A Lucca Comics & Games 2025 il sensei ha parlato delle sue ispirazioni cinematografiche e della filosofia che ancora guida la sua arte
Nel corso della sua partecipazione a Lucca Comics & Games 2025, il leggendario sensei Tetsuo Hara ha incontrato la stampa italiana in un momento di grande emozione e riflessione.
Tra aneddoti, ispirazioni e ricordi, l’autore di Hokuto no Ken ha ripercorso la propria carriera, soffermandosi sull’eredità artistica del suo lavoro e sul legame profondo che da oltre quarant’anni lo unisce ai lettori di tutto il mondo. Un dialogo intenso, capace di restituire l’immagine di un maestro che continua a guardare al futuro con la stessa passione degli esordi.
C’è qualche riferimento particolare all’immagine, all’iconografia degli abiti e allo stile dei personaggi a cui lei si è ispirato?
Vidi Mad Max 2 poco prima di iniziare la serializzazione del manga, quando aveva circa vent’anni. In quel periodo avevo anche visto Blade Runner e Star Wars. Tutte queste opere hanno contribuito a ispirarlo e sono state poi adattate e rielaborate nel mondo di Hokuto no Ken.
È vero, Stallone è stato uno dei riferimenti principali per la costruzione del personaggio di Kenshiro. Ma non va dimenticato anche Yūsaku Matsuda, attore giapponese molto ammirato dal sensei. Inoltre, ha sempre apprezzato le fattezze degli attori italiani come Marlon Brando e Robert De Niro: visi forti, decisi, ideali per incarnare l’eroe. In Giappone la rivista Leon pubblica spesso italiani in copertina, perché questa fisionomia è molto ammirata.
L’animazione Disney ha influito in qualche modo sulle sue opere?
Sì. Da bambino guardavo spesso i film della Disney trasmessi in televisione, come Pinocchio e Cenerentola. Credo che, in qualche modo, siano rimasti dentro di me.
C’è stato un momento preciso in cui ha capito che le sue opere avevano toccato il cuore di così tante persone?
Non me lo sarei mai aspettato. Ho iniziato a disegnare manga tra i diciotto e i ventun anni, in una piccola stanza, solo per me stesso. È sorprendente pensare che ciò che creavo su una scrivania potesse raggiungere così tante persone nel mondo. Nel 2013, durante un viaggio in Francia, mi sono reso conto della reazione entusiasta del pubblico verso Hokuto no Ken: un impatto che mi ha profondamente colpito.
Come ha cambiato questa consapevolezza il suo modo di creare?
Intorno ai trent’anni ho iniziato a pensare all’arte in modo diverso. Con Hana no Keiji / Keiji il magnifico ho voluto realizzare qualcosa di autentico, che fosse solo mio. Hokuto no Ken era nato quasi per hobby, senza preoccuparmi troppo del pubblico. Dopo il suo successo, ho capito che dovevo creare opere che fossero prodotti completi, originali, impossibili da confondere con altri. Ho imparato molto dai grandi maestri come Osamu Tezuka e dai mangaka del Tokiwasō, che hanno fatto della collaborazione e dell’originalità la loro forza.
Prima di Hokuto no Ken avevo iniziato con una serializzazione sportiva, Don Chisciotte di ferro, un manga sul motocross che però non ebbe successo. Amavo Bruce Lee e Yūsaku Matsuda e volevo creare un protagonista che unisse le loro caratteristiche. Collaborando con Horie ho compreso che il vero obiettivo era far arrivare il mio manga al pubblico, non semplicemente pubblicarlo. All’inizio sottovalutai la difficoltà di lavorare su Shonen Jump, ma da quell’esperienza imparai quanto fosse importante costruire una storia forte e visivamente potente.
Secondo lei, quali sono gli elementi che rendono perfetta una scena di combattimento?
Non esiste un vero segreto. Mi sono ispirato molto al cinema d’azione, cercando di trasferire sulla carta la stessa energia visiva dei film. Volevo che, aprendo la rivista, i lettori rimanessero colpiti da ogni tavola. Quando ero studente, avevo assistito a episodi di bullismo. Forse per questo ho voluto che nei miei manga i personaggi più deboli trovassero riscatto, che i lettori potessero sentirsi forti insieme a Kenshiro. Nessuno può diventare lui nella realtà, ma almeno, leggendo, si può provare la soddisfazione di superare le proprie paure.
Il Bushidō e la filosofia giapponese della forza interiore sono spesso centrali nelle sue opere …
Sì. Credo che dentro di noi ci sia sempre qualcosa che dobbiamo ancora trovare. È questo il senso del Bushidō: una ricerca costante di ciò che manca per diventare completi. È ciò che guida Kenshiro, e in fondo anche me.
Il video della conferenza stampa: