A volte bastano pochi minuti per distruggere un ottimo lavoro: il racconto della sconvolgente caccia all'assassino Luka Rocco Magnotta, nonostante l'innegabile capacità tecnica, inciampa su se stesso, smascherando alla fine tutta la sua ipocrisia forcaiola e ricattatoria
Se c’è una cosa inappuntabile a Netflix è nella sua vasta produzione e distribuzione di documentari di cui tantissimi anche di ottimo livello. Tra la varia diffusione di questi, c’è quella particolare branchia che possiamo ormai identificare come “true crime”, in cui il nocciolo principale è quello di raccontare indagini ed approfondimenti su tremendi fatti di cronaca più o meno famosi e tendenzialmente che hanno come fulcro dell’intera narrazione il tema dei serial killer. Questa particolare branca del genere documentaristico è quella che probabilmente più di altre è riuscita a catturare il plauso maggiore di pubblico, anche quello meno propenso al documentario, proprio per i temi che vengono trattati e quella capacità innegabile di stuzzicare l’attenzione del lato oscuro presente dentro ognuno di noi.
Diviso in 3 parti, Giù le mani dai gatti: caccia a un killer online (Don’t F**k With Cats: Hunting an Internet Killer) fondamentalmente parte proprio da questo presupposto: un po’ di anni fa iniziarono a circolare sul web filmati, diventati in breve tristemente celebri, di un anonimo ragazzo che uccideva in modi agghiaccianti dei gattini filmando le loro agonie e caricando tutto sul web. Visualizzazioni sempre più alte e indignazione unanime dell’intera comunità telematica hanno fatto il resto iniziando così ad incrementarne anche la diffusione: d’altronde di questa immondizia il web è pieno zeppo e in tempo di social e forum la linea che divide l’involontaria pubblicità dallo sdegno è terribilmente sottile.
La docuserie inizia a seguire così le indagini condotte da un gruppo di folli internauti capitanati da Deanna Thompson, aka l’utente Baudi Moovin (nick utilizzato sul web e principale interlocutrice di Giù le mani dai gatti: caccia a un killer online) e di come muovendosi esclusivamente attraverso una profonda conoscenza (inquietantissima tra l’altro) del web a forza di indagare in totale autonomia (dopo essere snobbati da polizia ed istituzioni per le loro segnalazioni sulla pericolosità di questo individuo) riescono a scoprire l’identità dell’autore di questi orrori: si chiama Luka Rocco Magnotta, un ragazzo canadese che si rivela essere una personalità assolutamente schizofrenica, mitomane e pericolosa.
La seconda parte di Giù le mani dai gatti: caccia a un killer online si focalizza nel raccontare una sorta di “sfida” tra l’assassino di gatti e l’intera comunità internauta fatta di depistaggi, false piste e vere e proprie sfide come quelle che si possono vedere nei più classici film thriller. Si inizia a descrivere così la personalità di Luka Rocco Magnotta, il suo fallimento nel mondo dello spettacolo e di come, nonostante tutto, lui si convinca di viverci dentro (in questo ricorda un po’ sia l’assassino di Gianni Versace, sia lo ‘zingaro’ di Lo chiamavano Jeeg Robot) e la conseguente follia nella ricerca di avere il successo a cui lui tanto ambisce. Tanto più la ricerca diventa profonda, complessa e intricata, tanto più l’ego del ragazzo cresce a dismisura, fino a quando non fa il passo successivo arrivando a filmare l’atroce omicidio di un ragazzo gay, un filmato diventato tristemente virale in rete con il nome ‘1 Lunatic 1 Icepick.’
Chi di voi conosce un po’ il personaggio e mastica di cronaca nera saprà già tutto a riguardo, ma quello che il documentario di Netflix racconta (ovvero il dietro le quinte di questa incredibile caccia all’uomo) è assolutamente inedito e innegabilmente (e terribilmente) avvincente. Peccato però che – come si diceva all’inizio – quando si vuole trattare una materia così complessa e scottante si debba essere davvero dei fuoriclasse, altrimenti il rischio di buttare in vacca tutto è altissimo e purtroppo questo lavoro finisce esattamente in questo calderone.
Sia chiaro che la forma con cui è diretto, montato e scritto l’intero Giù le mani dai gatti: caccia a un killer online è altissima e per quasi tutta la sua durata sa tenerti incollato allo schermo. Il problema è che se nella terza parte iniziano a vedersi le prime crepe, nei suoi ultimi minuti cala la maschera, arrivando ad una conclusione talmente ipocrita e disgustosa che è capace di ribaltare tutto quello che di bello si era costruito prima. Considerando proprio in partenza la condanna verso il voyeurismo “estremo” che rischia di forgiare e rendere più potenti squilibrati e assassini, è vergognoso come il documentario stuzzichi abilmente il lato più “guardone” del pubblico con una tecnica tra l’altro ammirevole per poi in chiusura accusarlo, ricattarlo e farlo sentire in colpa con un moralismo e un giustizialismo da inquisizione che dimostra l’assoluta mancanza di tatto e maturità nell’affrontare una tematica simile.
Siamo quindi lontanissimi dall’abilità di prodotti, quelli sì validissimi, come Conversazioni con un killer: il caso Bundy di Joe Berlinger (la recensione) o l’agghiacciante docufilm Una storia americana – Capturing the Friedmans di Jarecki (suo anche il bellissimo e sconvolgente The Jinx – La vita e le morti di Robert Durst), Giù le mani dai gatti: caccia a un killer online quando arriva alle conclusioni trasuda ipocrisia e si comporta in modo vigliacco verso i suoi spettatori, usando i più biechi e orribili escamotage propagandistici per colpire, renderti colpevole e farti sentire in colpa di averlo visto.
Un documentario, sopratutto su questi temi, dovrebbe evitare di assumere forme simili o rischia solo di essere bieca exploitation. Su argomenti così complessi e seri bisognerebbe saper maneggiare bene la materia, perché bastano pochi minuti per distruggere ogni cosa. E considerando il pulpito da cui viene la predica, c’è pure più di una ragione a incazzarsi.
Di seguito il trailer italiano di Giù le mani dai gatti: caccia a un killer online, nel catalogo Netflix: