Prendiamo spunto dalla polemica nata all'ultimo Festival di Cannes, dove gli organizzatori e il Presidente di Giuria Pedro Almodóvar hanno espresso pareri suscettibili di contestazione nei confronti di Netflix, per discutere sul mutamento della fruizione dei film
Ha fatto certo piuttosto clamore qualche settimana fa la duplice uscita degli organizzatori del Festival del Cinema di Cannes e del Presidente della Giuria Pedro Almodóvar in merito alla legittimità di vedere in concorso film prodotti da uno studio ‘insolito’ come Netflix (Okja di Bong Joon-Ho’s e The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach). Nello specifico, il Festival ha sottolineato che dal 2018 potranno competere per il premio più prestigioso soltanto quei film che avranno una distribuzione nelle sale francesi, mentre il regista spagnolo si è spinto oltre, dichiarando: “Io personalmente non concepisco che la Palma d’Oro [debba essere] consegnata a un film che non viene poi visto sul grande schermo […] La dimensione [dello schermo] non dovrebbe essere inferiore a quella della sedia su cui sei seduto. Non dovrebbe essere parte del tuo quotidiano. Devi sentirti piccolo e umile davanti alle immagini che vedi. […] Tutto ciò non significa che non sono aperto o contento per le nuove tecnologie e per le opportunità, ma [finché] vivrò, mi batterò per la capacità del grande schermo di ipnotizzare lo spettatore”.
A difendere il colosso dello streaming ci ha pensato l’altro giurato Will Smith: “Ho tre ragazzi di 16, 18 e 24 anni a casa. Vanno al cinema due volte alla settimana e guardano Netflix. Non c’è sovrapposizione tra le due cose. […] In casa mia Netflix non è nient’altro che un vantaggio assoluto – guardano film che altrimenti non potrebbero vedere. Ha allargato la comprensione cinematografica globale dei miei figli”.
Abbiamo raccolto i pareri di alcuni nostri collaboratori in merito alla spinosa questione:
Quando una dinamica è più grande della somma delle persone che coinvolge ricercare il colpevole è una perdita di tempo e l’unica triste opzione è prenderne atto. I dati parlano chiaro e lo fanno in quasi tutte le parti del mondo: la gente va al cinema sempre meno, è un trend continuo, costante, apparentemente ineluttabile. Sono numeri, non sensazioni. Lievi inversioni di rotta si hanno solo in concomitanza di grandi eventi globali, totalizzanti, film che vanno oltre loro stessi diventando fenomeni popolari, di fatto gonfiando gli incassi globali e fornendo l’illusoria sensazione che tutto possa andar bene. Ad Hollywood e non solo hanno in realtà intercettato questo fattore con estrema lucidità e hanno deciso di serializzarlo, proponendo una miriade di film evento che potessero calamitare attenzioni, passioni e isterie, sfruttando i potenti mezzi tecnologici cui solo una sala cinematografica, a cui nel frattempo è stato offerto un trattamento steroideo ed ipertrofico, può dare vero sfogo. Così facendo però le sale sono state saturate dai film evento, gli unici in grado di reggere la baracca, a scapito dei film “normali”, destinati a spazi sempre più piccoli, quasi inesistenti, localizzati esclusivamente in metropoli e grandi centri, quasi del tutto esclusa la provincia, intesa in senso globale non nazionale, intesa come Tennessee, come Oklahoma, non solo come Frosinone.
I servizi di streaming a pagamento, gli store di materiale digitale, in generale l’home video, per me che non ho facoltà di scelta e per molti altri che ce l’avrebbero ma i cui costumi sono mutati e a loro sta bene così, non sono altro che un nuovo spacciatore che ha ucciso o temporaneamente steso quello vecchio ed è qui a vendere la stessa droga di prima ma che ogni tanto entra in laboratorio per provare a propormi una roba che quello di prima aveva smesso di fare (Amazon) o una robina innocua ma stuzzicante che quello di prima non trattava perché non gli conveniva (Netflix) o della roba forte che in pochi hanno il coraggio di provare figurarsi di vendere (Shudder) o della roba vecchia rimessa a nuovo che stende tutti (Film Struck\Criterion). Io sono drogato, devo farmi e smettere non è un’opzione, se avete alternative fatemi sapere.
ANDREA AMORETTI: Alla fine stiamo passando per un periodo di transizione. Netflix andrebbe forse regolata, ma è la Zara del cinema: è Fast & Furious con anche dei contenuti. Produce molto di più rispetto ad altre case di produzione, ma abbassa i salari e crea un mondo dove il valore per sé dell’arte si riduce a un’opera puramente – o quasi – commerciale in senso stretto. Per quanto il film sia fantastico, ce ne si dimentica facilmente perchè ce n’è subito un altro da vedere. Per quanto riguarda la polemica sul film visto solo sullo schermo grande, è una polemica futile: meglio lo schermo piccolo che nulla. Molti possono ora accedere alle produzioni anche da un cellulare, mentre prima se non avevi un cinema in città o non avevi i soldi per il biglietto, non vedevi proprio nulla. Non dimentichiamo poi la questione culturale: tutti ne parlano (di Netflix) quindi tutti vogliono farne parte, avere l’abbonamento. Meglio così, perchè in questo modo diffondi cultura. Per chi ama il cinema ‘vero’, fatto per il grande schermo, con le poltrone, i rituali, le serate piovose, il vino e tutta la liturgia che stimola l’intellettuale che è in noi, nessuno glielo leva. Rimane forte la domanda di cinema fatto così, quindi alla fine credo che l’unica cosa da notare è che gli addetti al settore stanno rischiando di lavorare sempre di più e per meno soldi, ecco perchè si lamentano dello star perdendo un po’ del loro status e della loro aurea.
Arriva Internet, si diffonde e ormai da anni la gente i film se li guarda sullo schermo di un computer, scaricandoli più o meno legalmente o tramite abbonamenti a canali streaming, qualcuno dei quali ormai di fama e potenza mondiale. E’ il progresso, penso, e ormai il il film “non destinato alle sale cinematografiche” è semplicemente pensato, creato e formattato pensando direttamente allo schermo di un computer o di un cellulare. E’ il progresso. Anzi c’è un certo orgoglio nello sbandierare come tale film o serie TV sia destinata esclusivamente alla diffusione online piuttosto che ad una (inesistente) sala cinematografica. Si è ribaltato tutto quanto pensavo negli anni ’90 sulla qualità di un film e della sua etichettatura.
E mi piace osservare questa gente: ognuno col suo apparecchio: quello che guarda chissà cosa e ride come uno scemo da solo, quello col volto un po’ più preoccupato, quello col volto impassibile. Ma tutti, tutti, tutti chiusi nel loro mondo che si limita al proprio io e al proprio apparecchio. Centinaia, migliaia di esistenze assolutamente isolate ed atomizzate l’un l’altra. Mi piacerebbe vedere che ne so, basterebbe poco, un tipo con un iPhone e una piccola folla di 4-5 persone tutto attorno che ammirano insieme quello che si vede sullo schermo: un film o una cazzata video qualsiasi. No. Lo stesso per i miei studenti: ventenni con pochissimi amici veri, tutti chiusi in casa nel loro tempo libero a guardarsi film o giocare da soli. Facevano forca da scuola per andare a chattare con l’amico seduti in un qualsiasi Internet Point. O vedersi film, tutti da soli, mentre quello accanto, un completo sconosciuto che neanche saluti e neanche lui ti caca di striscio, si fa il suo giochino o si guarda il suo film.
E quindi, da un lato, ben vengano i canali di diffusione alternativa: prima erano le vecchie VHS con su scritto “prodotto non destinato alle sale cinematografiche”, poi i DVD, poi i canali satellitari tematici o specialistici, ora Netflix et similia. Ma forse poche di queste piattaforme online si sono accorte di aver atomizzato la società, di averla ridotta veramente ad una massa slegata di singoli individui che ormai interagiscono sempre meno tra loro e sempre piu con il loro proprio dispositivo solamente. Forse questa cosa è ancora poco evidente in Europa e in Italia, ma laddove della tecnologia e della novità tecnologica si vive e si respira 24 ore su 24 come in Asia, ormai quello che ai governanti piace tanto è stato realizzato: distruggere i legami sociali veri. Ridurre l’uomo ad un mero rapporto con solo il suo dispositivo. Guardatevi un filmetto sul cellulare e fate i buoni. E allora si, Almodovar ha pienamente ragione nel dire che cinema e Netflix son due strade completamente opposte. Perchè il cinema, nella visione classica di Almodovar è anche socialità, aggregazione, incontro, società. Netflix è tutto il suo opposto: non solo dal punto di vista estetico o di formato. Ma come concetto filosofico, morale, sociale, comunicativo. Forse al cinema di Chiesanuova hanno ancora i coltelli che ci sequestrarono quando si andò a vedere Ace Ventura: c’erano i Cannibal Corpse che apparivano per una manciata di secondi. Solo per quello ci eravamo mossi in quindici, ognuno armato di tutto punto, perchè nei momenti morti del film potevamo tirare di cerbottana, sputare le gomme nei capelli degli spettatori o incidere bischerate sulle sedie. Ci divertivamo, a vedere il film e andarlo a vedere. E a distanza di anni ci ricordiamo ancora di come erano belle queste giornate insieme.
Commentarne il contenuto è impossibile se non si tiene conto di questa voglia di ribalderia, di cui fa prova anche l’ironia utilizzata (“non si può vedere un film su uno schermo più piccolo della seggiola”). Secondo lui un film non destinato alla sala non dovrebbe concorrere alla Palma d’Oro. Innanzitutto bisognerebbe dire che la competizione si addice allo sport, dove i criteri di valutazione sono oggettivi, ma non alle opere d’arte, che vengono premiate in base alle opinioni personali dei giurati, spesso non condivise da nessuno oppure debitrici di ragionamenti politicamente corretti. Una volta ridimensionato il valore di tali premi, si tratta di stabilire se un Festival debba intendersi vincolato al cinema come è stato sempre inteso, oppure debba aprirsi alle novità del momento (per esempio accogliendo anche le serie televisive). In relazione al discorso sulla distribuzione, Almodovar ha sposato il primo ragionamento, senza per questo demonizzare i nuovi strumenti, ma auspicando che affianchino e non sostituiscano le uscite in sala.
Dopo il “dove” ora tocca al “come”. Netflix è soltanto il primo ad averlo capito e ad essersi inventato un’idea per cavalcare l’onda del momento, investendo denaro per produrre film e distribuirli secondo le nuove abitudini. E’ la conseguenza e non la causa, da ricercarsi nel tempo che inevitabilmente passa e porta con sé costumi nuovi. Presto la rivoluzione travolgerà anche il “cosa”, perché se cambiano le dimensioni dello schermo e il contesto della visione, prima o poi cambieranno anche i film, dunque il concetto di cinema per come oggi viene inteso, e forse i festival tradizionali scompariranno (dando così ragione ad Almodovar) per essere sostituiti da altri inventati alla bisogna. Il cinema è nato dalla fotografia, arte che a sua volta aveva soppiantato, nel suo scopo di conservazione a futura memoria, la pittura.
Quest’ultima ha avuto bisogno di secoli per compiere il proprio percorso ed esaurire gli argomenti: la ricerca di un realismo sempre maggiore, gli studi sulla prospettiva e sulla luce, le opere dei grandi maestri, poi le impressioni soggettive degli artisti fino ad arrivare all’arte concettuale. Alla fine, preso atto che questa forma d’arte non consentiva più nulla di nuovo, Lucio Fontana tagliò la tela, alla metaforica ricerca di qualcos’altro dietro. Il cinema ha avuto il suo corso nel Novecento, secolo della velocità, e dunque gli sono bastati un centinaio d’anni per esaurire gli argomenti: i generi sono stati esplorati e le storie sono state raccontate. Quasi ogni film di oggi può farne venire in mente un altro del passato, spesso migliore. L’unica possibilità che avrebbe di perpetuarsi all’infinito è che i nuovi spettatori non guardino i vecchi film ma soltanto le ultime uscite, in modo da non percepirne l’effetto di deja vu. Rimuovere i grandi maestri del passato sarebbe però soltanto un modo diverso, forse più atroce, di morire. In caso contrario sarà possibile soltanto un’innovazione di tipo tecnologico, già cominciata da tempo, che a lungo andare finirà con l’azzerare il valore artistico. Anche il cinema è dunque destinato ad imbattersi nel suo Fontana, che squarci definitivamente, alla ricerca di qualcosa di nuovo, uno schermo che già mostra qualche crepa. E’ il progresso Pedro, e tu non puoi farci niente. Ma lui, in controtendenza, ha ugualmente tentato di mettere un romantico cerotto, per celebrare un’arte nata per far sognare la gente e che, a tale scopo, aveva bisogno di un grande schermo per far sentire piccolo lo spettatore al cospetto di attori, paesaggi ed effetti speciali. In qualità di novello Don Chisciotte, si merita la più totale simpatia e solidarietà.
GIANLUIGI PERRONE: La questione di Cannes e Netflix è solo ufficialmente legata all’uscita in sala francese. La verità è un’altra. Tra le regole del Festival c’è una finestra di 36 mesi (!!!) per la distribuzione, ovvero, se un film è in concorso dovrebbe attendere un sacco di tempo prima di essere diffuso, il che è assurdo, considerando la velocità con cui cambiano i trend adesso. L’atteggiamento di Cannes è un po’ come quello di un anziano che si ostina a non voler usare il cellulare. In più la rottura hollywoodiana (includo anche la mancata anteprima di Twin Peaks) la dice lunga su come la pensino a Santa Monica dell’EFM. Per come è impostato, non crea più movimento di denaro sufficiente, e per gli americani è out, come è out il World Cinema, come lo chiamano loro, che è fondamentalmente ciò che produce Cannes, tanto è vero che non c’erano blockbuster sulla Croisette. Out è anche il cinema in sè davanti alla serialità. Per non parlare del VR …