al fratello e a Metthew in una posizione che ben poco lascia all’immaginazione, Isabelle scoppia in un parossismo che altro non è un suicidio di gruppo. E’ lei a decidere, senza chiedere ed è sempre lei a metterlo in atto in poco tempo.
I tre si ritrovano nel mezzo di una protesta contro le forze della polizia. I due fratelli perdono la bussola: non sanno come comportarsi e si lasciano trascinare dagli eventi. Matthew con la sua indole matura ha la capacità e la prontezza di scegliere e di capire che lo spettacolo dinanzi a loro è sbagliato, uno spettacolo che cozza contro l’utopica illusione della pace e dall’armonia che per tutta la durata del film Theo ha continuamente professato. Il finale è breve. Il cineasta non perde troppo tempo nel spiegarci il susseguirsi degli eventi.
Ha un retrogusto amaro. Abbandoniamo così l’idillio raccontato fino a quel momento. Il piccolo Olimpo (l’appartamento) creato da Isabelle si dissolve dinanzi alla brutalità del reale. La dea diventa finalmente umana, riesce a omologarsi per seguire l’amore della sua vita. Si trasforma in guerriera, non per un ideale di pace ed equilibrio, ma complice di una violenza finalizzata alla rivoluzione del sistema. E così ci ricordiamo delle parole di Theo durante un dibattito con Matthew: “Libri non armi, cultura, non violenza!”. L’incoerenza padrona delle azioni e dei sentimenti umani. L’armonia non esiste.
Nessuna barricata costruita con dedizione sarà abbastanza forte da difenderci. L’illusione effimera di essere immuni al mondo andrà inevitabilmente a regredire. Bernardo Bertolucci ci prende in giro. Ribalta le carte in tavola; e ancora oggi qualcuno parla di The Dreamers ricordando i corpi nudi e la sfrontatezza con cui vengono strumentalizzati. Eppure, c’è un oltre molto più profondo, raccontato in pochi minuti. Un oltre affascinante e forse un po’ spaventoso.
Il sogno non esiste.
Di seguito il trailer di The Dreamers: