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The Big Short, la lezione sulla finanza che non invecchia: analisi a un decennio dall’uscita

Riguardiamo oggi il film con Christian Bale e Brad Pitt

A quasi un decennio dalla sua uscita, il film di Adam McKay rimane un’opera fondamentale per comprendere la crisi del 2008, unendo intrattenimento, divulgazione e una profonda riflessione morale.

Sono passati quasi dieci anni dall’uscita nelle sale di The Big Short (in italiano La Grande Scommessa), il film del 2015 diretto da Adam McKay che ha saputo raccontare una delle più grandi crisi finanziarie della storia moderna con uno stile unico e travolgente. Basato sull’omonimo libro di Michael Lewis, il film non solo ha ottenuto un enorme successo di critica, culminato con la vittoria del premio Oscar per la miglior sceneggiatura non originale, ma si è affermato come un punto di riferimento culturale.

La sua capacità di rendere accessibile un argomento ostico come la finanza speculativa lo rende, ancora oggi, un’opera seminale, la cui analisi retrospettiva rivela una pertinenza e un’acutezza sorprendenti. La pellicola ripercorre la storia vera di un piccolo gruppo di investitori che, contro ogni logica di mercato, previde e scommise sul crollo del mercato immobiliare statunitense del 2008.

Una scommessa contro il sistema

Il cuore narrativo di The Big Short è la “grande scommessa” intrapresa da un gruppo di personaggi eccentrici e visionari. Tutto ha inizio nel 2005 con Michael Burry (interpretato da Christian Bale), un ex medico e manager di un hedge fund con una straordinaria capacità di analizzare i numeri.

Studiando migliaia di pagine di dati, Burry scopre che il mercato immobiliare americano, apparentemente solidissimo, è in realtà una gigantesca bolla pronta a scoppiare, costruita su fondamenta fragili composte da mutui subprime, ovvero prestiti concessi a clienti ad alto rischio di insolvenza. Questa intuizione lo porta a sfidare l’intero sistema finanziario, ma la loro non è certo una puntata come tante altre; no, non c’era di certo l’ausilio dei migliori siti scommesse, ma un’analisi metodica e coraggiosa dei dati che tutti ignoravano.

La sua scommessa viene intercettata da altri attori: il cinico trader Jared Vennett (Ryan Gosling), l’idealista e tormentato Mark Baum (Steve Carell) con il suo team, e due giovani investitori, Charlie Geller e Jamie Shipley, guidati dall’esperto banchiere in pensione Ben Rickert (Brad Pitt).

Semplificare la complessità: la genialità didattica del film

Uno dei maggiori meriti di The Big Short è la sua capacità di trasformare un argomento complesso in un “thriller finanziario mozzafiato”. Adam McKay rompe la quarta parete e adotta soluzioni narrative brillanti per spiegare concetti altrimenti incomprensibili. Indimenticabili rimangono i cameo di celebrità che, interpretando se stesse, illustrano i meccanismi della speculazione.

Così, Margot Robbie in una vasca da bagno spiega cosa sono i mortgage-backed securities (MBS), mentre Selena Gomez a un tavolo da gioco chiarisce la natura dei Collateralized Debt Obligation (CDO) e dei CDO sintetici, veri e propri pacchetti di scommesse su altri pacchetti di debiti. Questo approccio, definito dalla critica come “raffinata e benemerita divulgazione scientifica“, ha permesso al film di raggiungere un pubblico vastissimo, trasformando una lezione di economia in un’esperienza cinematografica avvincente e, soprattutto, comprensibile.

I risultati della grande scommessa e il suo sapore amaro

Come previsto dai protagonisti, nel 2008 il mercato crolla in modo devastante. La loro scommessa si rivela vincente, portando a profitti astronomici. Michael Burry ottiene un rendimento del 489%, con un utile complessivo per il suo fondo di oltre 2.69 miliardi di dollari. Jared Vennett incassa 47 milioni di dollari, mentre il team di Mark Baum chiude la sua posizione ricavando 1 miliardo di dollari.

Tuttavia, il film non celebra questa vittoria. Al contrario, ne sottolinea il sapore profondamente amaro.

Il successo finanziario dei protagonisti coincide con la rovina di milioni di famiglie americane, che perdono la casa e i risparmi. L’epilogo è una condanna netta del sistema: mentre i protagonisti sono costretti a fare i conti con le implicazioni morali delle loro azioni, le grandi banche responsabili del disastro vengono salvate tramite salvataggi pubblici e quasi nessun dirigente viene perseguito penalmente. La vittoria è personale, ma la sconfitta è collettiva.

L’eredità di The Big Short a dieci anni di distanza

Rivedere The Big Short oggi significa confrontarsi con una lezione ancora potente. Il film non è solo la cronaca di un disastro annunciato, ma una profonda riflessione sulla cupidigia, la responsabilità e i difetti strutturali del capitalismo moderno. Le lezioni che emergono sono chiare e universali: il pericolo della leva finanziaria usata senza controllo, l’interconnessione globale che genera un enorme rischio sistemico e, soprattutto, l’importanza di mettere in discussione l’autorità degli “esperti” quando i dati raccontano una storia diversa.

L’eredità del film di McKay è quella di un monito, un’opera che ci ricorda la fragilità dei nostri sistemi economici e la necessità di agire con consapevolezza. È un racconto amaro che insegna come il “cigno nero”, l’evento imprevedibile e catastrofico, possa essere sempre dietro l’angolo, e che il profitto di pochi può costare caro a molti.

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Published by
Stella Delmattino