Categories: Horror & Thriller

“Non c’è mai niente da guardare”: perché ci lamentiamo delle piattaforme di streaming (e qual è il vero segreto per usarle bene)

C'è un modo per contrastare la 'streaming fatigue'

Ogni mese milioni di utenti in tutto il mondo aprono la schermata iniziale di Netflix, Prime Video, Disney+ o Now e, dopo pochi minuti di scroll compulsivo, pronunciano la frase più comune dell’era digitale: “Non c’è niente da guardare.”

Un paradosso, se si pensa che le piattaforme di streaming oggi offrono migliaia di titoli, centinaia di nuove uscite al mese e un accesso immediato a quasi un secolo di cultura audiovisiva. Eppure, la sensazione di “vuoto” non smette di crescere. Ma il problema non è nei cataloghi – è nel nostro modo di abbonarci.

Il paradosso dell’abbondanza

Secondo una ricerca condotta dal New York Post, l’utente medio spende oltre 110 ore all’anno solo cercando qualcosa da guardare. Una perdita di tempo quasi grottesca in un mondo dove l’intrattenimento è onnipresente. Brandwatch, in uno studio parallelo, ha scoperto che l’88% delle conversazioni negative online sulle piattaforme di streaming non riguarda la qualità dei contenuti, ma il modello di abbonamento: costi percepiti come eccessivi, troppa frammentazione, poco valore reale.

Il risultato? Una stanchezza diffusa. La cosiddetta streaming fatigue – “fatica da streaming” – è diventata un fenomeno sociale: più offerta abbiamo, meno soddisfatti siamo. È l’effetto del supermercato digitale dove tutto è accessibile, ma niente sembra davvero indispensabile.

In Italia il problema è amplificato

Nel nostro Paese, secondo Corriere Comunicazioni, gli italiani spendono in media 600 euro l’anno in abbonamenti digitali (video, musica, e-book). Ma uno su tre paga servizi che non utilizza. Lo conferma anche un’analisi dell’Osservatorio OTT di EY: un abbonato su cinque disattiva periodicamente una piattaforma per poi riattivarla, segno che la rotazione è già in atto, anche se in modo inconsapevole.

Parallelamente, l’AGCOM segnala che, pur con un aumento del numero di abbonati (+15,5 milioni nel 2024), il tempo medio di visione è diminuito del 5,3%. Insomma: guardiamo di meno, ma paghiamo di più.

Il “segreto” di chi non si lamenta mai

C’è però un piccolo gruppo di utenti – sempre più numeroso – che sembra immune da queste lamentele. Non perché ami tutto ciò che trova, ma perché ha cambiato il modo di abbonarsi.

È la strategia del cosiddetto abbonamento a rotazione (subscription rotation), ormai popolare tra i consumatori più consapevoli e suggerita da numerosi siti di finanza personale e tech come Cannettel, Red94 e Wired US.

L’idea è semplice:

– ti abboni a una piattaforma solo per il periodo in cui sai di volerla usare (per esempio, il mese di uscita di una serie o film che ti interessa), poi disdici e passi a un’altra.

Così si alternano Netflix, Disney+, Prime Video, Now o Apple TV+ mese per mese, riducendo drasticamente i costi senza rinunciare a nulla. Una ricerca canadese del 2025 ha calcolato che chi adotta questa strategia spende circa la metà (35 $ contro 69 $ mensili) rispetto a chi mantiene attive più piattaforme tutto l’anno.

Perché funziona davvero

1) Riduce la fatica da scelta
Con una sola piattaforma attiva, la mente si concentra: meno opzioni equivalgono a meno stress e più piacere nella visione.
È lo stesso principio psicologico che spiega perché una gelateria con 5 gusti è più appagante di una con 50.

2) Aumenta la percezione di valore
Pagare un servizio solo quando lo si usa lo rende “prezioso”. Ogni titolo visto sembra meritato, e non “consumato per riempire il tempo”.

3) Restituisce controllo
Invece di subire l’algoritmo e le logiche delle piattaforme, si sceglie quando e perché attivare un abbonamento.
In pratica, si smette di essere “utenti passivi” e si torna “spettatori attivi”.

4) Taglia i costi invisibili
Un mese qua e là, anche a 8-10 euro, non pesa. Ma mantenere cinque abbonamenti attivi tutto l’anno supera facilmente i 500 euro: quasi un affitto per una stanza universitaria.

Il ruolo (e il rischio) dell’algoritmo

Uno dei motivi per cui molti utenti “sentono” che non c’è nulla da guardare è che l’algoritmo tende a mostrarti sempre le stesse cose. Rotare le piattaforme, invece, rompe questo circolo vizioso: nuovi ambienti, nuove scelte, nuovi stili di racconto. È come cambiare libreria ogni mese.

L’algoritmo, insomma, è un ottimo servo ma un pessimo padrone. Se lasciamo che decida lui, finiamo per restare nella comfort zone di contenuti “simili a quelli che ci sono piaciuti”. Rotare gli abbonamenti ci obbliga a esplorare – e in un’epoca di sovraccarico digitale, esplorare è l’unico vero lusso rimasto.

Non serve cancellare tutto: serve cambiare mentalità

Disdire non è un atto di protesta, ma di consapevolezza. Abbonarsi e disdire a rotazione non significa “ribellarsi allo streaming”, ma usarlo come uno strumento invece che subirlo come un’abitudine.

Nel 2023 la rivista Wired lo ha definito “il ritorno del controllo dell’utente”: un modello che riequilibra la relazione tra spettatore e piattaforma, evitando l’effetto abbonamento-zombie (quello che paghi ogni mese ma dimentichi di avere).

Conclusione: la libertà di guardare meglio, non di più

Il problema non è che “non c’è niente da guardare”. È che guardiamo nel modo sbagliato: tutto insieme, tutto subito, tutto attivo.
Il vero segreto è la rotazione – una pratica più sostenibile, economica e persino ecologica, perché riduce l’uso di banda e il tempo di permanenza online.

Come in ogni dieta efficace, anche nello streaming vale la stessa regola: non serve mangiare tutto, basta scegliere bene quando e cosa gustare.

Share
Published by
William Maga