Azione & Avventura

A Working Man: la recensione del film action con Jason Statham muratore arrabbiato

David Ayer dirige un prodotto vecchio stile tra violenza, ritmo e puro intrattenimento anni ’80

Se John Wick o Payback – La rivincita di Porter fossero dei panini gourmet, allora A Working Man potrebbe essere considerato un Big Mac. Un po’ grezzo e né nutriente né memorabile, questo classico da fast food soddisfa comunque una voglia, offrendo un guilty pleasure tanto fugace quanto appagante.

Un film che mantiene esattamente ciò che promette – punto e basta. Mostra Jason Statham al suo meglio stoico, mentre fa piazza pulita di una sfilza di criminali di basso rango, scalando gradualmente la catena alimentare. È un approccio collaudatissimo, e con vecchie glorie della regia dell’action come David Ayer (regista e co-sceneggiatore) e Sylvester Stallone (co-sceneggiatore e produttore) nel DNA a bordo, si mantiene viva una vibrazione da anni ’80.

Esistono due versioni di Jason Statham. Quella che preferisco è quella sarcastica e pungente, capace di battute taglienti. Ma in A Working Man c’è l’altra: quella imperscrutabile, che parla poco e agisce molto. Statham non ha la muscolatura di Schwarzenegger, la brutalità di Stallone o Seagal, né l’agilità atletica di Van Damme, ma il suo approccio diretto e proletario alla violenza gli ha garantito un posto accanto a loro nel pantheon degli eroi action (è più un Charles Bronson dei giorni nostri).

La trama è elementare: Levon Cade, ex commando dei Royal Marines diventato capocantiere, riattiva il suo vecchio sé quando Jenny Garcia (Arianna Rivas), figlia del suo amico e capo Joe (Michael Peña), viene rapita. All’inizio riluttante, affermando di «non essere più quell’uomo», Levon si convince e inizia la caccia, partendo dai membri di basso livello del gruppo responsabile che – come da copione, spesso tramite indizi post-mortem – lo conducono ai livelli più alti.

Salendo la piramide, finisce per innervosire i boss della Fratellanza mafiosa russa di Chicago, tra cui Wolo Kolisnyk (Jason Flemyng), suo figlio Dimi (Maximilian Osinski) e il temibile Symon Kharchenko (Andrej Kaminsky).

Sebbene troppo lungo e carico di dialoghi inutili e sottotrame che non portano a nulla, A Working Man funziona principalmente come vetrina per Statham, che fa ciò che sa fare meglio: eliminare cattivi, prendendone però anche parecchie. La sceneggiatura, adattata da Stallone a partire dal romanzo Levon’s Trade di Chuck Dixon, evita alcuni cliché tipici del genere action (come il classico “ragazzino in pericolo”).

Si potrebbe però sostenere che il film sarebbe stato più snello e meglio ritmato se avesse eliminato alcuni personaggi secondari, come la figlia di Levon, Merry (Isla Gie), e l’ex compagno cieco Gunny Lefferty (David Harbour), che sembrano inseriti più per preparare eventuali sequel che per reale utilità narrativa (Dixon ha già scritto 12 libri della serie …).

Sebbene molti personaggi siano generici, incluso il deviante interpretato da Jason Flemyng (già al fianco di Statham nei primi film di Guy Ritchie), uno merita una menzione speciale: Dutch (Chidi Ajufo), con un senso dell’umorismo distorto e un codice d’onore, si rivela un antagonista più interessante per Levon rispetto ai soliti gangster sadici.

La regia di Ayer è insolitamente disordinata. Sapendo che Statham è il grande richiamo, si assicura di regalargli la giusta quantità di primi piani. Ma le scene di lotta sono male illuminate e a tratti difficili da seguire, e l’unico indizio che ci troviamo a Chicago sono le frequenti inquadrature dello skyline e le targhe “Illinois” – il senso del luogo è totalmente assente.

Non si può consigliare questo film a tutti, ma forse non è neanche necessario dirlo. Chi cerca qualcosa di sostanzioso nel proprio menù cinematografico potrebbe storcere il naso. Ma per chi desidera vedere i cattivi giustiziati da un Jason Statham nobile e implacabile, A Working Man non delude.

Di seguito trovate il trailer doppiato in italiano di A Working Man, nei cinema dal 10 aprile:

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Published by
Marco Tedesco