Sci-Fi & Fantasy

Arco: la recensione del film d’animazione francese di Ugo Bienvenu

Il regista debutta con un'opera visionaria, ma derivativa e incapace di andare oltre ai modelli cui attinge

Tecnologia e futuro nell’animazione hanno acquisito molte vesti, dalle distopie meccanicistiche inquietanti di Ghost in the Shell e Blame! alle forme più sognanti e inventive dei macchinari e mondi fluttuanti di Laputa – Castello nel cielo e WALL•E. Ogni microcosmo filmico, che sia futuristisco o fantastico, ridisegna  il proprio mondo e le avventure vissute dai protagonisti intorno a un immaginario scentifico originale; quando questo world-building funziona, si tratta di un’esperienza immersiva e imprevedibile che ci traghetta in universi di fantasia, e a volte d’incubo.

Arco, lungometraggio d’animazione di debutto del francese Ugo Bienvenu e presentato al Festival di Sitges 58, sembra nutrirsi della delicata poesia degli anime di Miyazaki, ma li epura di ogni attrito o sottotesto critico, lasciando solo una patinata superficie a dilettare lo sguardo, senza però toccare altre corde più profonde.

Il film ruota intorno all’omonimo protagonista, un ragazzino che vive con i genitori e la sorella su una piattaforma abitativa eco-futurista completamente autonoma su altissimi pilastri e sospesa in mezzo al cielo. I suoi familiari sono appena tornati da un viaggio nel tempo, grazie a speciali tute che li sospendono nel cielo creando un evocativo arcobaleno mentre attraversano le dimensioni temporali. Forse sono alla ricerca di nuove specie botaniche — ma non ci è dato sapere con certezza quale sia lo scopo più ampio delle loro missioni.

Il giovane protagonista vorrebbe seguirli e poter così vedere i dinosauri, ma è troppo giovane per i transiti temporali, così una mattina, mentre tutti stanno ancora dormendo, prende quella che si potrebbe definire una tuta crononautica e si invola verso il passato.
Tuttavia, i piani di arco non vanno come si aspettava e atterra nell’epoca sbagliata, nel 2075, si schianta in mezzo a un bosco e perde i sensi.

A trovarlo è Iris, una sua coetanea, che lo porta a casa sua dove ne cura le ferite con l’aiuto del robot domestico Mikki. La situazione di Arco si complica quando scopre di aver perso il cristallo indispensabile per tornare nel futuro. Inoltre, sulle sue tracce ci sono tre misteriosi individui, anch’essi alla ricerca della tecnologia unica, di cui il bambino è in possesso e, poco dopo, anche le autorità allertate dal robot.

Una moltitudine di personaggi ed eventi si sussegue in Arco per accumulo, lasciando poco spazio alla coesione narrativa e risultando controproducente per l’immedesimazione con i protagonisti. I tre inseguitori, i genitori dei due bambini, i professori meccanici, il compagno di classe di Iris – innamorato di lei – e perfino Mikki sono figure di contorno che danno varietà al racconto ma non riescono a suscitare una reale risposta emotiva nello spettatore. Al contrario, la confusione di queste presenze secondarie finisce per sottrarre spazio allo sviluppo interiore e alla costruzione psicologica dei personaggi principali e del loro rapporto.

La sensazione complessiva è quella di un clone dei film dello Studio Ghibli, in particolare di Laputa – Castello nel cielo, da cui riprende numerose idee visive e concettuali – dall’“aeropietra” che permette di volare alla stessa Laputa, la gigantesca piattaforma verde sospesa nei cieli. In Arco, tuttavia, non si tratta di una gravipietra, ma di piattaforme poggiate su colossali basamenti alti chilometri. All’originale, però, sembra essere stata sottratta la magia e quella delicata sensibilità nel tratteggiare le psicologie umane e i sentimenti, elementi che, in ultima analisi, costituiscono l’anima stessa della produzione di Hayao Miyazaki.

Arco non è del tutto privo di spunti meritevoli di approfondimento. Una nota latamente distopica emerge dai due futuri possibili rappresentati nel film, in particolare da quello più remoto, in cui un presunto disastro climatico ha costretto l’umanità ad abbandonare la Terra – ormai sommersa dalle acque – e a vivere su piattaforme artificiali composte da moduli monofamiliari.

Il senso di isolamento suggerito da questa disposizione abitativa nel 2075 è ulteriormente rafforzato dalla condizione familiare di Iris e del fratellino, lasciati soli dai genitori, assorbiti dal lavoro in città. I bambini vengono accuditi da un sostituto artificiale, mentre i genitori si limitano a comparire la sera sotto forma di ologrammi, in una sorta di videochiamata futuristica che sostituisce il contatto umano.

L’impatto di questi temi più cupi viene però attenuato dai toni e dalla superficialità con cui sono affrontati: dal tema ambientale all’invadenza delle intelligenze artificiali – come Mikki e i robot-professori che sostituiscono gli esseri umani nelle aule.

Tutto viene alleggerito da un tono fanciullesco e stemperato dagli elementi visionari e fantastici che contraddistinguono l’animazione bidimensionale iper-stilizzata, ma indubbiamente affascinante, di Ugo Bienvenu. Con all’attivo numerosi cortometraggi e graphic novel, il regista può contare su una solida esperienza nella costruzione di mondi visivi originali e esteticamente accattivanti. La sua conoscenza del linguaggio dell’animazione emerge nelle molteplici influenze che attraversano i suoi universi futuristici e i personaggi che li popolano. Eppure, Arco si rivela incapace di andare oltre un semplice insieme di suggestioni, senza riuscire a dar loro una forma emotiva o narrativa davvero originale.

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Published by
Sabrina Crivelli