Titolo originale: Taxi Driver , uscita: 09-02-1976. Budget: $1,900,000. Regista: Martin Scorsese.
La controversia di Taxi Driver: come il finale ultra-violento di Martin Scorsese sconvolse il pubblico
23/11/2025 news di Stella Delmattino
Nel 1976 Martin Scorsese scosse Cannes, divise la critica e cambiò per sempre il modo di rappresentare la violenza al cinema

Nel dramma urbano di Martin Scorsese del 1976 Taxi Driver, Robert De Niro interpreta Travis Bickle, un veterano instabile e insonne che lavora come tassista nella New York degli anni ’70. Ossessionato da Betsy (Cybill Shepherd), impiegata nella campagna presidenziale, Travis riversa la propria rabbia in una missione di “pulizia morale” della città, decidendo di salvare una prostituta dodicenne, Iris (Jodie Foster).
Il film, cupo ritratto di alienazione post-Vietnam, scosse profondamente la platea del Festival di Cannes 1976: fu fischiato sia alla proiezione che al momento della premiazione con la Palma d’Oro, accompagnata – scrisse l’Hollywood Reporter – da un ammonimento perché «il cinema non diventi una fonte d’odio». La tensione fu tale che, ricordò Jodie Foster, «Marty, Bobby e Harvey [Keitel] rimasero bloccati all’Hotel du Cap, senza uscire quasi mai».
Un finale troppo violento
Nel climax, Travis realizza la sua fantasia da eroe western: fa irruzione nel bordello e uccide a colpi di pistola il pappone di Iris (Keitel), un cliente e un buttafuori. Il sangue schizza ovunque in una sequenza di violenza estrema che lasciò il pubblico «con il volto cenerino» a Cannes, in particolare Tennessee Williams, presidente di giuria, che commentò:
«Guardare la violenza sullo schermo è un’esperienza brutalizzante. I film non dovrebbero trarre piacere voluttuoso dallo spargimento di sangue, come se fossimo al circo romano.»
La MPAA giudicò la scena eccessiva: per evitare un rating X, Scorsese dovette desaturare i colori, attenuando il rosso del sangue. Il risultato lo soddisfece, ma il direttore della fotografia Michael Chapman ammise in seguito di rimpiangere la scelta, poiché la copia originale “a colori pieni” è andata perduta.
Negli anni ’70, con l’aumento di criminalità, terrorismo e casi di serial killer, la sensibilità del pubblico era esasperata. La guerra del Vietnam era appena finita e le immagini di violenza scorrevano ancora ogni sera in TV: per molti spettatori, Taxi Driver fu semplicemente “troppo reale”.
Un assassino trasformato in eroe
Anche l’ambiguità del finale suscitò polemiche. Dopo la sparatoria, Travis, ferito e insanguinato, sembra morire sul divano di Iris. Ma una lettera del padre della ragazza rivela che è sopravvissuto e che la stampa lo celebra come eroe. Secondo Paul Schrader e Scorsese, l’epilogo non è un sogno: Travis vive davvero.
Molti critici reagirono con disagio. Richard Combs scrisse sul Monthly Film Bulletin:
«Il finale, in cui l’eroina ritorna dall’eroe dopo che la sua violenza purificatrice è stata rivelata, è il colpo più debilitante del film.»
Ma Pauline Kael, sul New Yorker, colse il senso autentico dell’opera:
«Il film non emette un giudizio morale su Travis. Ci trascina nel suo vortice, ci fa capire lo sfogo psichico dei ragazzi tranquilli che impazziscono. È uno schiaffo vedere Travis alla fine pacificato: ha espulso la rabbia, almeno per un po’, e torna a lavorare. Non è guarito, è la città a essere più folle di lui.»
Come spiegò Schrader nel commento audio all’edizione DVD, la beatificazione mediatica di Travis nasceva dall’osservazione della cultura americana che glorifica la violenza: l’ispirazione venne dalla copertina di Newsweek dedicata a Sara Jane Moore, la donna che tentò di assassinare il presidente Gerald Ford.
Con la sua crudezza visiva e morale, Taxi Driver fotografò il malessere dell’America degli anni ’70 e lo restituì con una forza che continua ancora oggi a turbare e a risuonare.
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