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Dossier – L’altro cinema belga (Parte IV)

14/03/2016 news di Nicola Altieri

Il dossier sul cinema fiammingo si conclude con un focus sui due film più significativi tra quelli trattati e una finestra sulla serialità televisiva

Un cinema che tra male e peggio sceglie sovente l’abisso

de behandeling posterUna ferrovia traccia la linea di demarcazione. Da un lato c’è il mondo e la sua normalità, avvolto da una cappa grigiastra, vestito da un’opaca illusione di serenità, con il passo lento e affannato di chi procede con un peso e ignora d’esser rimasto bloccato in un tempo che fu, in un momento preciso in cui tutto è cambiato, in cui voltando lo sguardo tutto si è fermato. Dall’altro lato c’è l’oblio. Una boscaglia come porta d’ingresso, la selva oscura in cui il veleno nasce e si diffonde a contaminare il mondo. Il cinema che interpreta la storia, legge l’uomo e il suo cancro, raccoglie senza guanti lo schifo prodotto e lo inietta nei cuori dello spettatore senza filtro alcuno. De Behandeling (The Treatment, 2014) diretto da Hans Herbots e scritto da Carl Joos (Alabama Monroe) è opera sconvolgente e disturbante che pur senza mostrare nulla costringe a fare i conti con l’inimmaginabile, con il male assoluto e senza pietà che procede strisciante nei solchi di un noir dall’eleganza ombrosa e annichilente.

Seguendo le orme in disfacimento dei migliori thriller americani degli anni ’90, pur senza lasciare spazio a virtuosismi e personalismi estetici, si pone al servizio di una scrittura raffinatissima che nell’intrigo di vicende e situazioni trova un’intelligenza rara e densa per trattare quel dramma nazionale chiamato pedofilia che nessuno come il Belgio ha vissuto in Europa. Un film che nel suo essere inserito nei canoni di un genere classico e nell’avere un impianto tradizionale e codificato sintetizza come nessun altro la livida specificità del cinema fiammingo. Un cinema che tra male e peggio sceglie sovente l’abisso.

La serialità come terreno di sperimentazione per il cinema

de behandelingLa coppia Herbots-Joos, già all’attivo in combutta qualche anno prima nella miniserie The Spiral (2012) (trasmessa in Italia da La Effe), eccentrica coproduzione Anglo\Fiammingo\Scandinava, sorta di reality dai toni del thriller ambientato nel mondo dell’arte e sullo sfondo del mercato nero, ha nella fervida produzione televisiva il terreno di formazione ed esplorazione di stili e temi che spesso nelle Fiandre vengono traslati, anche se con alterne fortune, dal piccolo al grande schermo. E’ il caso del solido action\thriller Windkracht 10 (Storm Force 10, 2006) creato in TV da Joos e portato al cinema con successo da Herbots ben 10 anni dopo o della seguitissima Code 37, serie poliziesca che nell’indagare tra i crimini a sfondo sessuale ha contribuito a svezzare il talento registico di Tim Mielants e Jacob Verbruggen, oramai stabilmente approdati nella serialità anglosassone (Peaky Blinders, London Spy, House Of Cards) e poggiando completamente sul carisma della sua protagonista ha lanciato definitivamente nel firmamento quella Veerle Baetens ora indiscussa star femminile del cinema fiammingo.

Sulla serialità televisiva nelle Fiandre sarebbe da indagare e scrivere a fondo, data la varietà di stili, la densità di temi trattati e lo straordinario seguito di pubblico, ma una volta segnalato doverosamente l’efficace thriller cospirazionistico Salamander (trasmesso in Italia da Fox Crime) è qui opportuno concentrarsi su di un’altra grande prova di scrittura di Carl Joos: la distopica e post-apocalittica Cordon.

Distopia e post-apocalittico, Cordon: la serialità fiamminga tra le eccellenze europee

bulheadUn virus si diffonde ad Anversa, porta alla follia e alla morte, è irrefrenabile, si può fermare solo tirando su dei muri invalicabili. Mura che dividono in due una città europea. Cordon è una produzione televisiva coraggiosa, per temi trattati soprattutto ma anche per approccio e coralità narrativa. Guarda molto al “genere”, flirtando su più fronti: post-apocalittico, zombi, poliziesco ma è in particolare nelle dinamiche interpersonali e nei cambiamenti che il dramma porta nell’individuo che dà il meglio di sé.

Parallelamente disegna scenari socio-politici inquietanti, partendo da degli assunti esasperati e, si spera, inverosimili, delinea pian piano sfumature e rimandi distanti solo un palmo dalla realtà dei nostri giorni, sfumando abilmente e assottigliando il più possibile il confine tra fantascienza, distopia e crudo realismo.

Palle di toro, cuore ferito e sguardo fragile

rundskop posterVoce fuori campo su fotografia fangosa, un acquitrino di emozioni sepolte che rilegge la tradizione dei naturalisti fiamminghi. Pieter Rubens, Hieronymus Bosh ma anche l’inglese John Constable, esplicitamente citato in fotogrammi che appaiono come una rilettura depressa delle campagne fiamminghe, popolate da anime in pena che vagano con passo pesante e parlano lingue antiche e sepolte, estranee ai loro stessi conterranei ma ancora comprese in remote campagne della Germania settentrionale e Danimarca meridionale. Rundskop (Bullhead, 2011) folgorante esordio cinematografico di Michaël Roskam è recitato per gran parte in un dialetto fiammingo attualmente compreso da meno di 20.000 abitanti delle Fiandre e qui sta parte del carattere di incomunicabilità e alienazione al mondo di un film incentrato sulla corpulenza di un, artisticamente e fisicamente, monumentale Matthias Schoenaert.

Un corpo cinematografico che procede nell’esistenza senza apparente significato, nel desiderio di fare del bene ma nella dopata predisposizione a generare il male. Smarrito tra l’incoscienza di cosa non è più e la voglia di tornare a esserlo attraversa il suo paese in un vortice criminale popolato da avventori improbabili, arenandosi nell’impossibilità a relazionarsi. Roskam appare come il talento più puro e imprevedibile emerso dalle Fiandre, confermato anche dal meno personale ma assai efficace The Drop (Chi è senza colpa, 2014) realizzato negli Stati Uniti ed esempio di un cinema semplice fatto di uomini e storie, personaggi che stanno nelle retrovie e vivono rantolanti e a testa bassa.

Qui si conclude questo percorso, per forza di cose parziale e circoscritto, nei meandri di una delle cinematografie più eccentriche e vitali di un continente, l’Europa, in cui oggi si produce con molta probabilità il miglior cinema del mondo. Un viaggio in cui si è preferito tralasciare realtà e autori oramai affermati oltre confine, come lo Jaco Van Dormael di Le tout nouveau testament (Dio esiste e vive a Bruxelles, 2015), o il prolifico cinema per ragazzi da cui sono recentemente scaturite anche interessanti ibridazioni come il gustoso slasher\horror Welp (Cub – Piccole prede, 2014), in favore di opere e autori più identitari e generalmente al di fuori dei radar internazionali.

fine…