Il nostro viaggio nel genere prosegue: questa volta esaminiamo tre 'mostri sacri'
Cap. 2 – La trinità: Godzilla, Gamera, Ultraman
Parlavamo nel primo capitolo di sovrapproduzione. Ma forse l’entità del tutto non è chiara a lettori poco avvezzi al genere o magari colpiti da una patologia infettiva del virus Power Rangers. Godzilla, nato nel 1954, ventinove film prodotti ad oggi, l’ultimo nel 2016. Gamera, la tartaruga gigante concorrente di Godzilla e prodotta dalla Daiei, nata nel 1965, dodici film da sala prodotti ad oggi, l’ultimo nel 2006 e uno nuovo in arrivo. Ultraman, supereroe della televisione poi passato alla sala, nasce nel 1966 ed è protagonista ad oggi di poco meno di trenta serie tv annuali (anche il solo classificarle necessita di paletti e riflessioni che ora non è il momento di fare) che vanno da 13 episodi a 50, l’ultima in corso di messa in onda. Intorno, altre decine di serie di rilevanza simile, sia numerica che a volte qualitativa, film da cinema, videogiochi, miniserie, serie animate, manga, prodotti solo per il video e infiniti caleidoscopi transmediali.
I bordi del ventaglio che abbiamo scelto di analizzare (2006-2016) emergono anche da qui.
Nel 2006 infatti esce l’ultimo film di Gamera, che segnerà lo stop della franchise per un buon decennio. A volte quando le saghe iniziano ad inaridirsi, le case di produzione tendono a bloccarle periodicamente per poi tornare in forze in periodi più fortunati. Sembra quasi si palesi l’impossibilità, anche ipotetica, di fermarle per sempre, e di sottrarre allo spettatore, numeroso o meno che sia, tali icone pop. A volte sembra trasparire un senso di responsabilità delle produzioni di garantire la presenza di alcuni immaginari, come fossero entità capaci di attivare un senso di protezione e catarsi psicologica nel pubblico.
Paradossalmente questo fattore è narrato magistralmente e con un candore agrodolce esemplare in un film di Taiwan del 2013, l’esordio di Jeff Chang, Machi Action, in cui un direttore di rete continua a supportare la messa in produzione di una serie tokusatsu in perenne perdita perché crede che per alcuni programmi non sia importante l’audience ma il loro valore sociale e “paterno”.
Due anni prima lo stop era toccato proprio a Godzilla, nel 2004, con il folle Godzilla: Final Wars, titolo che infila dentro la maggior parte delle creature storiche dei film precedenti, addiziona inutili sequenze d’azione e di arti marziali tra umani e -addirittura- tra mostri giganti, arrivando a offrire una comparsa del pestilenziale Godzilla americano di Roland Emmerich del 1998 prontamente bruciato dal raggio atomico di quello originale giapponese. La regia di questa follia puerile è data semplicemente in mano ad un regista sbagliato, ovvero quel Ryuhei Kitamura salito alla ribalta per i suoi action sanguinari low budget (Versus, Azumi, Alive), approdato al mainstream (Lupin III live action) e arrivato addirittura ad Hollywood (Prossima Fermata: l’Inferno).
L’idea dell’assoluto tradizionalismo e fedeltà sembra la via maestra e irrinunciabile anche nella versione americana del 2014 di Gareth Edwards che dopo le libertà stilistiche assunte in quello del 1998 decide di riportare le forme della creatura ad una delle sue visioni più pop. Fortunatamente appena due anni dopo, nel 2016, esce Shin Godzilla, il nuovo titolo originale e questo viene dato in mano al genio di Anno Hideaki (Neon Genesis Evangelion), autore che invece attua una rivoluzione copernicana realizzando un sofferto capolavoro complesso e di spessore che in un attimo reinventa e detta le nuove basi del franchise.
Dal 2005 al 2007 escono tre serie TV più mature, di straordinaria resa che però anticipano una successiva caduta qualitativa della saga.
Ultraman Max, Ultraman Mebius e Ultraseven X. Dei produttori particolarmente coraggiosi e accorti decidono di chiamare alla regia e ideazione dei quaranta episodi di Max, dei nomi particolarmente stimolanti tra cui quello di Takashi Miike (Audition, Sukiyaki Western Django) che dirige due degli episodi più belli della storia della saga. A lui affiancano il maestro Akio Jissoji (Murder on D Street) e Shusuke Kaneko (Death Note e la trilogia di Gamera dei ’90), tra gli altri.
Va comunque osservato come le serie di Ultraman, anche quelle per un target più giovane, tendano sempre a non porre automatismi tra il classico assalto alieno e relativo nemico da abbattere, ma ogni creatura venga sfaccettata, oltre che visivamente (e con effetti sonori identificativi), anche con l’introduzione di tematiche quali la dignità del diverso e l’ospitalità del rifugiato, sia esso alieno o meno. Temi non così automatici e nemmeno sfruttati in maniera apertamente retorica.
Il 2017 è infine l’anno di Ultraman Zero: The Chronicle, progetto atto a celebrare i 50 anni di storia.
continua …